Antica lampada a incandescenza a filamento di carbone 1ª parte

  Antica lampada a incandescenza a filamento di carbone, prima parte.
Nell’Inventario del 1912 al n° 85 di pag. 7 si legge: “Lampade ad incandescenza”.

Il Montani possiede ancora molte antiche lampade a filamento che erano usate nei primi decenni del Novecento nel Laboratorio di Elettrotecnica.
Questi esemplari non sono di facile datazione; la loro tensione di esercizio è di 110-125 V.


Nel “Catalog M Physical & Chemical Apparatus May 1912, Central Scientific Company. Chicago. U.S.A. , rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-51680.pdf ,
a pag. 186 si trova la figura 2291 che qui riportiamo con la scritta: “Incandescent Lamps, 110 volt, carbon filament, Edison base, …”.
Il catalogo risale al maggio del 1912 e all’epoca si costruivano lampade col filamento di tungsteno che erano circa tre volte più costose di quelle a filamento di carbone, ma duravano molto di più ed erano più efficienti come luminosità (rapporto lumen/watt) per la loro più alta temperatura di esercizio. Mille ore invece delle 600 del filamento a carbone.
Sulla base dell’esemplare qui presentato si legge: “110 – 50 17”. Cioè: 110 V; 50 candele; il numero 17 si riferisce al tipo di attacco, ma corrisponde al moderno E 27.
Noi abbiamo alimentato la lampada fino a 100 V e, come si vede, è funzionante.
Le foto sono state fatte dunque con una tensione di 90 V.
La resistenza a freddo (temperatura ambiente circa 28 °C) del filamento è 170,5 ohm, con una alimentazione di 90,0 V – 50 Hz ; la corrente assorbita dalla lampada è di 1,0 A. Dunque a caldo la resistenza è diminuita passando da 170 a 90 Ω!
Le misure sono state eseguite dall’Ing. Claudio Profumieri.
Siccome il coefficiente resistivo di temperatura per molti tipi di carbonio è negativo, mentre quello dei metalli è positivo, le misure provano che il filamento di questa lampada è di carbonio. Dunque appena viene accesa offre una resistenza più alta che a regime e la corrente iniziale è minore che non a regime di funzionamento.
All’interno del bulbo di vetro esiste un buon vuoto. L’annerimento del vetro è dovuto all’evaporazione del carbone avvenuta durante l’uso.
La lampada di Edison a filamento di carbone forniva 16 candele per 50 W, cioè 0,32 cd/W. Un filamento al tungsteno forniva 40 cd per 40 W, cioè 1 cd/W.
La sua efficienza luminosa è comunque bassa rispetto ad una lampada ad incandescenza più moderna con analoghe caratteristiche poiché la temperatura del filamento è relativamente minore.
Quando Graetz pubblicò il suo libro citato in bibliografia nel 1907 scrisse che la Osram produceva già lampade a filamento di tungsteno di cui però egli ignorava i particolari costruttivi. Graetz cita la lampada all’osmio di Auer von Welsbach ( l’osmio fonde a 3030 °C) e la lampada al tantalio (3000 °C) con un filamento di 0,7 metri di lunghezza costruita dalla Siemens & Halske: entrambe troppo costose, non ebbero mercato. Una lampada a incandescenza più moderna (oggi non sono più in vendita) produce luce per il riscaldamento del filamento di tungsteno (che fonde a 3387 °C) ottenuto con il passaggio in esso di corrente elettrica. Il filamento è immerso in un gas inerte, in genere argon, per ostacolare la sua sublimazione testimoniata dall’annerimento del bulbo di vetro.

A causa della bassa temperatura di esercizio di circa 2400 °C (bassa considerando lo spettro di emissione confrontato con la sensibilità dell’occhio umano) solo il 12-17 % dell’energia è emessa come luce visibile (lumen/watt). La parte restante viene dispersa molto nell’infrarosso e poco nell’ultravioletto e riscalda sia il gas sia il vetro e, per conduzione, viene dissipata attraverso i reofori che sostengono il filamento. Dunque il suo rendimento luminoso è molto basso. In gergo si dice che la luce emessa da una lampada può essere “calda o fredda”, ma se si considera la temperatura di colore (cioè la tonalità che avrebbe la luce emessa da un corpo nero ideale ad un a temperatura espressa in Kelvin) si nota che la luce “calda” è spostata verso il rosso e dunque emessa da un oggetto a temperatura minore di quello che emette luce “fredda”: la sensazione è dovuta alla percezione visiva dell’occhio umano.
Per confrontare lo spettro di emissione di una lampada ad incandescenza a temperatura di 3000 K con quello solare entrambi riferiti allo spettro del visibile si veda la figura.
La potenza elettrica insomma non è un indice immediato del flusso luminoso emesso, espresso in lumen, che è determinato dal rapporto tra l’energia luminosa visibile emessa e l’energia elettrica assorbita.
Per comprendere il funzionamento della lampada a filamento di tungsteno si tenga presente che all’accensione il filamento è freddo e la sua resistenza è molto minore che alla temperatura di esercizio: si misuri con un ohmmetro la resistenza a freddo del filamento e la si confronti con il rapporto R = V²/P dove V è la tensione (220 V) di esercizio e P la potenza dichiarata (ad esempio 100 W). Questo spiega perché spesso la lampada brucia all’accensione: la sublimazione del tungsteno nel tempo assottiglia il filamento che a freddo tende a fondere per l’improvvisa forte corrente (circa dieci volte quella di esercizio).
Dunque all’inizio il filamento è percorso da una forte corrente che lo riscalda rapidamente e nel contempo l’aumento della sua resistenza fa diminuire la corrente: infine si raggiunge la temperatura di esercizio a causa dell’equilibrio dinamico tra l’energia elettrica assorbita e il calore dissipato che comporta un valore preciso della resistenza.
L’attacco, detto anche virola, può essere a vite o a baionetta, anche se nella storia vi sono state altre soluzioni. La forma più comune per uso domestico è a vite e con diametro di 27 mm, detto E 27 dove la lettera E sta per Edison.
Alcuni Paesi usano l’attacco a baionetta con diametro di 22 mm, chiamato B 22 dove B sta per Bayonet.
Nella seconda parte ci soffermeremo, anche se sinteticamente, sulla storia della lampada ad incandescenza a filamento di carbone.
Nella terza parte ci soffermeremo su alcuni particolari costruttivi.
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   Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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