La centrale termoelettrica nelle Officine dell’Istituto Montani ricostruita su una documentazione parziale da integrare.

 La centrale termoelettrica nelle  Officine dell’Istituto Montani ricostruita su una documentazione parziale da integrare.
 di Fabio Panfili
La centrale termoelettrica, costruita presso le Officine  dell’allora Scuola Industriale delle Marche (già Scuola d’Arti e Mestieri di Fermo) dopo il 1883, serviva essenzialmente per alimentare elettricamente i reparti delle Officine.
Sotto la direzione dell’ing. Egidio Garuffa, il primitivo macchinario mobile per la produzione di energia  fu sostituito da una centrale motrice fissa(1). Osservare una foto d’epoca.

Mentre in una foto successiva nel tempo si osserva la centrale termoelettrica, centrale che in seguito fu demolita e sostituita con la cabina elettrica che ancor oggi (2023) è al suo posto (1).
La centrale termoelettrica costituisce una efficace sintesi delle due rivoluzioni industriali: la prima dovuta all’invenzione delle macchine a vapore, la seconda all’invenzione delle macchine elettriche.
Queste note  a carattere storico non hanno il supporto di alcuni documenti conservati nella Biblioteca del Montani attualmente chiusa (2023).  Ma sono basate solo sulle fonti di chi ha trovato parte della documentazione inerente a detta centrale, con  alcune planimetrie, cartoline e foto d’epoca. Pertanto esse potrebbero avere  ulteriori sviluppi.

A destra vi è la caldaia Cornovaglia.

La cartolina qui sopra è della collezione Angelo e poi Giuseppe Mandolesi. Generatore e aspiratore Langen  e Wolf.
Le foto sono state attentamente studiate dagli ingegneri Lorenzo Cognigni e Claudio Profumieri; inoltre dai fisici Fabio Panfili ed Elvezio Serena, e dallo storico e biologo Settimio Virgili.
 L’architetta Francesca Turtù (autrice di una tesi di laurea sulla storia delle Officine del Montani(2)), ha fornito preziose indicazioni confermate da una relazione del 1935 firmata dall’allora Preside Mario Stella e pubblicata in questo sito.
Alcune notizie sono dovute al  prof. Cesare Perticari.
Siamo in possesso di altre due immagini di una analoga centrale sorta presso l’Istituto di Argirocastro, forse nel 1930, legato storicamente all’Istituto G. e M. Montani di Fermo, con cui è attualmente gemellato.
Ma le immagini non spiegano sufficientemente le funzioni delle macchine che vi appaiono.
Nel documento a cura del Preside Mario Stella intitolato: Dati Statistici per la Mostra di Istruzione Tecnica del 1936, alle pagine 11 e 12 si legge:
« 63-  N.1 motore a gas povero “Langen  e Wolf” – HP.40 completo di gassogeno Skrubber accoppiato con:
64- N. 1 alternatore  “Siemens Schuchert werke” V.235 A. 3 ÷ 61,5 f. 50 Kw. 25 cos φ = 0,8 N = 1000 eccitato da dinamo V. 65 A. 13,5 Kw. 0,88 n. 1000.
65-  N. 1 motrice a vapore della “Suffert & C.” – Milano.
66-  N. 1 caldaia fissa tipo Cornovaglia della “Suffert & C.” – Milano.
67- N. 1 quadro di distribuzione dell’energia elettrica su pannello in marmo munito di:
  N. 1 amperometro   0 ÷ 100 A.
N. 1 amperometro 0 ÷ 20 A.
N. 1 amperometro 0 ÷ 10 A.
N. 1 voltometro   0 ÷ 260 V.
N. 1 reostato.
N. 2 interruttori ad olio.
N. 3 interruttori unipolari a coltello.
N.1 interruttore bipolare a coltello. »
Tranne il quadro in marmo visibile solo di lato o in parte, la macchina termica a gas povero e la dinamo eccitatrice dell’alternatore, gli altri apparecchi sono tutti ben visibili nelle foto.
Qui ne riportiamo solo alcune  ma  altre foto si possono osservare alla voce: “Immagini d’epoca”. Una pianta risalente al 1907, attribuita al prof . G. Agostini, (insegnante nell’Istituto  ed ex allievo),  indica l’esistenza di due centrali termiche(2)
Una, chiamata “d Motrice ” è ubicata isolata tra i due rami laterali delle Officine, si può individuare nelle due antiche foto degli esterni prese da ovest. Si noti  nella prima foto il flebile fumo uscente da un piccolo tubo.
Un’altra, chiamata “4 Motrice”, è sita sul lato opposto, ma di questa  non abbiamo né foto né alcuna notizia.Mentre la pianta delle officine, redatta dal Lucentini nel 1941 e rinvenuta in un documento risalente al 1951 dall’arch. F. Turtù  nell’Archivio Storico del Montani (2), colloca la centrale termica a sud ovest, tra il Reparto torneria (1), il cortile (3, 4 , 5) e la Saldatura lavorazione a freddo (7, 8). La parete ad ovest confina con la strada.
Nella pianta del Lucentini è presente la cabina elettrica, che oggi (2023) è situata nello stesso posto e  che dunque pare abbia preso il posto della precedente centrale termica visibile nelle prime due foto esterne.
A destra del cerchietto verde si vede la centrale termica e a destra del cerchietto rosso si trova  la cabina elettrica.
Nel documento di M. Stella, visibile in questo sito, a pag. 21 sono elencati i consumi distinti di energia elettrica per motori  e apparecchi da quella per illuminazione.
Una delle più antiche e semplici forme di caldaia a tubo di fumo, denominata caldaia Cornovaglia, fu quella di Richard Trevithick installata intorno al 1812 in una miniera presso Dolcoath.
  L’inizio della diffusione delle caldaie a tubi di fumo (dette anche a tubi di fiamma) risale agli anni tra 1825 e 1830.  Una caldaia Cornovaglia è costituita da un corpo cilindrico il cui diametro può variare generalmente tra 1,5 m e 2,5 m, attraversato per tutta la sua lunghezza da un tubo di diametro piuttosto elevato (circa un metro). Tale tubo contiene ad una estremità (quella di governo) una graticola sulla quale viene posto il combustibile da bruciare; i gas caldi della combustione, alimentata dall’aria esterna, vengono tirati all’interno del rispettivo tubo di fiamma e lo percorrono per tutta la sua lunghezza scaricandosi in un condotto in muratura che li costringono a percorrere un fianco e la parte inferiore della caldaia fino a raggiungere la parte anteriore da dove, sempre mediante canalizzazione in muratura, raggiungono nuovamente la parte posteriore lambendo l’altro fianco e la parte superiore della caldaia; si scaricano infine nel camino dopo avere riscaldata tutta la superficie esterna della caldaia. Una caldaia di questo tipo, data la grande quantità d’acqua contenuta, richiede un periodo di tempo notevole prima di raggiungere il regime di servizio e ciò a causa del rapporto sfavorevole tra volume d’acqua e superficie di riscaldamento. Per contro messe a regime lo mantengono facilmente anche in presenza di forti prelievi di vapore in quanto la quantità elevata di liquido agisce da volano termico.
Nelle foto si vede chiaramente una macchina a vapore con il classico distributore del vapore a cassetta e con sopra il famoso regolatore di Watt. Questa macchina, tramite  cinghie permetteva il funzionamento dei torni e  delle altre macchine operatrici.
Si noti il famoso regolatore di Watt con le due sfere rotanti.
Per il suo funzionamento vedere le figure qui sotto ; si ricorda che cliccando col tasto destro del mouse su una immagine fra le opzioni vi è il suo ingrandimento.
Sul pavimento vi è una traccia del collegamento tra la caldaia e la macchina termica,
Pertanto è necessario ipotizzare che questa macchina a vapore sia stata sostituita successivamente  con una macchina termica alimentata a gas povero collegata direttamente alla grande ruota che tramite una cinghia azionava il generatore elettrico. Macchina che però non si vede chiaramente in nessuna foto.  Si può pensare comunque che sia in parte nascosta dietro il grande volano collegato da una cinghia alla macchina elettrica.
La prima rivoluzione industriale  si può far coincidere storicamente con il brevetto del 1698 della macchina a vapore di Thomas Savery ( 1650 – 1715), che serviva a prelevare acqua nel pozzo di una miniera. Seguirono poi le macchine di Thomas Newcomen (1663 – 1729), di James Watt (1736  – 1819), ed altri.
 R. Trevithick costruisce la prima locomotiva nel 1804 con un motore a stantuffo molto efficiente, perfezionato poi da George Stephenson (1781 – 1848) .
Le figure sono tratte da una gif  che si trova all’indirizzo: Steam_engine_ in_ action.gif  (630×410)
Una certa cautela richiede l’interpretazione delle immagini che riguardano il generatore elettrico. All’epoca erano molto diffuse le dinamo, ma gli esami svolti non danno risposte sul tipo di spazzole e collettore; anzi, la presenza in una foto di due collegamenti distinti, ognuno composto da tre fili, potrebbe suggerire che si tratti di un alternatore trifase, ma c’è qualcosa che ancora non è chiaro nella loro disposizione.
Mentre la prima rivoluzione industriale nacque dalle invenzioni di costruttori ingegnosi e solo in seguito si ebbero gli studi teorici di termodinamica, la seconda rivoluzione industriale è storicamente preceduta da studi e prove sperimentali nei laboratori, a cui molto dopo seguirono le applicazioni industriali. Ad esempio il primo generatore in corrente continua fu costruito nel 1832 da Hippolyte Pixii (1808 – 1835) su suggerimento di André Marie Ampère (1775 -1836 ) (3) .
Dunque la seconda rivoluzione industriale iniziò intorno alla seconda metà dell’Ottocento, ma solo nel 1883 uno dei primi impianti in corrente alternata fu presentato all’Esposizione di Londra ed alimentava un motore ed alcune lampade ad incandescenza.  La centrale termica di S. Redegonda del 1883  disponeva di sei dinamo da 100 KW a 125 volt, ma all’epoca la corrente continua non poteva essere modificata per il suo trasporto in lontananza, mentre con i trasformatori in corrente alternata si poteva fare.  Da qui sorse una disputa mondiale sull’uso delle correnti continua e alternata e quindi sull’uso delle dinamo o degli alternatori (3) .
Con la seconda rivoluzione industriale iniziò la diffusione dell’istruzione tecnica in Italia, della quale l’Istituto Montani è uno dei  precursori.
Nelle immagini si vedono: un cilindro forse per la condensazione del vapore e un quadro elettrico con alcuni strumenti dei quali forse alcuni ci sono pervenuti.
Inoltre dal confronto delle immagini si notano mutamenti sia nella disposizione dei macchinari, dei cilindri, ecc. , sia nel numero di rotismi ad esempio della macchina a vapore, sia di varie tubazioni, lampade, ecc, che fanno pensare a foto eseguite in varie epoche.
Bibliografia.

(1) S. Virgili,  Il Montani, Storia dell’Istituto Tecnico Industriale di Fermo, 2005.

(2) F. Turtù,  L’evoluzione storica ed urbanistica delle officine una rilettura in corso, apparso su AA. VV. ,  Il Montani di Fermo Tutela di un patrimonio,  edito da Italia Nostra Sez. di Fermo, 2000.

(3) AA.VV. PPC Progetto Fisica Voll. A e B,  Zanichelli, Bologna 1986.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.