Elettroscopio e riconoscimento di carica


Riconoscimento di carica con l`elettroscopio.
Questo elettroscopio a foglie si può far risalire al 1912, infatti nell`inventario del gennaio 1912 viene citato un elettroscopio al n° 898; inoltre nell`inventario D del 1933/1937 si trova un “elettroscopio a foglie di alluminio” al n° 374 detto già in esistenza.
Per leggere qualche cenno storico si prega di digitare “Elettroscopio a foglie” su Cerca.
In questa scheda si vuole illustrare l`efficacia didattica di quattro disegni che si trovano su: “E. Ravagli, R. Cerruti Sola, Fisica Applicata, Vol. II, Calderini, Bologna 1983”. Gli autori riescono a dare una precisa visione di ciò che accade nell`elettrizzazione per contatto (fig. 13)

e nell`elettrizzazione per induzione (fig. 14);

nelle figure 15 e 16 viene ottimamente illustrato il riconoscimento di carica.
Il testo che accompagna le figure è di una notevole chiarezza descrittiva.
Per ottenere cariche di segno sicuro sulle bacchette strofinate con un panno di lana ben asciutto in un ambiente secco, è bene usare plexiglas, perpex, lucite o vedril; la lana toglie elettroni dalla superficie delle bacchette. Per ottenere cariche negative, sempre usando la lana, si possono usare molti polimeri sintetici (evitando il sinvet, il nylon e il poliuretano); in questo caso la lana cede elettroni alla bacchetta.
Le resine sinte
tiche possono avere un comportamento capriccioso ed è bene testarle più volte col procedimento di seguito descritto, didatticamente molto valido. L`elettroscopio ha una piccola capacità e, quando sulle foglioline è presente un eccesso di cariche di un certo segno, fornisce un`indicazione molto approssimativa del potenziale raggiunto, data dall`angolo che si forma fra le foglioline.
L`angolo è dovuto all`equilibrio tra il peso di ciascuna fogliolina e la forza di repulsione elettrica tra di esse: al crescere della forza elettrica l`angolo aumenta seguendo una legge un po` complessa. Esso dunque segnala la presenza di cariche.
Quando viene caricato per contatto, dopo aver tolto la bacchetta, lo strumento mantiene la carica per un certo tempo, scaricandosi lentamente.
Quando la bacchetta viene solo accostata, è soggetto a induzione elettrostatica e allora l`indicazione dipende dalla vicinanza dell`oggetto carico; infatti, se questo viene allontanato progressivamente, le foglioline tendono a ricadere verso il basso poiché gli elettroni di conduzione (che si erano spostati da una parte lasciando altrettanti ioni positivi dall`altra parte) vengono attratti dagli ioni positivi e le foglioline tornano ad essere neutre.
L`elettroscopio è affidabile in un ambiente secco; una eccessiva umidità lo scarica rapidamente o ne impedisce la carica. Esso è sensibile pure alla geometria e alla natura dei corpi circostanti e, anche se fornisce indicazioni qualitative, queste debbono essere interpretate correttamente.
Per il riconoscimento del tipo di carica si strofina una bacchetta di plexiglas con un panno di lana asciutto: la bacchetta si carica positivamente. Con questa poi si tocca l`elettrodo dell`elettroscopio e si osserva il divergere delle foglioline. Se si accosta ora una bacchetta carica dello stesso segno, le foglioline divergeranno ancor di più; mentre se si avvicina un`altra bacchetta carica di segno opposto (ad esempio resina sintetica strofinata col panno di lana) le foglioline dapprima si avvicineranno per poi divergere di nuovo. Il diverso comportamento indica che la carica è di segno uguale o di segno opposto a quella dello strumento. Durante le operazioni può accadere che scocchi una piccola scintilla tra la bacchetta e l`elettrodo, falsando la prova.
È ovvio che inizialmente si può usare una bacchetta di resina sintetica carica negativamente e allora bisogna mutare tutti i segni riportati nei disegni; la procedura di riconoscimento resta comunque la stessa.
Anticamente si usavano bacchette di vetro che però è igroscopico e di non facile uso, e invece delle resine sintetiche si usava l`ebanite (gomma naturale vulcanizzata con una piccola percentuale di zolfo) anch`essa di non facile elettrizzazione; l`ambra
(ήλεκτρον, electron in greco) era troppo costosa.
Per scaricare l`elettroscopio è sufficiente toccarlo con un dito collegandolo a terra per mezzo del corpo; operazione che da esiti diversi se per caso si indossano scarpe isolanti, allora è opportuno ricorrere ad un filo conduttore collegato ad una buona terra.
Altri impieghi comuni sono: la dimostrazione dell`induzione elettrostatica con due elettroscopi e un conduttore; l`illustrazione degli effetti della gabbia o del pozzo di Faraday-Beccaria; l`indicazione dei potenziali nel condensatore di Epino; ecc..
La pag. 32 è tratta da J. E. H. Gordon, A Physical Treatise om Electricity and Magnetism Vol. I, D. Appleton & Co. New York, 1889. Che si può vedere all’indirizzo:
https://archive.org/details/aphysicaltreati04gordgoog/page/n58/mode/2up?q=J.+E.+H.+Gordon+A+Physical+Treatise+om+Electricity+and+Magnetism+Vol.+I.

L`oggetto è esposto al Museo MITI su proposta di Fabio Panfili.
Bibliografia.
Le figure, come si è detto, sono tratte da E. Ravagli, R. Cerruti Sola, Fisica Applicata, Vol. II, Calderini, Bologna 1983.
Per avere una esauriente panoramica sulle caratteristiche dei materiali delle bacchette si consiglia: F.A. Levi, E. Bilancia. P. Maltese, Triboelettricità nella didattica, Giornale di Fisica, Vol. XXX, N° 4, 1989.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
 
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