Elettromagnete tipo Ruhmkorff, Off. Galileo. Nell’inventario D del 1956 al n° 4458 si legge: “Banco di Ruhmkorff“, registrato il 30/12/1968.
E. D. Ruhmkorff (1803-1877), l’inventore del famosissimo rocchetto che porta il suo nome, fu il primo a ideare un elettromagnete che per oltre un secolo è stato utilizzato per svariate esperienze nelle quali è richiesto un forte campo magnetico.
Per dare una succinta descrizione dell’apparecchio, corredata dalle opportune immagini, si è deciso di suddividere in due schede le spiegazioni poiché si parlerà delle proprietà magnetiche dei materiali, dell’induzione magnetica ed elettromagnetica, e dell’influenza di un campo magnetico sulla polarizzazione della luce.
Iniziamo qui con la descrizione dell’elettromagnete, di dimensioni ragguardevoli (90 × 20 × 55 cm) e di massa complessiva di 95 kg.
Esso è costituito da un robusto e massiccio banco di ferro lungo il quale scorrono le due squadre di notevole spessore che si possono fissare stringendo fortemente le viti di pressione con le grosse manopole, sottostanti le guide e ben visibili nella foto.
Sulla parte superiore di ognuna delle due slitte è fissato il nucleo orizzontale di ferro sul quale è avvolto un rocchetto di un lungo filo di rame ben isolato di grossa sezione.
L’accuratezza nella lavorazione di tutte le parti rende sia ben manovrabile il posizionamento dei rocchetti, sia la continuità del circuito magnetico con un traferro complessivo trascurabile.
Agli estremi dei nuclei sono disposte le montature per i polaroidi; ognuna delle due reca un cerchio graduato con un indice mobile sia per posizionare il polarizzatore sia per la misura della rotazione da dare al polaroide analizzatore onde riottenere il valore massimo della luce trasmessa.
Vi sono quattro coppie di espansioni polari di forma diversa, facilmente intercambiabili: una coppia cilindrica a faccia piana di diametro 6 cm; una coppia a profilo tronco-conico con un foro assiale per il passaggio della luce; una a profilo arrotondato ed un’altra con testa semi arrotondata. Le foto delle espansioni, nonché i numerosi accessori sono descritti nella seconda parte.
Nella figura 1 vi è lo schema di collegamento delle bobine: ai numeri 1 e 2 fanno capo gli avvolgimenti dei rispettivi rocchetti. Ai numeri 3 si collegano, con appositi conduttori, i morsetti dell’invertitore (visibile anche nella foto) con la scritta “alle bobine”.
Ai morsetti con la scritta “alimentazione” si allaccia il potente alimentatore in corrente continua, non riportato nelle schede.
Le due bobine si possono alimentare in serie o in parallelo agendo sui morsetti 1 e 2, senza togliere i conduttori collegati all’invertitore. Questo serve ad aprire o chiudere il circuito e invertire la corrente circolante nei rocchetti.
È sempre opportuno inserire nel circuito di alimentazione un reostato per ridurre la corrente prima di toglierla o di invertirla, onde evitare il danneggiamento dell’isolamento dovuto alle eventuali controforze elettromotrici autoindotte all’apertura del circuito.
Si possono dunque ottenere poli eteronimi affacciati o poli omonimi a seconda degli esperimenti.
Nella disposizione in serie non si devono superare i 30 V e i 7 A; nella disposizione in parallelo i 15 V e i 14 A. Per una durata massima di 20 secondi di corrente nella disposizione in serie si potrebbero raggiungere i 25 A, ma è sconsigliabile.
Nella figura 2 è riportata la curva di magnetizzazione per i 4 tipi di espansioni polari, per collegamento in serie e poli eteronimi con traferro di 1 cm. Si ricorda che un weber (Wb) è la misura del flusso magnetico: 1 Wb = 1V 1s = 1T 1m² .
Esistono sostanze otticamente attive che sono in grado di ruotare il piano di polarizzazione della luce, ma M. Faraday nel 1845 scoprì che un forte campo magnetico può produrre un effetto analogo in un corpo otticamente non attivo.
Tra gli accessori dell’elettromagnete c’è un cubo di vetro flint, privo di tensioni interne; condizione questa indispensabile per avere una buona riuscita dell’esperimento, poiché le tensioni interne modificano il piano di polarizzazione introducendo effetti indesiderati.
Le tensioni interne si rivelano semplicemente ponendo un oggetto trasparente tra due polaroidi: si fa passare luce attraverso il primo polaroide (polarizzatore lineare) e si ruota l’altro polaroide (analizzatore lineare). Con questa semplice operazione si osservano all’interno dell’oggetto trasparente disegni sfumati con curiose regolarità che variano al ruotare dell’analizzatore.
Per eseguire la prova della scoperta di Faraday si pone il cubo di vetro flint tra le due espansioni polari tronco coniche con foro al centro e si fa passare un raggio di luce monocromatica da un polaroide (polarizzatore) all’altro (analizzatore).
Se si usa il laser a gas He-Ne anche di potenza 1 mW la luce che passa va raccolta su uno schermo bianco per evitare danni alla retina degli occhi, oppure si espande il raggio laser con una lente. Altrimenti si usa la luce gialla quasi monocromatica del sodio che permette una visione diretta. Si ruota l’analizzatore fino a quando la luce che passa si riduce al minimo, poi si fa passare corrente nelle bobine e il campo magnetico produce la rotazione del piano di polarizzazione con conseguente aumento della luminosità in uscita, quindi si ruota l’analizzatore per mezzo dell’indice fino ad ottenere di nuovo il minimo di luce trasmessa e l’angolo letto fornisce la rotazione del piano di polarizzazione dovuta all’effetto del campo magnetico sulla luce.
La luce bianca non è adatta poichè il campo visivo appare colorato e, ruotando l’analizzatore, esso assume tutte le colorazioni arrecando disturbo alla misura.
Il polaroide è uno strato di iodiochinina solfato detto herapatite, (miliardi di microcristalli ugualmente orientati) immerso in acetato di cellulosa che trasmette solo onde elettromagnetiche le sui componenti siano giacenti in un determinato piano (ciò è riferito nell’ambito della descrizione classica della luce). Ma mentre un polarizzatore lineare piano ideale trasmette il 50% della luce incidente, il polaroide ne trasmette solo il 32%, da qui il suo nome NH32.
Dal dicembre del 2012 il dott. Paolo Brenni (per la Fondazione Scienza e Tecnica) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra molti degli esperimenti descritti in queste due schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti. www.youtube.com/user/florencefst .
La figura 144 è a pag 162 di L. Graetz, Die Elektrizität und ihre Anwendungen. Stuttgart. Verlag Von J. Engelhorn 1906. Rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/dieelektrizittu00graegoog/page/n29/mode/2up
Bibliografia.
Istruzioni delle Officine Galileo Firenze n° 110800 da cui sono tratte le figure 1 e 2 e la figura dell’elettromegnte.
L. Graetz, L’elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi, Milano 1907.
R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Phisics, Vol. I, H. Addison – Wesley, P. C. Massachusetts, 1964.
D. Pescetti, E. Piano, Pacchetto polarizzazione della luce, T.C. Bologna 1980.
Per consultare la seconda parte scrivere “elettromagnete” su Cerca.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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