Questo dispositivo per l`arco voltaico è stato costruito dalla E. Leybold`s Nach. A.G. come si legge ancora sulla base, nonostante la scritta sia consunta dal tempo e dall`uso.
Si legge inoltre qualcosa come: “mecha(nical)”; le altre lettere sono troppo rovinate per una sicura interpretazione. Comunque una conferma in tal senso ci viene dalla figura che si trova su due cataloghi in edizione inglese e francese della E. Leybold`s Nachfolger A. G. Cologne dei primi anni del Novecento, nei quali si dice che il suo uso era anche per proiettori cinematografici. Vi si legge inoltre che gli elettrodi andavano posizionati orizzontalmente per un miglior rendimento e che la loro distanza andava regolata a mano se la tensione superava gli 80 volt.
Nell`inventario generale n° 6 del 1925 a pag. 67, n° 2278/177, si legge: “Provenienza Zambelli Torino. Lampada ad arco. ₤ 632,60”.
E al n° 2279/178 si legge: “Disco revolver p. detta con 6 carboni. Corrente continua. ₤ 147,60”.
Nell`inventario generale N° 6 del 1925/1927, pag. 69, al n° 2263/162 si legge: “Zambelli Torino [importatore N.d.R.] Lampada ad arco. Disco revolver p. detta con 6 carboni – corrente continua. ₤ 147,60”.
È curioso notare che nell`inventario particolare per reparto n° 7 del 1925/1927 al n° 178/2279 si legge: “Disco a revolver per detto a 6 carboni per corrente alternativa”.
Infatti il disco a revolver è un accessorio della lampada ad arco e sicuramente sono stati acquistati entrambi (vedi figure 3401 e 3412). Inoltre erano adatti sia per corrente continua sia per alternata.
Forse era usato come lampada per il proiettore Leybold`s Nachfolger che fa parte della collezione del Montani e che si può vedere scrivendo “Rhein” su Cerca.
In esso manca l`elettrodo superiore.
Da notare nelle foto sia il rivestimento a grani di rosario, atto ad assicurare un buon isolamento dei due fili di collegamento, sia il sistema di avvicinamento e regolazione della distanza fra gli elettrodi.
A differenza dei più diffusi congegni ad arco, questo presenta il revolver con sei elettrodi di carbone, molto comodo per intervenire rapidamente per ricostituire l`arco senza dover sostituire l`elettrodo.
Esso era adatto per correnti intorno ai 30 ampére, aveva all`acquisto 12 carboni di ricambio.
Le tre viti isolate termicamente servivano per regolare le posizioni dei carboni e ad abbassare, sollevare e spostare lateralmente la luce.
L`arco voltaico fu ottenuto per la prima volta dal H. Davy nel 1819 (o nel 1803 o 1809 secondo altri autori) per mezzo di una pila di 2000 elementi, i cui poli erano uniti con due cilindri di carbone di legno orizzontali allineati.
Portando prima a contatto i due carboni e poi allontanandoli gradatamente, si stabilisce tra le punte vicine un flusso di gas, aria e particelle di carbone minutissime, incandescenti, incurvato dalla corrente d`aria calda ascendente con produzione di calore e di intensa luce bianca.
Fu lo stesso Davy a chiamarlo arco per la sua forma e voltaico in onore del famoso italiano.
Ponendo dunque a contatto le punte di due cilindretti di carbone di storta (elettrodi), collegati con i poli di un generatore elettrico la cui f.e.m. non sia inferiore a 40 V, le punte si arroventano per effetto Joule essendo la resistenza molto grande nel punto di contatto.
Staccate allora le punte di qualche millimetro, si forma nello spazio tra i due cilindretti una regione di vapore incandescente che emette luce vivissima, al punto che nelle antiche lampade ad arco si dovevano usare globi diffusori smerigliati od opalizzati per ridurne la forte componente violetta e ultravioletta che, oltre a provocare danni alla vista, darebbe all`occhio una sensazione di luce “fredda”, anche se nella realtà fisica essa è dovuta alla temperatura molto alta.
L`occhio umano è molto sensibile al giallo-verde che interpreta la luce come “calda” specialmente anche quando sono presenti il rosso e l`arancio.
L`analisi spettrografica della luce emessa mostra che l`arco è costituito essenzialmente dai vapori della sostanza che costituisce gli elettrodi.
Come per molti fenomeni, non esiste ancora una teoria soddisfacente per l`arco voltaico. Si ammette che per innescare e mantenere il funzionamento sia necessario avere un catodo incandescente che emetta elettroni per effetto termoionico.
Questi elettroni, accelerati dal campo elettrico presente in prossimità del catodo produrrebbero per urto la ionizzazione dei gas.
L`arco voltaico veniva usato nell`illuminazione delle strade e delle case dal 1850 (nel 1848 infatti Foucault aveva inventato un dispositivo di avvicinamento automatico e aveva sostituito il carbone comune col carbone di storta più duro) fino ai primi anni del Novecento e negli apparecchi da proiezione cinematografica fino a oltre la metà del Novecento.
Bisogna distinguere l`arco voltaico dalla scarica elettrica; quest`ultima in aria secca si ottiene quando si crea un campo elettrico dell`ordine di 32.000 volt per cm (rigidità dielettrica) necessario per ionizzare l`aria che diventa conduttrice.
Invece, come si è già accennato, l`arco è una forma di conduzione stabile nei gas, che si verifica fra elettrodi di carbone o metallici alimentati in corrente continua o alternata in aria o in particolari gas e che richiede differenze di potenziale di qualche decina di volt ma correnti dell`ordine di decine di ampére.
Nel caso di arco elettrico alimentato a corrente continua si chiama anodo l`elettrodo a potenziale più alto, catodo quello a potenziale più basso.
Durante il funzionamento il carbone positivo (anodo) si consuma con rapidità circa doppia di quella del carbone negativo (catodo); inoltre sulla estremità rovente dell`anodo si forma un cratere, mentre il catodo diventa a punta. Nell`arco elettrico si distinguono tre regioni: due molto prossime, rispettivamente, al catodo e all`anodo, in cui si hanno cadute di tensione per l`accumulo di elettroni e ioni; una centrale, che si estende per la maggior parte dell`arco elettrico, in cui si genera il plasma (mescolanza di elettroni, ioni e particelle neutre).
L`arco elettrico è caratterizzato da alta densità di corrente nel plasma e sugli elettrodi; elevata temperatura del plasma (3000-6000 ºC). Secondo altri autori si raggiungono 2500 °C sul carbone negativo e 3700 °C su quello positivo, secondo altri autori ancora il plasma raggiunge addirittura i 7000 °C .
L`arco elettrico può svilupparsi in aria libera o in contenitori chiusi e, quasi sempre, deve essere adescato: cioè gli elettrodi devono essere portati inizialmente a contatto così da rendere incandescente il catodo. Nel primo caso, per esempio tra due elettrodi di carbone, distanti pochi millimetri, sono sufficienti poche decine di ampére per dar luogo a un arco elettrico di intensa luminosità; questi tipi di arco elettrico erano utilizzati per esempio nelle lampade per proiettori cinematografici, come si è già detto.
In questi, per aumentare la luminosità e la stabilità dell`arco elettrico, si ponevano anche sali metallici all`interno degli elettrodi i quali avevano involucri di rame.
Altri impieghi dell`arco elettrico in aria libera tra elettrodi metallici si hanno nella saldatura elettrica e nei forni elettrici ad arco, nei quali l`arco elettrico (talvolta gigantesco) si genera tra elettrodi di carbone e metallici con correnti che possono raggiungere le migliaia di ampère e servono per la fusione di sostanze che richiedono temperature superiori ai 3.000-4.000 °C.
In contenitori chiusi, di vetro, di quarzo o metallici, l`atmosfera gassosa dell`arco elettrico è costituita da vapori del catodo (mercurio o altri tipi di gas rari).
Tale tipo di arco elettrico era utilizzato per trasformare la corrente elettrica da alternata in continua, oppure anticamente per realizzare vari tipi di lampade.
L`arco elettrico è possibile che si formi tra i contatti delle apparecchiature elettriche destinate all`apertura e chiusura dei circuiti. Dato che risulta dannoso per i contatti stessi si ricorre a diversi accorgimenti per estinguerlo rapidamente e limitarne gli effetti termici.
Un tempo il fenomeno dell`arco elettrico era anche utilizzato per produrre onde elettromagnetiche per trasmissioni radio.
La foto dell`arco è tratta da: L. Miano, Fisica ed esercitazioni, Vol. II, Fabbri Editori, Milano 1984.
Le notizie riguardanti questo esemplare sono state tratte dal Catalogue des Appareils pour l`Enseignement de la Physique costruit par E. leybold`s Nachfolger, Cologne, 1905, rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
e dal Catalogue of Physical Apparatus (with descriptions for use) E. Leybold’s Nachfolger, Cologne, (Germany) dei primi del Novecento. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/
Dai due cataloghi sono tratte le figure 2195-2196 e 3401, 3403, 3401-3412, 3402.
Per consultare le altre due schede scrivere “voltaico” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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