Diapason elettromagnetici.
L`esemplare delle Officine Galileo Firenze, che porta incisa la scritta: “La3, 864 VS N° 100032”, è riportato nell`inventario del 1926 al n° 717-2299 dove si legge: “Officine Galileo Firenze. Diapason elettromagnetico” (prima foto).
L`esemplare della Allocchio Bacchini & C-Milano N° 21521 è nell`inventario D del 1937 col n° 475 (seconda foto).
Quello della Phywe (128 Hz) non risulta inventariato (terza foto).
Il diapason elettromagnetico delle Officine Galileo presenta un particolare curioso: 864 Vibrazioni Semplici che corrispondono a 432 Vibrazioni Complete (Hz). All`epoca, il diapason La3, detto corista, aveva una frequenza di oscillazione di 435 Hz, come era stato fissato nel Congresso internazionale di Vienna del 1885. Oggi invece il La3 corrisponde a 440 Hz.
Essi sono privi della cassetta di risonanza, ma è sufficiente appoggiarli su un tavolo per ottenere un suono persistente di una certa intensità.
Il diapason elettromagnetico della Allocchio Bacchini & C. ha le caratteristiche di un dispositivo avente lo scopo di generare una corrente alternata di frequenza costante (1000 Hz), uguale a quella propria del diapason e di forma molto prossima a una sinusoide.
L`esemplare della Phywe è un semplice elettrodiapason da dimostrazione, esso risuona a 128 Hz, che corrisponde al Do2 dell`epoca (era il primo Do del violoncello). Il graffietto, presente all`estremità di un rebbio, serve per visualizzarne la vibrazione poiché lascia una traccia su un vetrino affumicato, opportunamente mosso. Il Do2 odierno ha una frequenza di 132 Hz.
Un sistema meccanico per oscillare deve avere elasticità e inerzia e per metterlo in vibrazione basta una sollecitazione iniziale, ma le sue oscillazioni non sono persistenti poiché l`inevitabile perdita di energia ne produce lo smorzamento, come accade nel diapason. Se invece le sollecitazioni si succedono in accordo col periodo proprio del sistema, allora l`oscillazione si mantiene. Come accade ad esempio con l`altalena.
L`elettrodiapason ottiene questa persistenza nel modo seguente (vedi figura sopra). Quando i rebbi si allargano la lamina L tocca la punta della vite V di regolazione, chiudendo il circuito elettrico della pila P. La corrente passa così nell`avvolgimento dell`elettrocalamita SN che attrae i rebbi avvicinandoli; il circuito allora si apre, i rebbi si allontanano l`uno dall`altro per elasticità e continuando poi per inerzia superano la posizione di riposo. Essi verrebbero comunque richiamati verso la posizione di riposo dalla forza elastica, ma nel frattempo la lamina tocca di nuovo la punta della vite, la forza magnetica accentua l`avvicinamento dei rebbi e il processo si ripete. Se non ci fosse la forza magnetica, i rebbi continuerebbero a vibrare di moto armonico smorzato per qualche tempo, invece il sistema elettromagnetico interviene con lo stesso periodo proprio del diapason, producendo oscillazioni forzate persistenti.
Questo apparecchio all`epoca poteva venire usato: per la taratura di strumenti elettroacustici, come modulatore nei generatori ad alta frequenza, per la taratura di strumenti di misura, per orologi elettrici, per la stabilizzazione di frequenza nei radiotrasmettitori, ecc., oltre naturalmente, a scopo didattico, per riprodurre fenomeni di interferenza, battimenti ecc. .
Intorno al 1860, H. von Helmholtz a R. Koenig inventarono e costruirono un diapason elettromagnetico che per la prima volta forniva un suono continuo ad una data frequenza. Secondo altri autori la sua invenzione si deve invece a M. Mercadier e avvenne intorno al 1873.
La figura dell’elettrodiapason delle Officine Galileo-Firenze è tratta da Notizie per i Laboratori Scientifici e Industriali a cura delle Officine Galileo – Firenze, N. 71-72 Marzo-Maggio 1933. Apparecchi Speciali per lo Studio delle moderne Applicazioni Elettriche. Generatore a Diapason.
La ditta costruiva due tipi di generatori a diapason. Uno di precisione, corredato da un amplificatore termoionico e un termostato, forniva una corrente alternata di forma quasi sinusoidale e frequenza costante conminima percentuale di armoniche. Un altro assai più semplice da dimostrazione, per uso scolastico, per il cui funzionamento occorreva una f.e.m. di 4 V. “L’elettrodiapason è montato su una spessa lastra di ebanite incassata in una solida casseta di noce lucidata a spirito”.
La figura H 734 è tratta dal catalogo Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica a cura del prof. R.
Magini, Officine Galileo, 1940.
La figura 2197 è tratta da Catalogue des Appareils pur l’Enseignement de la Physique construits par E.
Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905, rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
Bibliografia.
Notizie per i laboratori scientifici e industriali, Officine Galileo-Firenze, marzo-maggio 1933, n° 71-72.
G. Castelfranchi, Fisica sperimentale e applicata, Vol. I, U. Hoepli, Milano 1941.
Scheda di istruzione N° 184 della Paravia, del Gabinetto di Fisica del Montani.
M. Michetti, Fisica, Vol. I, Canova, Treviso 1972, da cui è stata tratta la figura senza numero.
I primi due diapason elettromagnetici sono esposti al Museo MITI su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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