Cubo in vetro d’uranio


                   Cubo in vetro d’uranio.
Nell’inventario D del 1937 si trova al n° 1075: “Cubo in vetro d’uranio. Ing. Barletta & C. Milano. ₤ 45”.
Circa 50 anni dopo la scoperta dell’elemento uranio, avvenuta nel 1789, i composti dell`uranio, in genere uranati, vennero impiegati come coloranti per vetri, specialmente tra il 1880 e il 1920. La percentuale di uranio è di solito inferiore al 2 % in peso, anche se nell’Ottocento si arrivò al 25 %.
Questi tipi di vetri ovviamente presentano una debole radioattività.
Essi, illuminati con luce ultravioletta, emettono per fluorescenza una luminescenza verdastra. In questo sito si può osservare un tubicino Geissler la cui parte centrale è in vetro d’uranio.
La fluorescenza cessa non appena la luce ultravioletta cessa, mentre è noto che la fosforescenza permane per un certo tempo dopo l’eccitazione luminosa.
Per inciso i tubi per l’illuminazione più diffusi, detti impropriamente neon, sono a fluorescenza e la scarica elettrica interna produce raggi ultravioletti i quali vengono trasformati in luce visibile dalle particolari vernici depositate all’interno del vetro.
La fluorescenza è dovuta all’eccitazione degli atomi nell’assorbire la luce ultravioletta e alla successiva emissione luminosa a frequenza inferiore nel visibile.
Si fa osservare che se si illumina una faccia del cubo, gli strati di vetro anteriori emettono chiaramente, mentre quelli più profondi diffondono sempre meno; se si allineano due cubi, il secondo resta inerte.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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