Un coherer attribuito a Temistocle Calzecchi Onesti

Un coherer forse realizzato da T. Calzecchi Onesti
di Fabio Panfili           Gennaio 2025

Questo coherer è conservato presso il Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma e sembra sia stato realizzato  da Temistocle Calzecchi Onesti durante la sua permanenza in  quella Scuola.
Il Liceo fu fondato nel 1879 e nel 1881 fu denominato Umberto I, nome che conservò fino alla nascita della Repubblica Italiana.
Da un documento rinvenuto e fotografato dal prof. Stefano Gianoglio, su indicazione della prof.ssa Federica Favino, si evince che T.C.O. insegnava in quella Scuola nel 1911.

Qui sotto riportiamo  un particolare di una pagella dove appare sulla sinistra in basso la firma di T.C.O. .
Come si può leggere in questo sito nell’articolo: «Temistocle Calzecchi Onesti, il coherer e un convegno del 1985», T.C.O. insegnò dapprima  all’Aquila, poi a Fermo al Liceo A. Caro dove scoprì il coherer, poi a Milano, dove insegnava il suo amico d’infanzia prof. Oreste Murani, e infine a Roma, prima di tornare a Monterubbiano.
Le due foto sotto mostrano altri particolari del coherer.
Il sig. Vincenzo Panetta, la prof.ssa Astrik Gorghinian e il sig. Leopoldo Della Corte del Liceo P. Albertelli hanno eseguito una prova di funzionamento risultata positiva e hanno realizzato un video della prova.
Li ringrazio.
Ringrazio il prof. Stefano Gianoglio per le preziose indicazioni e la foto della pagella; ringrazio la prof.ssa Federica Favino, che ha suggerito a Gianoglio dove fare le ricerche, e il sig. Vincenzo Panetta per le foto del coherer.

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È interessante leggere la  storia del Liceo:
https://piloalbertelli.it/la-scuola/la-storia/

 

 

 

 

 

Anello saltatore (Jumping Ring)

ANELLO SALTATORE (Jumping Ring) CONSIDERAZIONI TEORICHE E RILIEVI SPERIMENTALI

di Lorenzo Cognigni
30 gennaio 2024

SINTESI
L’esperimento dell’anello saltatore (eseguito per la prima volta da Elihu Thomson nel 1887 e successivamente esteso con la levitazione da John A. Fleming nel 1890) è la più evidente dimostrazione applicativa della legge dell’induzione elettromagnetica: un anello conduttore, di diametro leggermente più grande del nucleo,  viene posto a circondare il nucleo ferromagnetico di una bobina (vedere nella foto sotto), ad una certa distanza dalla sua base  e fatto saltare e/o levitare al passaggio di corrente alternata nella bobina avvolta intorno al nucleo.
DESCRIZIONE DELL’APPARATO SPERIMENTALE
La prima foto mostra l’apparato sperimentale utilizzato e presentato  da chi scrive in occasione del Tombolone scientifico” all’ITT Montani di Fermo.
Il Tombolone scientifico è un insieme di giochi scientifici costituiti da 90 esperimenti interattivi organizzati nei vari plessi dell’Istituto. I partecipanti ricevono una cartella con 5 numeri corrispondenti a 5 esperimenti e, sotto la guida di uno staff di studenti e docenti del Montani, ognuno  di essi arriverà a fare “Tombolone”  svolgendo e/o assistendo alle esperienze assegnate; tutti riceveranno un premio inerente alla curiosità scientifica e tecnica.
Esso è diventato una tradizione che dura da più di 17 anni e che vede una larga partecipazione di pubblico.
L’apparecchio è costituito da un solenoide di 850 spire realizzato da chi scrive con le attrezzature della scuola con filo smaltato di rame di 2,1 mm di diametro avvolto su un supporto tubolare in plastica all’interno del quale è stato inserito un nucleo ferromagnetico costituito da fili di ferro dolce. Il circuito magnetico sporge verso l’alto dal solenoide per circa 45 cm. Le dimensioni geometriche dell’apparato sono riportate in figura 1; esso è alimentato alla tensione di rete a 230 V.
Figura 1 – Dispositivo di prova (nucleo in ferro)

Al posto dei tipici anelli sono stati utilizzati  cilindretti cavi di alluminio di varia altezza il cui diametro interno è leggermente più grande del diametro del nucleo ferromagnetico e presentano un minore attrito con l’aria durante la fase di espulsione  rispetto agli anelli tradizionali. Le numerose misure condotte in laboratorio hanno consentito di determinare tutti i parametri elettrici del modello circuitale della bobina.
Allo scopo è stato utilizzato lo strumento da tavolo “MeetBOX-25P+6” di IRS didattica che contiene al suo interno schede di acquisizione National Instruments: cDAQ NI 9202, cRIO NI 9411, NI 9210.
In pratica lo strumento può essere impiegato per la trasduzione di segnali elettrici monofase, trifase e per l’acquisizione di altri segnali analogici tramite software LabVIEW. Può inoltre gestire gli I/O digitali messi a disposizione sistema DAQ.
La serie di misure ha consentito di rilevare la tensione di alimentazione, la corrente assorbita e lo sfasamento tra esse.
La corrente assorbita dalla bobina è fortemente deformata rispetto all’andamento sinusoidale della tensione impressa. Ciò è ovviamente dovuto alla non linearità introdotta dal ferro del circuito magnetico. La figura 2 mostra la schermata di acquisizione relativa al cilindretto cavo di altezza 25 mm.
Figura 2 – Schermata elaborazione dati acquisiti con MeetBOX.

I calcoli, effettuati con la sola corrente fondamentale, avente stessa fase e valore efficace di quella reale, hanno fornito i seguenti risultati: le correnti assorbite, primaria I1 (nella bobina) e secondaria I2 (nel tubolare), presentano, nel campo di variazione delle altezze del cilindretto cavo (da 5 mm a 65 mm), un massimo in prossimità del valore h = 25 mm (figura 3).
Figura 3 – Andamento delle correnti nella bobina (I1) e nel cilindretto cavo (I2).

Anche l’andamento della potenza assorbita P (e quella dissipata per effetto Joule ΔP) mostra un massimo in corrispondenza dell’altezza h = 25 mm (figura 4).Figura 4 – Potenza assorbita dalla bobina e potenza dissipata nel cilindretto cavo.

L’andamento crescente di I2 con h non porta ad un aumento dell’altezza di lancio. Probabilmente per via dell’aumento di peso del tubo e degli effetti di saturazione.
Per migliorare le prestazioni dello “sparo” è stata effettuata anche una prova di lancio collegando in serie al circuito un condensatore di capacità 200 μF (condizione di risonanza con tubo h = 25 mm):
Il salto è aumentato di circa 50 cm, ma non in modo sorprendente come ci si aspettava (forse per la saturazione del circuito magnetico).
Il Prof. Guido Pegna in un suo articolo [1] fra l’altro ha riportato fondamentali correzioni alle spiegazioni che si trovano in letteratura sul funzionamento dell’apparato di Thomson.
 Il 15 gennaio del 2024 Fabio Panfili, che nutre alcune perplessità dovute a lacune nelle spiegazioni teoriche del funzionamento dell’apparecchio di E. Thomson, ha suggerito a chi scrive di mettere l’apparato in orizzontale e di porre dapprima un anello conduttore tra la base e la metà della bobina per vederne il comportamento in seguito al passaggio della corrente nella bobina (caso a).
Successivamente si mette l’anello tra la metà della bobina e la parte più lontana dalla base e si fa passare la corrente (caso b).
Figura 5 – Un esperimento inusuale

Il giorno 16 /01/2024 chi scrive ha realizzato un anello di filo di rame di diametro più grande della bobina ed ha eseguito  l’inusuale esperimento.
Con non poca meraviglia si è visto che nel primo caso l’anello va verso la base, mentre nel secondo caso l’anello si allontana dalla base.
Questo fenomeno pone un problema di non immediata soluzione sulle cause di questo comportamento.
Inoltre, in linea esclusivamente teorica, se l’anello  si trovasse esattamente nel mezzo della bobina dovrebbe restare in equilibrio. In pratica questa condizione è ovviamente irrealizzabile.
 Successivamente l’apparecchio è stato messo in verticale e, a parte l’effetto del peso dell’anello di rame,  il comportamento era identico.Nelle due  figure tratte da Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construits par E. Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905;  rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf  si vede un antico apparecchio di Elihu Thomson. La fig. 8576 mostra che, se si tiene una spira ferma che circonda il nucleo, in essa si induce una  corrente che accende una lampadina.
Nelle foto in fondo al testo si vedono due esemplari di apparecchi di Thomson che fanno parte della collezione del  Montani.

DESCRIZIONE DELLA SECONDA SERIE DI ESPERIMENTI – BOBINA IN ARIA (CANNONE ELETTROMAGNETICO)

Una seconda serie di esperimenti è stata condotta con una bobina di poche spire (25 di diametro) di forma piatta senza ferro ed un anello di alluminio. L’esperimento originale , ideato dal Prof. Pegna [4], prevedeva l’alimentazione della bobina con una corrente impulsiva fornita dalla scarica di un condensatore (2200 μF, 385 V) precedentemente caricato alla tensione di rete:  figura 7 e figura 8 dell’articolo [1] citato in bibliografia.Figura 7 – Il cannone elettromagnetico. Il disco è fotografato spostato per mettere in evidenza la bobina. Il condensatore è il grosso cilindro nero sulla destra, mentre il teleruttore e in primo piano.Figura 8 –  Schema del Cannone Elettromagnetico.  T è un teleruttore con i quattro contatti t1 – t4 in parallelo. C.I. è un diodo LED che indica il livello di carica del condensatore. REMOTE CONTROL è il telecomando, opportuno  per motivi di sicurezza.

In un primo momento si è realizzata e provata la soluzione proposta dal Prof. Guido Pegna ottenendo ottimi risultati: “l’anello” veniva sparato verso l’alto e batteva contro il soffitto, a circa 4 m di altezza (aula laboratorio della scuola).
Per questo motivo il Prof. Pegna lo ha battezzato cannone elettromagnetico.
Successivamente si è pensato che fosse possibile migliorare le prestazioni del dispositivo collegando due condensatori in serie per aumentare la tensione di alimentazione della bobina e, quindi, la corrente circolante nella stessa.
Si è così realizzato un circuito in grado di caricare due condensatori connessi prima in parallelo e, successivamente  con una connessione automatica in serie, provvedere all’alimentazione della bobina.
La figura 6 mostra lo schema circuitale con l’aggiunta di alcuni LED per segnalare il livello di carica dei condensatori.
Il circuito è stato realizzato e collaudato in un primo momento inserendo i condensatori in una scatola di legno sul cui coperchio posticcio era incollata la bobina di lancio. Il primo “tiro” ha prodotto la fusione e la saldatura reciproca dei contatti del teleruttore e lo sfondamento del coperchio di legno lasciando intuire le potenzialità della soluzione.
Ricostruita la scatola contenitore in modo più robusto e sostituito il contattore con uno di maggior corrente nominale si sono ottenuti risultati sorprendenti: l’altezza dello “sparo” (anche nel significato acustico della parola), misurata all’esterno di un edificio con metro laser puntato verso il cornicione del tetto, ha superato i 15 m !
Ovviamente si potrebbe procedere caricando più condensatori e/o realizzando connessioni serie-parallelo per aumentare anche la carica posta in gioco.Figura 6 – Schema circuitale della variante del “cannone elettromagnetico.

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 Bibliografia.
[1] Guido Pegna – L’anello saltatore e nuove storie – La Fisica  Nella Scuola-  Anno XLVI -n.1 – gennaio/marzo 2013.
J. Taweepong, K. Thamahpat, S. Limsuwan – Jumping ring experiment: effect of temperature, non-magnetic         material and applied current on the jump height – I-SEEC2011 Physics Procedia · December 2012.
Paul J. H. Tjossem, Victor Cornejo – Measurements and mechanisms of Thomson’s jumping ring – American         Association of Physics Teachers – Am. J. Phys. 68 ~3!, March 2000.
Paul J. H. Tjossem and Elizabeth C. Brost – Optimizing Thomson’s jumping ring – American Association of Physics  Teachers – Am. J. Phys. 79 14″, April 2011.
Celso L. Ladera, Guillermo Donoso – Unveiling the physics of the Thomson jumping ring – Departamento de Física,        Universidad Simón Bolívar – Caracas 1086, Venezuela – PACS Nos. 41.20.Gz, 85.70.Rp, 41.20.-q, 01.50.Pa, 01.50.My.
Battistini – Elettrotecnica generale – Vol. I e II – Colombo Cursi – Pisa.
A.E. Fitzgerald – C. Kingsley – Jr. A. Kusko – Macchine elettriche – Franco Angeli.

Ringrazio Fabio Panfili per la  preziosa e indispensabile collaborazione e per avermi segnalato nel 2013  l’articolo di Guido Pegna: articolo che mi ha incuriosito a tal punto da costruire sia il “cannone elettromagnetico” con le varianti descritte, sia il tradizionale apparato di Thomson qui esposti.
 Ringrazio inoltre  Rocco Congiusti per la competente e assidua  assistenza durante le misure e le prove sperimentali.

I due apparecchi della collezione del Montani.

 

 

Dalla collezione di Angelo e poi Giuseppe Mandolesi. Alcune pagine di appunti sulle macchine utensili.

Dalla collezione di Angelo e poi Giuseppe Mandolesi.
Alcune pagine di appunti sulle macchine utensili.

di Fabio Panfili

Giuseppe Mandolesi, venuto a mancare nel Marzo del 2023, aveva conservato con molta cura i quaderni, altro materiale scolastico e le cartoline che suo padre Angelo gli aveva lasciato.
I quaderni erano stati usati dal padre Angelo durante la  frequenza  dell’allora Regio Istituto Industriale Nazionale, dall’anno scolastico 1924 /1925 fino all’anno scolastico 1928 /1929.
Così come le numerose cartoline, acquistate nello spesso periodo, riportano le foto dell’Istituto eseguite dallo Studio Seganti nei primi del Novecento.
Esse sono visibili alla voce: Immagini Storiche.
Le ho preferite a quelle conservate nella Biblioteca del Montani, poiché sono molto più nitide.
I direttori dell’epoca erano: dal 1923 al 1928 Plinio Luraschi e dal 1929 al 1937 l’ing. Mario Stella (1), come si vede nel certificato rilasciato nel 1931.
Angelo Mandolesi divenne poi disegnatore in una sede distaccata della FIAT.
 Nel 2015 Giuseppe, dopo aver visitato questo Museo Virtuale, mi aveva contattato per inviarmi le immagini digitali delle cartoline e di alcune copertine di quaderni in suo possesso perché riteneva, a ragione, che potessero interessare i visitatori del sito.
Il suo desiderio era di condividere la memoria del periodo nel quale il padre Angelo era studente dell’Istituto e convittore.
Era evidente nelle sue parole con quale intensità suo padre gli avesse trasmesso i ricordi della permanenza a Fermo.
Già da qualche tempo avevo l’intenzione di presentare alcune pagine di appunti di Meccanica, scritte da Angelo, ma volevo corredarle con un documento della sua promozione finale, conseguita con ottimi voti.
Laura, la consorte di Giuseppe, mi ha dato l’assenso a questa pubblicazione.
La ringrazio.
Quando Giuseppe mi spedì le immagini, pensai di fargli cosa gradita nel rintracciare i documenti che riguardavano il padre Angelo.
 Per mia fortuna c’è un attento conoscitore dell’archivio didattico storico; archivio che si trova nel piano terra in corrispondenza dell’ingresso del Triennio e a cui si accede con una porta che dà sul cortile alberato a ovest del Triennio.
Gaetano Marini mi condusse nel labirinto degli scaffali dell’archivio colmi di numerosissime schede.
Nel brogliaccio dell’archivio non c’era corrispondenza tra il nome e il numero del faldone; Gaetano si mise all’opera e riuscì ugualmente a trovare tutto il materiale documentale.
L’esperto Massimo Ciccola realizzò le copie digitali che subito spedii.

Alcuni documenti, risalenti al 1924, sono bruciacchiati ai bordi, quasi certamente in seguito all’incendio del 1928 (1).
In altre occasioni Gaetano trovò con facilità antichi documenti didattici, richiesti in copia digitale da altri che avevano collaborato in qualche modo alla realizzazione del Museo Virtuale.
Lo ringrazio  per la sua cortesia e disponibilità.
Nel Triennio esistono altri piccoli archivi che pochi conoscono.
Qui riporto un certificato degli esami di licenza e di abilitazione avvenuti alla fine del V° anno scolastico (1928/1929), un documento dai bordi bruciati necessario per l’iscrizione al 1° anno (1924/1925) e alcune pagine del quaderno.
Un sentito ringaziamento va alla famiglia Mandolesi.

Nota (1): Settimio Virgili, Il Montani, Storia dell’Istituto Tecnico Industriale di Fermo, 2005, da pag. 109 a pag. 136.


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La centrale termoelettrica nelle Officine dell’Istituto Montani ricostruita su una documentazione parziale da integrare.

 La centrale termoelettrica nelle  Officine dell’Istituto Montani ricostruita su una documentazione parziale da integrare.
 di Fabio Panfili
La centrale termoelettrica, costruita presso le Officine  dell’allora Scuola Industriale delle Marche (già Scuola d’Arti e Mestieri di Fermo) dopo il 1883, serviva essenzialmente per alimentare elettricamente i reparti delle Officine.
Sotto la direzione dell’ing. Egidio Garuffa, il primitivo macchinario mobile per la produzione di energia  fu sostituito da una centrale motrice fissa(1). Osservare una foto d’epoca.

Mentre in una foto successiva nel tempo si osserva la centrale termoelettrica, centrale che in seguito fu demolita e sostituita con la cabina elettrica che ancor oggi (2023) è al suo posto (1).
La centrale termoelettrica costituisce una efficace sintesi delle due rivoluzioni industriali: la prima dovuta all’invenzione delle macchine a vapore, la seconda all’invenzione delle macchine elettriche.
Queste note  a carattere storico non hanno il supporto di alcuni documenti conservati nella Biblioteca del Montani attualmente chiusa (2023).  Ma sono basate solo sulle fonti di chi ha trovato parte della documentazione inerente a detta centrale, con  alcune planimetrie, cartoline e foto d’epoca. Pertanto esse potrebbero avere  ulteriori sviluppi.

A destra vi è la caldaia Cornovaglia.

La cartolina qui sopra è della collezione Angelo e poi Giuseppe Mandolesi. Generatore e aspiratore Langen  e Wolf.
Le foto sono state attentamente studiate dagli ingegneri Lorenzo Cognigni e Claudio Profumieri; inoltre dai fisici Fabio Panfili ed Elvezio Serena, e dallo storico e biologo Settimio Virgili.
 L’architetta Francesca Turtù (autrice di una tesi di laurea sulla storia delle Officine del Montani(2)), ha fornito preziose indicazioni confermate da una relazione del 1935 firmata dall’allora Preside Mario Stella e pubblicata in questo sito.
Alcune notizie sono dovute al  prof. Cesare Perticari.
Siamo in possesso di altre due immagini di una analoga centrale sorta presso l’Istituto di Argirocastro, forse nel 1930, legato storicamente all’Istituto G. e M. Montani di Fermo, con cui è attualmente gemellato.
Ma le immagini non spiegano sufficientemente le funzioni delle macchine che vi appaiono.
Nel documento a cura del Preside Mario Stella intitolato: Dati Statistici per la Mostra di Istruzione Tecnica del 1936, alle pagine 11 e 12 si legge:
« 63-  N.1 motore a gas povero “Langen  e Wolf” – HP.40 completo di gassogeno Skrubber accoppiato con:
64- N. 1 alternatore  “Siemens Schuchert werke” V.235 A. 3 ÷ 61,5 f. 50 Kw. 25 cos φ = 0,8 N = 1000 eccitato da dinamo V. 65 A. 13,5 Kw. 0,88 n. 1000.
65-  N. 1 motrice a vapore della “Suffert & C.” – Milano.
66-  N. 1 caldaia fissa tipo Cornovaglia della “Suffert & C.” – Milano.
67- N. 1 quadro di distribuzione dell’energia elettrica su pannello in marmo munito di:
  N. 1 amperometro   0 ÷ 100 A.
N. 1 amperometro 0 ÷ 20 A.
N. 1 amperometro 0 ÷ 10 A.
N. 1 voltometro   0 ÷ 260 V.
N. 1 reostato.
N. 2 interruttori ad olio.
N. 3 interruttori unipolari a coltello.
N.1 interruttore bipolare a coltello. »
Tranne il quadro in marmo visibile solo di lato o in parte, la macchina termica a gas povero e la dinamo eccitatrice dell’alternatore, gli altri apparecchi sono tutti ben visibili nelle foto.
Qui ne riportiamo solo alcune  ma  altre foto si possono osservare alla voce: “Immagini d’epoca”. Una pianta risalente al 1907, attribuita al prof . G. Agostini, (insegnante nell’Istituto  ed ex allievo),  indica l’esistenza di due centrali termiche(2)
Una, chiamata “d Motrice ” è ubicata isolata tra i due rami laterali delle Officine, si può individuare nelle due antiche foto degli esterni prese da ovest. Si noti  nella prima foto il flebile fumo uscente da un piccolo tubo.
Un’altra, chiamata “4 Motrice”, è sita sul lato opposto, ma di questa  non abbiamo né foto né alcuna notizia.Mentre la pianta delle officine, redatta dal Lucentini nel 1941 e rinvenuta in un documento risalente al 1951 dall’arch. F. Turtù  nell’Archivio Storico del Montani (2), colloca la centrale termica a sud ovest, tra il Reparto torneria (1), il cortile (3, 4 , 5) e la Saldatura lavorazione a freddo (7, 8). La parete ad ovest confina con la strada.
Nella pianta del Lucentini è presente la cabina elettrica, che oggi (2023) è situata nello stesso posto e  che dunque pare abbia preso il posto della precedente centrale termica visibile nelle prime due foto esterne.
A destra del cerchietto verde si vede la centrale termica e a destra del cerchietto rosso si trova  la cabina elettrica.
Nel documento di M. Stella, visibile in questo sito, a pag. 21 sono elencati i consumi distinti di energia elettrica per motori  e apparecchi da quella per illuminazione.
Una delle più antiche e semplici forme di caldaia a tubo di fumo, denominata caldaia Cornovaglia, fu quella di Richard Trevithick installata intorno al 1812 in una miniera presso Dolcoath.
  L’inizio della diffusione delle caldaie a tubi di fumo (dette anche a tubi di fiamma) risale agli anni tra 1825 e 1830.  Una caldaia Cornovaglia è costituita da un corpo cilindrico il cui diametro può variare generalmente tra 1,5 m e 2,5 m, attraversato per tutta la sua lunghezza da un tubo di diametro piuttosto elevato (circa un metro). Tale tubo contiene ad una estremità (quella di governo) una graticola sulla quale viene posto il combustibile da bruciare; i gas caldi della combustione, alimentata dall’aria esterna, vengono tirati all’interno del rispettivo tubo di fiamma e lo percorrono per tutta la sua lunghezza scaricandosi in un condotto in muratura che li costringono a percorrere un fianco e la parte inferiore della caldaia fino a raggiungere la parte anteriore da dove, sempre mediante canalizzazione in muratura, raggiungono nuovamente la parte posteriore lambendo l’altro fianco e la parte superiore della caldaia; si scaricano infine nel camino dopo avere riscaldata tutta la superficie esterna della caldaia. Una caldaia di questo tipo, data la grande quantità d’acqua contenuta, richiede un periodo di tempo notevole prima di raggiungere il regime di servizio e ciò a causa del rapporto sfavorevole tra volume d’acqua e superficie di riscaldamento. Per contro messe a regime lo mantengono facilmente anche in presenza di forti prelievi di vapore in quanto la quantità elevata di liquido agisce da volano termico.
Nelle foto si vede chiaramente una macchina a vapore con il classico distributore del vapore a cassetta e con sopra il famoso regolatore di Watt. Questa macchina, tramite  cinghie permetteva il funzionamento dei torni e  delle altre macchine operatrici.
Si noti il famoso regolatore di Watt con le due sfere rotanti.
Per il suo funzionamento vedere le figure qui sotto ; si ricorda che cliccando col tasto destro del mouse su una immagine fra le opzioni vi è il suo ingrandimento.
Sul pavimento vi è una traccia del collegamento tra la caldaia e la macchina termica,
Pertanto è necessario ipotizzare che questa macchina a vapore sia stata sostituita successivamente  con una macchina termica alimentata a gas povero collegata direttamente alla grande ruota che tramite una cinghia azionava il generatore elettrico. Macchina che però non si vede chiaramente in nessuna foto.  Si può pensare comunque che sia in parte nascosta dietro il grande volano collegato da una cinghia alla macchina elettrica.
La prima rivoluzione industriale  si può far coincidere storicamente con il brevetto del 1698 della macchina a vapore di Thomas Savery ( 1650 – 1715), che serviva a prelevare acqua nel pozzo di una miniera. Seguirono poi le macchine di Thomas Newcomen (1663 – 1729), di James Watt (1736  – 1819), ed altri.
 R. Trevithick costruisce la prima locomotiva nel 1804 con un motore a stantuffo molto efficiente, perfezionato poi da George Stephenson (1781 – 1848) .
Le figure sono tratte da una gif  che si trova all’indirizzo: Steam_engine_ in_ action.gif  (630×410)
Una certa cautela richiede l’interpretazione delle immagini che riguardano il generatore elettrico. All’epoca erano molto diffuse le dinamo, ma gli esami svolti non danno risposte sul tipo di spazzole e collettore; anzi, la presenza in una foto di due collegamenti distinti, ognuno composto da tre fili, potrebbe suggerire che si tratti di un alternatore trifase, ma c’è qualcosa che ancora non è chiaro nella loro disposizione.
Mentre la prima rivoluzione industriale nacque dalle invenzioni di costruttori ingegnosi e solo in seguito si ebbero gli studi teorici di termodinamica, la seconda rivoluzione industriale è storicamente preceduta da studi e prove sperimentali nei laboratori, a cui molto dopo seguirono le applicazioni industriali. Ad esempio il primo generatore in corrente continua fu costruito nel 1832 da Hippolyte Pixii (1808 – 1835) su suggerimento di André Marie Ampère (1775 -1836 ) (3) .
Dunque la seconda rivoluzione industriale iniziò intorno alla seconda metà dell’Ottocento, ma solo nel 1883 uno dei primi impianti in corrente alternata fu presentato all’Esposizione di Londra ed alimentava un motore ed alcune lampade ad incandescenza.  La centrale termica di S. Redegonda del 1883  disponeva di sei dinamo da 100 KW a 125 volt, ma all’epoca la corrente continua non poteva essere modificata per il suo trasporto in lontananza, mentre con i trasformatori in corrente alternata si poteva fare.  Da qui sorse una disputa mondiale sull’uso delle correnti continua e alternata e quindi sull’uso delle dinamo o degli alternatori (3) .
Con la seconda rivoluzione industriale iniziò la diffusione dell’istruzione tecnica in Italia, della quale l’Istituto Montani è uno dei  precursori.
Nelle immagini si vedono: un cilindro forse per la condensazione del vapore e un quadro elettrico con alcuni strumenti dei quali forse alcuni ci sono pervenuti.
Inoltre dal confronto delle immagini si notano mutamenti sia nella disposizione dei macchinari, dei cilindri, ecc. , sia nel numero di rotismi ad esempio della macchina a vapore, sia di varie tubazioni, lampade, ecc, che fanno pensare a foto eseguite in varie epoche.
Bibliografia.

(1) S. Virgili,  Il Montani, Storia dell’Istituto Tecnico Industriale di Fermo, 2005.

(2) F. Turtù,  L’evoluzione storica ed urbanistica delle officine una rilettura in corso, apparso su AA. VV. ,  Il Montani di Fermo Tutela di un patrimonio,  edito da Italia Nostra Sez. di Fermo, 2000.

(3) AA.VV. PPC Progetto Fisica Voll. A e B,  Zanichelli, Bologna 1986.
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Dati statistici per la Mostra delle Scuole di Istruzione Tecnica del 1936

Pubblicazione a cura di Fabio Panfili.

Tra i numerosi documenti presenti nella Biblioteca dell’Istituto Montani c’è questa relazione, redatta su
ordine dell’allora Preside Mario Stella, a mio parere molto significativa per avere una visione generale dei Laboratori, Officine, Attrezzature e Strumentazioni in dotazione alla Scuola nel 1935.
Infatti, la conoscenza dei numerosi inventari redatti dal 1906 in poi, pur dettagliati e ponderosi, non può dare una descrizione di insieme così efficace.
E dico questo in base all’esperienza che ho maturato negli anni in fatto di consultazione degli inventari!
Nonostante lo scrupolo filologico, dettato dal rispetto verso chi ha redatto il documento, ho corretto le poche voci errate, lasciando intatto, laddove ho potuto, l’aspetto della redazione fatta con la macchina da scrivere e i suoi i tipici caratteri a volte sporchi impressi con l’inchiostro del nastro sulla carta.
Il Dott. Ing. Mario Stella fu Preside dell’Istituto dal 1828 al 1937.
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Bibliografia minima:
Settimio Virgili, Il Montani, Storia dell’Istituto Tecnico Industriale di Fermo, 2005.
Alessandro Marcianesi, Una storia per Immagini Istituto Tecnico Industriale Montani, A. Livi, Fermo, 2004.