Gabbia di Faraday (Museo MITI)

Grande gabbia di Faraday.
Nell`inventario del 1956, risulta acquistata dalla ditta Ing. Ugo De Lorenzo & Co.- Milano il 26 agosto del 1963; al n° 3466 si legge: “Gabbia schermata completa di 2 filtri”. Costo ₤ 2.500.000.
Destinata a Radiotecnica, era usata per attenuare l`influenza di fattori esterni quando si eseguivano il controllo della sintonia di apparecchi radio o prove e misure su circuiti particolari.
Spiegheremo qui di seguito perché non parliamo di assenza di disturbi elettromagnetici esterni.
Le gabbie di questo tipo prendono il nome da M. Faraday, il quale nel 1836 osservò che in un conduttore cavo elettricamente carico le cariche si concentrano sulla superficie esterna e non hanno alcuna influenza su ciò che si trova all`interno.
Inoltre, se è presente una carica elettrica al suo interno, questa si manifesta all`esterno, a meno che la gabbia non venga messa a terra; in tal caso infatti essa, osservata dall`esterno, risulta sempre neutra.
Quanto detto vale per i campi elettrostatici.
Per avere spiegazioni più dettagliate il lettore può consultare le schede relative al Pozzo di Beccaria-Faraday e alla Sfera di Beccaria-Coulomb nel settore dedicato ala Fisica.
Se però si considerano i campi elettromagnetici l`effetto è spiegabile in modo diverso.
Un campo elettromagnetico che incide sulla superficie conduttrice vi induce un movimento di cariche (corrente elettrica) tale da opporsi al campo inducente e questo impedisce alle onde elettromagnetiche di attraversarla, sia verso l`interno che verso l`esterno, ma entro certi limiti.
Infatti l`effetto schermante è limitato dalla resistenza elettrica del materiale che, per effetto Joule, riduce l`entità delle correnti indotte.
Alcuni materiali conduttori presentano, inoltre, il fenomeno del ferromagnetismo, che limita l`effetto schermante alle basse frequenze.
La profondità a cui il campo elettromagnetico riesce a penetrare è descritta dall`effetto pelle.
Anche la larghezza delle maglie che costituiscono la grande gabbia delle foto, limita la schermatura per le alte frequenze.
Facciamo un esempio.
Premesso che la sensibilità dei moderni ricevitori usati nei comuni telefonini è notevole, per schermare il telefonino in ricezione bisogna introdurlo in una scatola completamente metallica, senza la minima apertura e con le pareti spesse non meno di 3-4 mm.
Noi abbiamo provato a chiamare dall`esterno di questa gabbia un telefonino posto al suo interno e abbiamo constatato che riceveva molto bene, considerato che in questa zona di Fermo l`intensità del campo è notevole. Inoltre si riesce a conversare anche chiamando dal suo interno.
Il lettore che disponga di un comune forno a microonde può sperimentare quanto detto, ovviamente col forno spento.
È noto che il forno a microonde ha al suo interno un magnetron che trasmette ad una frequenza di 2,45 GHz con una potenza dell`ordine di 800 -1000 W.
Eppure la ditte costruttrici garantiscono (e giustamente) la sua sicurezza per l`utente, sempre che il forno sia integro e in buono stato.
Insomma la scatola interna, compreso lo sportello, oltre ad essere un risuonatore, è una gabbia di Faraday e dunque si può essere indotti a pensare che essa sia in grado di schermare un telefonino, il quale normalmente usa frequenze minori ma non di molto (dell`ordine di 0,9/2,1 GHz) di quella del magnetron del forno.
Ebbene, posto il telefonino al suo interno, basta chiamarlo per sentirlo squillare.
Come si è detto, i telefonini hanno una sensibilità molto elevata e riescono a ricevere onde radio anche molto attenuate.
Un avvertimento è doveroso: quando viceversa si chiama col telefonino da un ambiente schermato, esso automaticamente aumenta la sua potenza in trasmissione e potrebbe essere pericoloso per la salute di chi lo usa.
Si eviti di chiamare in simili situazioni; è bene farlo in zone aperte.
Con questa gabbia abbiamo eseguito una semplice prova: ci siamo chiusi al suo interno con una comune radiolina portatile ricevente in modulazione di frequenza; col risultato che si ascoltava bene una radio locale situata molto vicina che trasmetteva sui 101 MHz, e molto più debolmente un`altra radio locale.
Se ne conclude che essa scherma efficacemente solo le onde radio medie in modulazione di ampiezza.
Nel febbraio del 2019 è stata fatta restaurare sotto la supervisione degli ingegneri Claudio Profumieri e Marco Rotunno (direttore del Museo MITI) ed è esposta nella sala convegni del MITI, come si vede in alcune foto.
Durante il montaggio avvenuto al MITI dopo il
restauro, Claudio Profumieri ha fotografato anche il tetto della gabbia dove sono alloggiati i due filtri TELEC.
Per consultare la scheda sui due filtri scrivere “filtri” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Induttanza campione Allocchio Bacchini N° 73713 da 100 µH

Induttanza campione Allocchio Bacchini & C, Milano, matricola N° 73713 valore: 0,0001 Henry.
Non rinvenibile negli inventari.
Dai particolari costruttivi, dalla storia della casa costruttrice e dal numero di matricola si può stimare risalente agli anni Cinquanta del Novecento.
All`epoca i campioni di induttanza venivano realizzati mediante avvolgimenti di rame isolati, in trecciola per ridurre le correnti parassite e di sezione relativamente elevata per contenere la resistenza ohmica.
I campioni erano realizzati per valori di induttanza compresi tra 0,0001 H e 1 H, a cui corrispondono resistenze da 0,2 a qualche centinaio di Ω. I supporti degli avvolgimenti devono impedire le deformazioni che possono alterare la taratura, essi devono essere isolanti e non ferromagnetici per evitare correnti di Foucault e isteresi magnetica.
I più adatti erano: la porcellana, il marmo o il serpentino.
Il più grosso inconveniente è la loro sensibilità ai campi magnetici esterni, in tal caso la bobina viene sdoppiata in due avvolgimenti avvolti in senso opposto, oppure si ricorre ad avvolgimenti toroidali.
Il loro impiego classico era l`inserimento in un lato del Ponte di Maxwell per la misura di induttanze incognite.
Bibliografia essenziale: L. Olivieri ed E. Ravelli, Elettrotecnica Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Induttanze di un ondametro Allocchio Bacchini & C. Milano matr. N° 05783

Induttanze di un ondametro Allocchio Bacchini & C. Milano matr. N° 05783.
Forse appartenevano ad un ondametro elencato nell`inventario D del 1937 al n° 480 dove si legge: «Ondametro “Allocchio Bacchini” munito di 5 bobine, 9 spine – 4 cordoni di collegamento e supporto fissa spine». L`ondametro non è stato rinvenuto.
Le vicissitudini degli strumenti in questo Istituto a volte sono curiose: abbiamo un ondametro SITI senza le sue induttanze e abbiamo 5 induttanze perfettamente conservate senza che si sappia nulla del relativo ondametro e tanto meno delle indispensabili tabelle di taratura.
Le loro dimensioni sono le seguenti: tutte hanno base quadrata di 16,2 cm di lato; L1 ed L2 hanno uno spessore di 1,5 cm; L3 ed L4 di 3,3 cm; L5 di 3,5 cm.
L’ing. Profumieri ha ritenuto opportuno mostrare l`interno di una induttanza  per evidenziare le peculiarità costruttive degli avvolgimenti.
Riportiamo i valori delle induttanze e relative resistenze. L1: 32,3 μH, 0,21 Ω. L2: 147,3 μH, 0,80 Ω. L3: 577 μH, 0,92 Ω. L4: 2,97 mH, 3,1 Ω. L5: 12,72 mH, 7,8 Ω.
Foto e misurazioni di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Luxmetro Norma Matr. I. N° 1172870

Luxmetro Norma Matr. I. N° 1172870.
Nell`inventario D del 1956 in data settembre 1961 al n° 1983 si legge: “Ing. Ugo de Lorenzo – Milano Luxmetro mod. 181 – 2 della Soc. Norma”, destinato a Radiotecnica.
Su questo esemplare però non appare il modello, ma solo il numero di matricola, dunque non siamo sicuri della corrispondenza tra i due.
Lo strumento non è funzionante. Esso è a bobina mobile immersa nel campo di un magnete fisso, da usarsi in posizione orizzontale, adatto per corrente continua, la tensione di prova è di 2 kV.
La scala va da 0 a 100 e sul quadrante si legge: “Lux; Norma 1172870”.
Mentre sulla cellula è riportato il numero di matricola I.Nr.1172870a.
Le portate sono 10; 100; 1000 lux.
Il lux è l`unità di misura dell`illuminamento in luce visibile: un lux è il flusso luminoso di un lumen che attraversa in direzione perpendicolare un metro quadrato di superficie. Il lumen misura la quantità di luce nel visibile su una sfera unitaria (1 steradiante).
Foto di Claudio Profumieri, ricerche, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Magnetron Amperex 4J58 (Museo MITI)

   Magnetron 4J58. 1940 – 1950.
È stato donato al Montani.
Costruito dalla Amperex, matricola N° 04980, può generare impulsi da 210 a 250 kW di potenza alla frequenza di trasmissione di 6375-6475 MHz.
La tensione di filamento è di 12,6 V mentre la corrente di filamento è di 3,5 A. La tensione anodica è di 16-18 kV e la corrente anodica è di 30 A.
La durata di un impulso è di 1 µs.
Il magnetron dunque è un generatore di potenza di onde elettromagnetiche a frequenze dell`ordine dei GHz, cioè nel campo delle microonde e infatti ha trovato applicazione nelle tecniche radar.
Oggi un tipo di magnetron viene impiegato nei forni a microonde per uso domestico.
Il magnetron appartiene storicamente alla famiglia dei tubi elettronici a vuoto come i klystron e i tubi a onda progressiva.
Le origini della teoria del magnetron sono da attribuirsi a molti ricercatori e si possono far risalire al 1921 con i lavori di A. W. Hull. All`Università di Birmingham si distinsero nel 1939 J. T. Randal e H. A. H. Boot per i risonatori “a buco di chiave”.

Tutte le ricerche comunque proseguirono principalmente al M. I. T. di Boston.
Il magnetron è essenzialmente un diodo a vuoto a catodo caldo, immerso in un campo magnetico generato da un magnete permanente.
L`anodo è fatto da una successione circolare di cavità che circondano il catodo, le cui forme erano dette in gergo “a buco di chiave” o “a sole nascente”.
Nei magnetron impiegati negli odierni forni a microonde le cavità sono di forma radiale, molto semplici. Il catodo è cilindrico ad accensione indiretta. L`uscita in radiofrequenza, posta in una delle cavità, è un filo collegato ad un cavo coassiale o a una guida d`onda.
Data la complessità dei fenomeni che avvengono nel magnetron durante il suo funzionamento, per darne una semplice spiegazione si può ricorrere ad una analogia, tanto suggestiva quanto azzardata, con l`acustica.

Come il vento, soffiando sulle bocche di una successione di canne d`organo uguali, le mette in vibrazione, producendo una nota musicale, così nel magnetron un particolare vento di elettroni riesce a creare una risonanza elettromagnetica in tutte le cavità come se fossero una sola cavità.
Questo vento vorticoso di elettroni, usciti dal catodo, viene creato da un gioco preciso tra il campo elettrico esistente tra il catodo e l`anodo e il campo magnetico della calamita.
Altrettanto complessi e affascinanti sono i modi di risonanza della cavità.
Questo magnetron si usava nei trasmettitori radar e, come si è detto,  è stato donato al Montani.
Bibliografia.
G. Dilda, Microonde, Levrotto & Bella Torino 1956, da cui sono tratte le figure.
Il Prof. Giuseppe Dilda aprì la specializzazione di radiotecnica nel 1930 e insegnò al Montani fino al 1934.
G.B. Collins, Microwave magnetrons, Radiation Laboratory Series, Mc Graw Hill 1948. 

Nota: nell`inventario D del 1937, in data 8 maggio 1940 al n° 984 risulta l`acquisto di un magnetron Philips dalla ditta Radio di Milano, ma non se ne trova traccia. Ciò indica come l`Istituto Montani seguisse da vicino l`evoluzione scientifica e tecnologica.
 Il magnetron  è esposto al Museo MITI su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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