Tubo di Crookes (Museo MITI)


    Tubo di Crookes.
Nell’inventario del 1906 a pag. 168, al n° 666 si legge: “tubo di Croûkes” [sic]. La data testimonia la rapidità con cui il Montani acquisiva le novità nel campo scientifico, poiché il tubo era già dichiarato in  esistenza.
Nell’inventario del 1919, al n° 963/29 si legge di quattro tubi per gas rarefatti: due ad ampolla, uno cilindrico, uno a pera.
Nell’inventario del 1923, al n° 254/1013 vengono elencati gli stessi.
Nell’inventario D del 1937, al n° 447 si legge: “tubo a vuoto a forma di pera- G45 ….”
Il tubo a forma di pera è il classico tubo di Crookes riportato in numerosissimi manuali.
Questo tubo fu il primo acceleratore di elettroni della storia.
Il catodo negativo è un disco di alluminio.
Questo metallo presenta un basso spruzzamento sulle pareti, dovuto al bombardamento ionico che estrae alcuni atomi. Questi vanno a depositarsi sul vetro e, quando l’uso del tubo è molto prolungato, formano un film sottile.
La posizione dell’anodo positivo, posto in basso vicino al sostegno, è ininfluente riguardo alla direzione degli elettroni che vanno a urtare lo schermo trasparente.
Nel tubo il vuoto è dell`ordine di 1,3 Pa, cosicché i rari ioni positivi presenti, accelerati dal forte campo elettrico, urtano il catodo ed estraggono gli elettroni. Questi escono dal metallo in direzione normale alla superficie e, lungo il tragitto, possono urtare le poche molecole residue ionizzandole, oppure proseguono indisturbati fino a colpire il vetro della faccia opposta, generando calore e una lieve fluorescenza verdastra.
Se la differenza di potenziale applicata è elevata possono produrre raggi X nell’urto con gli atomi del vetro.
Normalmente il tubo si alimenta con il rocchetto di Ruhmkorff, una macchina che produce una tensione alternata fortemente asimmetrica.
Bibliografia.
M. Born, Fisica atomica, Boringhieri, Torino 1968.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, Boringhieri, Torino 1963.
Il tubo è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Federico Balilli e Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Tubo di Gaede – Lenard

  Tubo di Gaede – Lenard.
Nell`inventario generale del 1919 si trova al n° 2250 il “Tubo di Gaede N° 20592, ₤ 179,50”.
Nell`inventario particolare per reparto del 1923, a pag. 95, è elencato, col n° 59/378, un tubo di Lenard N° 20592.
Con questo nome si trova ancora nell`inventario del 1937 n° 445 (G36).
Il tubo di W. Gaede (1878 -1945) precede nel suo impiego quello di Lenard.
Il tubo di Lenard è usato per osservare i raggi catodici (elettroni veloci) fuori dal tubo stesso.
Nei normali tubi di Crookes infatti gli elettroni vengono fermati dal vetro.
Già nel 1891 H. Hertz aveva notato che i raggi catodici attraversavano sottili lamine d`oro e di altri metalli, ma egli era convinto che fossero onde, come del resto concepiva la luce.
P. E. A. Lenard (1862-1947) nel 1903, con i suoi collaboratori, eseguì le prime esperienze di diffusione con fasci di elettroni e trovò che gli atomi sono quasi perfettamente trasparenti agli elettroni veloci.
Anche Lenard inizialmente era convinto che ciò che osservava fosse l`effetto di perturbazioni ondulatorie dell` “etere”. Ma poi divenne evidente che ciò che usciva dalla finestra di alluminio caricava negativamente un elettroscopio.
Il tubo di Lenard, in possesso del Montani è del tipo da vuotare e richiede un buon vuoto.
All`epoca al Montani c`era una pompa a vapori di mercurio che è andata perduta; in seguito furono acquistate due pompe Cacciari che fanno oggi parte del patrimonio dell`Istituto.
Gli elettroni, uscenti dai forellini praticati su un coperchietto di metallo, sono fatti passare attraverso un sottile foglio di alluminio posto ad aderire sul disco.
Il foglio deve resistere al vuoto praticato all`interno.
Il tubo è verniciato esternamente in nero (l`esemplare del Montani si presenta con un incerto color marrone scuro) e porta a una estremità la connessione al catodo, mentre quella anodica è collocata poco sopra al tubicino che si collega alla pompa.
Purtroppo i reofori, provenienti dagli elettrodi, all`esterno del tubo sono rovinati.
Prima di iniziare l`esperimento l`apposito foglio sottilissimo di alluminio, fornito dal costruttore, viene fatto aderire al coperchietto perforato.
Nelle istruzioni si raccomanda di «sciogliere la gomma lacca con poco alcole», di incollare il foglio bene al coperchietto perforato per poi cominciare a fare il vuoto.
Nella foto  si vedono ancora i resti dell`ultimo foglio di alluminio usato, aderenti al coperchietto sul quale sono ben visibili i forellini. Sul bordo del coperchio si vede anche un foro che serviva per collegare un filo conduttore con la pompa. L`alimentazione è giusta quando si ottiene una scintilla di almeno 15 cm allo spinterometro del rocchetto di Ruhmkorff. Inoltre le interruzioni al primario del rocchetto devono provocare scintille da 5 a un massimo di 20 al secondo per evitare un surriscaldamento del foglio, che può fondere.
Per visualizzare gli elettroni si usa un piccolo schermo fluorescente posto nelle vicinanze del foglio di alluminio, in genere di platinocianuro di bario. Gli elettroni eccitano lo schermo fino a distanze di 10 – 15 cm.
Lo scopo didattico del tubo di Lenard era la dimostrazione del passaggio degli elettroni attraverso un sottile foglio di metallo. Purtroppo il corredo indispensabile per il funzionamento non esiste più.

La figura 95 867a è a pag. 1018 del catalogo Preiliste Nr. 100, Band III. Physikalische Apparate Max
Kohl A. G. Chemnitz del 1926; che si trova all’indirizzo:
https://vlp.mpiwg-berlin.mpg.de/library/data/lit21186? .
La figura 1491 appare a pag. 359 del Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905. Rinvenibile
all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf .
Identica figura col N° 7141 è a pag. 262 dal Catalogue of Physical Apparatus (With descriptions and
instructions for use) E. Leybold’s Nachfolger Cologne [1910?], rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/ , dove si
legge: “7141. Lenard’s cathode ray tube”.
La figura 10194 è a pag. 611 del catalogo Physical Apparatus, Baird & Tatlock (London) Ltd. 1912.
Che si trova all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-52548.pdf .

La figura 9744 è tratta da Sonder-Preiliste über Hoch-Vakuum-Apparate nach Dr. Gaede von E
Leybold Nachfolger Cöln a- Rhein, pag. 11 e 12 (senza data e rinvenibile all’indirizzo: https://vlp.mpiwg-berlin.mpg.de/library/data/lit59?), dove a si legge (a volte con difficoltà):
«9744. Röhre mit Aluminiumfenster zur Demonstration der Lenardstrahlen nach Dr. Gaede. Ein Verschluß der Röhre, bestehend aus Aluminiumfolie auf siebförmiger [sieb förmiger] Unterlage, ermöglicht den Austritt der Kathodenstrahlen aus dem Kathodenvakuum in die freie Atmospäre. Die relativ hohe Intensität dieser Lenardstrahlen gestattet das glänzende Aufleuchten der von diesen Strahlen getroffenen Mineralien und Leuchtschirme einem großen Hörerkreise zu demonstrieren. Das
erforderliche hohe Vakuum der Lenardröhre wird mit der Gaede – Pumpe ohne Schwierigkeit in wenigen Minuten erreicht. Gebrauchsanweisung der Entladungsröhre zur Demonstration der Lenardstrahlen.
A ist die Kathode der Lenardröhre, B die siebförmige Anode, welche durch aufgeklebte Aluminiumfolie
luftdicht geschlossen wird.
A wird mit dem negativen Pol eines Induktoriums verbunden. Wird die Röhre mit einer Gaede – Pumpe
evakuiert, so ist in einer Minute die Luftverdünnung so groß, daß die an der Kathode A entstehenden
Kathodenstrahlen, die das Sieb S der Anode B bedeckende Aluminiumfolie durchdringen und in die freie Atmosphäre austreten. Die Luft wird in einem Umkreis von 5 – 10, sogar 15 cm zum Leuchten erregt. Natronglas leuchtet in dem Bereich der Strahlung intensiv gold-gelb, Leuchtschirme werden sehr stark erregt, bei Platincyanürschirmen ist Vorsicht geboten, weil die Erregung so stark werden kann, daß der Schirm sofort braune Flecken bekommt. Salze oder Kristalle leuchten in den verschiedensten Farben. Das Induktorium muß mindestens 15 cm Funken geben. Die primäre Stromstärke wird zweckmäßig von niederen Werten an beim Inbetriebsetzen der Röhre allmählich gesteigert, bis die Strahlen austreten. Als Unterbrecher sind Hammerunterbrecher oder Quecksilber-Motorunterbrecher
geeignet, indem die Funkenzahl 5 bis 20 pro Sekunde betragen soll. Elektrolytische oder Turbinenunterbrecher sind zu verwerfen, weil die Zahlen der Unterbrechungen zu hoch sind und somit die Wärmewirkung an der Aluminiumfolie zu groß ist und die Folie durchschmilzt. Verringerung an der Stromstärke ist in dem letzen Falle ohne Einfluß, weil dadurch auch die Elektrodenspannung
herabgesetzt wird, während andererseits eine bestimmte Elektrodenspannung notwendig ist, damit die Strahlung die Folie durchdringt. C ist eine dritte Elektrode in der Rohrleitung, welche durch einen Draht mit dem Quecksilber in der Stopfbüchse der Pumpe verbunden wird. Die Elektrode C bewirkt auf diese Weise, daß in den Glasteilen der Pumpe keine Entladungen und keine störenden Nebelichter auftreten.
Die Lenardröhre selbst ist mit Asphaltlack geschwärzt. Die in den mitgelieferten kleinen Heftchen befindlichen Aluminiumfolien haben die richtige Dicke, die zum Gelingen des Versuches notwendig ist und sind porenfrei. Zum Aufkleben der Blättchen wird die Siebanode auf dem schraffiert gezeichneten, ringförmigen Gebiet der Scheibe S mit einer sehr dünnen Schicht Gummifett nach Ramsay und Travers bestrichen. Man verreibe das Fett auf dem ringförmigen Gebiet mit dem Finger, ohne Fett an die
Öffnung des Siebes zu bringen. Darauf legt man das Aluminiumscheibchen auf und drückt dasselbe mit
einem Wattebausch auf dem ringförmigen Gebiet vorsichtig fest, sodaß die Folie gut anklebt. Die am äußeren Rand des Siebes dabei anklebende [an klebende] Watte entfernt man nachträglich durch einen mit Benzin schwach angefeuchteten Wattebausch. Dann ist die Röhre zum Versuch fertig, wird auf die Pumpe gesetzt und evakuiert, wobei an den Sieblöchern die Folie kugelförmig eingezogen wird. Gibt die Röhre nach 3 Minuten langem Drehen der Gaedepumpe keine Spur von Strahlen, so läßt man die
Pumpe stehen, während das Induktorium ausgeschaltet ist. Es wird sich unter diesen Umständen in fast allen Fällen ergeben, daß die Aluminiumfolie ein kleines Loch hat, was dadurch entstanden ist, daß entweder der Strom zu stark
war und ein Loch in die Folie gebrannt hat oder daß beim Ankleben die Folie zerknittert worden ist. Man wird dann beim Stehenlassen der Pumpe eine Abnahme des Druckes am Manometer beobachten. In diesen Fällen ist die Folie durch eine neue zu ersetzen. Es ist darauf zu achten, daß durch Unvorsichtigkeit eventuell auch die Folie nicht genügend angepreßt sein kann, sodaß ein Luftkanal
zwischen der Folie und der Siebanode [Sieb anode] die Undichtigkeit verursacht». 
Bibliografia.
Scheda di istruzioni della Leybold n° 55432 / 4 del 1954.
A. S. Weinberg, La scoperta delle particelle subatomiche, Zanichelli Bologna 1986.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, P. Boringhieri Torino 1966.
L. Graetz, L`elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi Milano 1907.
O. Murani, Trattato elementare di fisica, Vol. II, U. Hoepli Milano 1931.
Foto di Federico Balilli, Claudio Profumieri e Ilaria Leoni, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Tubi di Geissler e tubo di Lecher (Museo MITI)


    Tubi di J. H. Geissler (1815-1879) e tubo di E. Lecher  (1856-1926):
“Tubo di Geissler a due liquidi fluorescenti -cm50- G5 G6”, inventario D del 1937, n° 442; in alto nella prima foto. Tubicino rettilineo di vetro giallo fluorescente, inventario D del 1956 n° 953; a sinistra nella foto; probabilmente è il “tubo di Lecher in vetro di uranio
-G39- ” citato nell’inventario D del 1937 al n° 464, costo ₤ 15.
Tubicino in vetro attorcigliato (inventario D del 1956 n° 954, durante il funzionamento si illumina per metà di luce verde e per metà di luce azzurra.
Nell’inventario del 1919, a pag. 47, si trovano al n° 961/27: “tubi Geissler piccoli, N° 3 pezzi”, senza ulteriori indicazioni.

 J. H. Geissler (1815-1879), secondo F. Cajori «… fu vetraio a Tübinga, poi proprietario di una fabbrica di apparecchi fisici e chimici a Bonn. Cominciò a fabbricare tali tubi con tanta abilità» che J. Plücker propose di chiamarli col suo nome.
Nel 1855 inventò una pompa che impiegava come pistoni colonne di mercurio e con questa ridusse la pressione nei tubi a qualche decimillesimo della pressione atmosferica.
L’università di Bonn gli diede nel 1868 il titolo di dottore onorario.
Il tubo Geissler è stato usato per molti anni come sorgente spettroscopica.

Esso può assumere molte forme ed è riempito dal gas da analizzare o da un miscuglio di gas, a una pressione di 130 o 260 Pa.
Vi si applica un potenziale di oltre 2 kV mediante un rocchetto o un trasformatore e il passaggio della scarica elettrica produce una concentrazione della colonna positiva nella parte più stretta del tubo stesso.
Una migliore alimentazione si ottiene con una buona macchina elettrostatica, escludendo le bottiglie di Leyda.
Se il tubicino viene osservato da una estremità, si nota una emissione molto brillante, le righe ottenute allo spettroscopio sono però allargate dall’intenso campo elettrico.
Le sinuosità accentuano varie colorazioni dovute alla fluorescenza del vetro prodotta dai raggi ultravioletti generati nella scarica.
Nelle estremità ci sono due elettrodi a punta la cui polarità non ha importanza.

Nel tubo a due liquidi fluorescenti la scarica avviene in un tubetto interno all’ampolla e i fenomeni luminosi sono più accentuati. Non ci sono pervenute indicazione sulla natura chimica dei liquidi. Il secondo esemplare a due liquidi identico a questo è rotto e attualmente è esposto in una vetrina in Biblioteca.

Il tubo di Ernst Lecher, riconoscibile per essere lineare e semplice, è fatto di vetro d’uranio e serviva per rivelare
le “onde elettriche stazionarie” (cioè onde elettromagnetiche stazionarie lungo i due fili paralleli) con l’apparecchio visibile nelle figure 8918 e 8921, tratte dal Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construits par E. Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905; rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf .
Così come le figure: 8601-8606, 8630-8631 e 8930.
In fondo le apparecchiature sono analoghe al tubo di Kundt per le onde sonore, in quanto anche qui si può misurare la lunghezza d’onda delle o. e. m. misurando la distanza tra i ventri e i nodi rivelata con l’illuminarsi e lo spegnersi del tubo di Lecher.


 Bibliografia.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, Boringhieri, Torino 1966.
F. Cajori, Storia della fisica, Zanichelli, Bologna 1908. Schede di istruzioni Leybold: n° 55521 4/1964 A, n° 55502 4/1954 A.
Scheda di istruzione n° 494 della Paravia.
Simón Reif-Acherman, Heinrich Geissler: pioneer of electrical science and vacuum tecnology, Proceding of the IEEE | Vol. 103, No. 9, September 2015; rinvenibile all’indirizzo: https://ieeexplore.ieee.org/stamp/stamp.jsp?arnumber=7214351

Questi tubi sono esposti al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Daniele Maiani, di Claudio Profumieri e di Contemporanea Progetti; la seconda foto è di uno studente della Facoltà di Beni Culturali di Fermo, durante un corso tenuto da chi scrive.
Elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Tubo di Newton o Guinea and Feather Tube (Museo MITI)

     Tubo di Newton.
Traditionally the apparatus is called a Guinea and Feather Tube, and was invented by Isaac Newton. The guinea used in the early tubes was the small English coin, produced from 1663 until 1816, and named after the region of West Africa from which gold was mined.
Nell’inventario del 1906 a pag. 557, n° 1394 si legge: “Tubo di vetro alto con rubinetto per la dimostrazione della caduta dei corpi nel vuoto. Destinato alla Scuola di Chimica e Fisica, Sezione Z16”.
Successivamente, nell’inventario del 1919, al contenuto di un’intera vetrina fu attribuito il n° 834/12 e nell’elenco risulta un “tubo per la caduta dei gravi” con aggiunta a matita la scritta “nel vuoto”.
Nell’inventario particolare per reparto n° 7/8 a pag. 165, n° 527/2104, si legge: “Tubo p. la caduta dei gravi. ₤ 20”. Destinato al Gabinetto di Fisica.
Nell’inventario del 1937 ha il n° 209.
Il tubo di vetro, chiuso alla sommità e con alla base un condotto con rubinetto da cui aspirare l’aria, è lungo 0,98 m e ha un diametro di 9 cm.
Tutto il tubo, compresa la base è lungo 110,5 cm.
Con una buona pompa aspirante si ottiene una rarefazione dell’aria sufficiente ad attenuare sensibilmente la sua resistenza alla caduta dei corpi posti al suo interno.
  Essi sono: una pietruzza, una pallina di piombo, un cilindretto di gomma rossa, un turacciolino di sughero, alcuni coriandoli di carta di quaderno e una piuma larga e corta.
  All’inizio della dimostrazione si fanno scorrere gli oggetti verso la parte alta e poi, rapidamente, si mette il tubo in posizione verticale.
I primi a cadere sono: la pallina di piombo, la pietruzza, seguono subito dietro il cilindretto di gomma rossa e il turacciolino di sughero, poi scendono i coriandoli e per ultima la piuma pigra e lenta.

Si fa dunque osservare che la presenza dell’aria influenza la rapidità di caduta degli oggetti in ragione della loro forma.
Si toglie dunque l’aria quanto basta dal tubo, poi si chiude il rubinetto e si ripete l’operazione di caduta.
 La meraviglia è vedere la piuma e i coriandoli che cadono insieme agli altri oggetti.

Nei limiti della validità dell’osservazione qualitativa, se ne deduce che la rapidità di caduta nel vuoto non dipende né dal peso, né dalla forma, né dal tipo di materiale di cui sono fatti i corpi.
La loro accelerazione g dunque è la stes
sa e qui a Fermo è di circa 9,80 m/s² .
 L’esperienza comune suggerisce che una foglia cade più lentamente di una pietra. Ma si può anche osservare che se si lascia cadere dalla stessa altezza un foglio di carta disteso e poi lo stesso foglio appallottolato, il foglio disteso impiega più tempo nel cadere di quando è appallottolato. Aristotele (384-322 a.C.) era convinto che le rapidità di caduta di un oggetto dipendeva dal suo peso; egli infatti attribuiva la causa del peso alla presenza in esso dell’elemento Terra, quindi un oggetto più pesante conteneva una maggior quantità di questo elemento e avrebbe raggiunto con maggior velocità il suo luogo naturale, cioè le Terra. Aveva inoltre osservato che uno stesso oggetto cade più lentamente nell’acqua che nell’aria. La sua conclusione erronea fu che la rapidità di caduta era proporzionale al peso e inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo attraversato.
Non sembra che Aristotele abbia tenuto conto della forma degli oggetti.
Il filosofo Giovanni Filopono di Alessandria (490-570 d. C.) pare abbia fatto il seguente esperimento: dopo aver fatto cadere dalla stessa altezza contemporaneamente due oggetti, uno pesante il doppio dell’altro, osservò che il primo non aveva impiegato la metà del tempo impiegato dal secondo, come richiesto dalla teoria di Aristotele.
Inoltre da altri suoi studi sul moto degli oggetti lanciati in aria dedusse, sebbene confusamente, che la loro velocità dipendeva dalla differenza tra il loro peso e la resistenza dell’aria e sviluppò una sorta di teoria dell’impetus.
Galileo Galilei (1564-1642) nel 1638 scrisse: “Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno a due nuove scienze Attenenti alla Meccanica e i Movimenti Locali” e in questa opera è ben descritto un esperimento che si credeva fosse stato da lui eseguito dalla Torre di Pisa, ma che quasi certamente è un “esperimento ideale”.
Dunque Galileo aveva ben compreso l’importanza della forma dell’oggetto, che determina la resistenza dell’aria, e dell’ininfluenza del peso e infatti scrive: «Ma io, Sig. Simplicio, che m’ho fatto la prova, vi assicuro che una palla d’artiglieria, che pesi cento, dugento e anco più libbre, non anticiperà di un palmo solamente l’arrivo a terra della palla di moschetto, che ne pesi una mezza, venendo anco dall’altezza di dugento braccia».
Certamente Isaac Newton (1642-1727) diede una spiegazione dinamica a tale fenomeno, inquadrata in una teoria ben più vasta e articolata, mentre quella di Galileo era puramente cinematica. Galileo aveva studiato “come” si muovono i corpi, Newton indagò sulle forze e i loro effetti sui moti, fermandosi a sua volta dinanzi al perché le masse si attraggono. L’opera di Newton: “Philosophiae Naturalis Pincipia Mathematica” fu pubblicata nel 1687.
Inoltre verso il 1650 Otto von Guericke inventò la pompa da vuoto, fu quindi possibile ottenere una rarefazione sufficiente per costruire una fattispecie del tubo di Newton. Pompa a vuoto che in seguito fu continuamente mutata e perfezionata, permettendo di ottenere migliori esperienze col Tubo di Newton.
Secondo la Teoria della Gravitazione Universale di Newton, due corpi di masse m ed M si attraggono con una forza
F = G (m M ) / D² dove D è la distanza tra i centri di massa dei due corpi e G è la costante di attrazione universale che vale 6,6720 10 -11 N m²/ kg² . Pertanto un corpo di massa m, immerso nel nostro caso nel campo gravitazionale terrestre, subisce una accelerazione g verso il centro della terra g = G Mt /D ² dove Mt è la massa della Terra e D è la distanza tra il centro di massa del corpo m e il centro della Terra. Nell’ambito della teoria di Newton quanto sopra affermato è valido se si trascurano: la rotazione della Terra, l`effetto dell’aria sul corpo e una eventuale anomalia locale gravitazionale.

Bibliografia.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. I, G. B. Paravia & C. Torino 1933 da cui è tratta la prima figura (nella quale gli oggetti cadono in presenza dell’aria).
A.A. V.V. The Project Physics Course, Zanichelli , Unità 1, Bologna 1977.
La figura 60 è a pag. 71 di Elementary Treatise on Physics Experimental and Applied transalted from Ganot’s Éléments De Physique by E. Atkinsons, W. Wood & Co. New York 1910 rinvenibile all’indirizzo: https://archive.org/details/treatphysics00ganorich
In essa la ghinea d’oro e la piuma cadono insieme poiché all’interno del tubo l’aria e molto rarefatta.
Il tubo è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
  Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Tubicino Geissler (Museo MITI)

                            Tubicino Geissler.
Nell’inventario del 1919, a pag. 47, si trovano al n° 961/27: “tubi Geissler piccoli, N° 3 pezzi”, senza ulteriori indicazioni.
Questo tubicino quando è alimentato si illumina di luce giallo arancio; probabilmente la parte centrale attorcigliata è in vetro d`uranio.
J. H. Geissler (1815-1879), secondo F. Cajori «fu vetraio a Tübinga, poi proprietario di una fabbrica di apparecchi fisici e chimici a Bonn. Cominciò a fabbricare tali tubi con tanta abilità» che il fisico J. Plücker ( che lo aveva avuto come fabbricante) propose di chiamarli col suo nome. Nel 1855 inventò una pompa che impiegava come pistoni colonne di mercurio e con questa ridusse la pressione nei tubi a qualche decimillesimo della pressione atmosferica.
L’università di Bonn gli diede nel 1868 il titolo di dottore onorario..
Anche se il tubo di Plücker è migliore come sorgente spettroscopica poiché è riempito da un gas puro, il tubo Geissler è stato usato per molti anni per l’indagine spettroscopica.
Esso può assumere molte forme ed è riempito dal gas da analizzare o da un miscuglio di gas, a una pressione di 130 o 260 Pa.
Vi si applica un potenziale di oltre 2 kV mediante un rocchetto di Ruhmkorff o un trasformatore e il passaggio della scarica elettrica produce una concentrazione della colonna positiva nella parte più stretta del tubo stesso.
Una migliore alimentazione si ottiene con una buona macchina elettrostatica, escludendo le bottiglie di Leyda.
Se il tubicino viene osservato da una estremità, si nota una emissione molto brillante, le righe ottenute allo spettroscopio sono però allargate dall’intenso campo elettrico.
Le sinuosità accentuano varie colorazioni dovute alla fluorescenza del vetro prodotta dai raggi ultravioletti generati nella scarica.
Nelle estremità ci sono due elettrodi a punta la cui polarità non ha importanza.

La figura 2003 mostra, fra gli altri, un tubicino simile a questo ed è tratta dal Catalogue M, May 1909, Physical and Chemical Apparatus for Science Laboratories, manufactured & imported by Central Scientific Co. Chicago U.S,A, pag. 139. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-51679.pdf

La figura 7774 è a pag. 226 del Katalog über Apparate, Instrumente und Utensilien für den Physikalischen Unterricht Richard Müller-Uri Braunschweig 1909. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-52540.pdf
Bibliografia.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, Boringhieri, Torino 1966.
F. Cajori, Storia della fisica, Zanichelli, Bologna 1908. Schede di istruzioni Leybold: n° 55521 4/1964 A, n° 55502 4/1954 A.
Scheda di istruzione n° 494 della Paravia.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. III, G. B. Paravia & C., Torino 1933.
Simón Reif-Acherman, Heinrich Geissler: pioneer of electrical science and vacuum tecnology, Proceding of the IEEE | Vol. 103, No. 9, September 2015; rinvenibile all’indirizzo: https://ieeexplore.ieee.org/stamp/stamp.jsp?arnumber=7214351
Il tubicino è esposto al Museo Miti, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.