Tubo di Plücker



                         Tubo di Plücker.
Nell’inventario del 1937 al numero 1076 si legge: “Ing. S. Barletta – Milano. Coppia di tubi Plücker ₤ 70”, acquistati precedentemente al dicembre del 1941, con prima destinazione Lab. di Fisica .
Poi nello stesso inventario, nell’ottobre 1951, si legge al n° 1346: “Tubo di Plücker per l’analisi spettrale con ossigeno puro” e al n° 1347: “Detto con idrogeno puro”.
Il tubo del fisico  e matematico J. Plücker (1801-1868) è stato usato per molti anni come sorgente spettroscopica.
J. Plücker scelse come suo collaboratore H. Geissler per la costruzione dei suoi primi tubi, poiché Geissler era un bravo soffiatore di vetro che poi, nel 1868, ebbe dall’Università di Bonn il titolo di dottore onorario.
Esso è riempito dal gas da analizzare, a una pressione di 130 Pa circa.
Il tubo è rettilineo e la sua sezione è più larga alle estremità dove sono gli elettrodi, la colonna positiva della scarica avviene principalmente nella parte centrale, che va messa davanti al collimatore dello spettroscopio a circa un centimetro di distanza.
Vi si applica un potenziale di oltre 2 kV mediante un rocchetto o un trasformatore o una macchina elettrostatica.
I tubi di Plücker e i tubi di Geissler differiscono sostanzialmente per il fatto che nei primi il gas contenuto è puro, mentre nei secondi ci sono miscugli di gas e ciò ha fatto preferire i primi per l`indagine spettroscopica.
  Questo tubo, contenente ossigeno, da un bel colore azzurro come composizione delle sue righe caratteristiche.

La figura 77-235  77-236 è tratta da A Catalogue of Physical Instruments catalogue 17 L. E. Knott
Apparatus Company Boston 1912. Rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments


Le figure 3379 e 3388 sono tratte dal Catalogue of Physical Apparatus (With descriptions and instructions
for use) E. Leybold’s Nachfolger Cologne [1910?].
Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/

La figura 10224 è tratta dal Physical Apparatus, Baird & Tatlock (London) Ltd. 1912.

La parte superiore della pagina 336 è tratta da Illustrated and Descriptive Catalogue of Physical Apparatus
F. E. Becker & Co. London 1924. Rinvenibile all’indirizzo:
https://cnum.cnam.fr/pgi/redir.php?onglet=e&ident=M9846
Bibliografia:
O. Murani, Trattato elementare di fisica, Vol. II, U. Hoepli, Milano 1931.
F. Cajori, Storia della fisica, Zanichelli, Bologna 1908.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. II, Paravia, Torino 1933.
Schede di istruzioni n° 349 e n°494 della Paravia.
Simón Reif-Acherman, Heinrich Geissler: pioneer of electrical science and vacuum tecnology, Proceding of the IEEE | Vol. 103, No. 9, September 2015; rinvenibile all’indirizzo: https://ieeexplore.ieee.org/stamp/stamp.jsp?arnumber=7214351
Foto di Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

Tubo di Quincke, Off. Galileo Firenze (Museo MITI)

Tubo di G. H. Quincke (1834-1924) delle Officine Galileo, Firenze.
Inventario del 1906 n° 854, matricola N° 99797.

ABSTRACT: Quincke’s tube. Dated before 1906. Quincke’s tube generates interference among sound waves, that is, mechanical waves of longitudinal type; it is divided into two sections of a “U” shaped tube one of which has a variable length as the coulisse of a trombone. By placing a tuning fork which has already been excited near the provided opening, sound propagates splitting in two directions: the first has a fixed length and so it will contain a certain number of wavelengths, the other will have a variable length that the operator can determine. In this way it will be possible for two sounds to reach the ear at the opposite side of the opening; the two sounds can be in phase or in opposing phase: if they are in phase we will have an increase of the sound intensity while if they are in opposing phase we will have a decrease of the auditory sensation up to the total cancellation.
Traduzione di Elia Bisconti, supervisione della prof.ssa Meri Biancucci.

 Sir John Herschel fu il primo a proporre di suddividere il percorso di un suono in due rami di diversa lunghezza, causando interferenza là dove poi i rami si riuniscono. Questa idea è stata poi seguita con successo da G. H. Quincke, ed è stata ulteriormente migliorata da M. König.
Il tubo genera interferenza tra onde sonore, cioè onde meccaniche di tipo longitudinale; esso è suddiviso in due tratti di tubo a U, di cui uno a lunghezza variabile, come la coulisse di un trombone.
Accostando un diapason già eccitato 
nell’apposita apertura, il suono si propaga dividendosi in due percorsi, vedi la prima figura.

Un percorso è di lunghezza fissa e quindi conterrà un certo numero di lunghezze d`onda, mentre l’altro percorso è a lunghezza variabile a piacere.
Allora si può operare in modo di far arrivare all’orecchio, posto nell’altra apertura, due suoni in fase o in opposizione di fase: nel primo caso si avrà un rinforzo nell’intensità del suono; nel secondo caso un indebolimento fino all’annullamento della sensazione uditiva.

Risulta critica in tal senso la differenza tra i due percorsi: se essa è uguale a un numero dispari di semilunghezze d`onda, all’orecchio non c’è suono; se essa è uguale a un numero intero di lunghezze d’onda si ha la la massima intensità sonora.
Il tubo permette dunque di misurare la lunghezza d’onda del suono, e, se si conosce la frequenza di vibrazione del diapason, si può trovare la velocità del suono nell’aria. Come esempio numerico, se si usa un diapason di frequenza 1700 Hz e si misura una lunghezza d`onda di 0,20 m, allora la velocità del suono è di 340 m/s, poiché la velocità è il prodotto
della lunghezza d’onda per la frequenza.
 Con una piccola modifica il tubo di Quincke può fornire un’esperienza sulla ricezione biauricolare.
Vedi la seconda figura

Occorre a tale scopo staccare il raccordo che riunisce i due tubi là dove si pone l’orecchio, e sostituirlo con due tubi. I due tubi vanno uno all’orecchio sinistro e l’altro all’orecchio destro.
Ora se invece del diapason, che genera un suono continuo, si pronuncia ripetutamente una breve sillaba e, dopo ogni sillaba, si allunga verso sinistra di qualche centimetro il tubo a U mobile, l’ascoltatore avrà l’impressione che l’origine del suono si sposti gradualmente verso la sua destra.
Questo accade perché il suono, che si propaga nel tubo più lungo, arriva in ritardo all’orecchio destro dell`ascoltatore rispetto al suono che arriva all’orecchio sinistro, traendolo in inganno.
I due piccoli rubinetti laterali servono per introdurre nel tubo un gas diverso dall’aria, per misurare la velocità del suono nel gas.
Durante questa prova bisogna certamente evitare che il gas immesso abbia una velocità propria di diffusione nei due rami del tubo, altrimenti si ha l’effetto doppler che falsa la misura. Questo può accadere perché il gas tenderà ad uscire sia dove è posto il diapason, sia dove si ascolta il suono. Occorrono quindi particolari accorgimenti.
Bibliografia.
M. Michetti, Fisica, Vol. I, Canova, Treviso 1972, da cui è tratta la prima figura.
E. Perucca, Guida pratica per esperienze didattiche di fisica elementare, Zanichelli, Bologna 1937 da cui è tratta la seconda figura.
La funzione dei rubinetti laterali e altri importanti particolari sugli impieghi del tubo di Quincke si trovano in M. Miniati, A. Giatti (a cura di), L’acustica e i suoi strumenti, La collezione dell`Istituto Toscano, Giunti, Firenze 2001.
J. Tyndall, Sound, P. F. Collier & Son, New York 1902.
Il tubo di Quincke è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
   Foto di Daniele Maiani e di Contemporanea Progetti, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tubo con bolla a giunto smerigliato senza i minerali

Tubo con bolla a giunto smerigliato senza i minerali.
I due esemplari si trovano nell`inventario D del 1937 ai numeri 443 (G 37) e 444.
Il tubo da vuotare con bolla a giunto smerigliato serve per studiare il comportamento di alcuni minerali sottoposti al bombardamento dei raggi catodici, per vederne la fluorescenza e fosforescenza.
I minerali si possono vedere all`interno di un solo esemplare.
Il giunto smerigliato serve per aprire il tubo e sostituire i minerali.
I cristalli di platinocianuro di potassio emanano una luce molto brillante. Gli schermi dei tubi catodici dei televisori e dei monitor (ormai desueti del tipo CRT), i comuni tubi a fluorescenza per l`illuminazione (detti erroneamente neon), le lancette di alcuni orologi, sono alcuni esempi dell`impiego della fluorescenza e della fosforescenza. La storia della fosforescenza in Italia si fa risalire nel 1603 ad un ciabattino-pittore bolognese, Vincenzo Casciarolo. Questi procurava pietre calcinate, con tale proprietà, a Cesare Marsili, il quale a sua volta ne faceva dono a Galileo Galilei nel 1626. Nella lettera a Galileo, Marsili dice di conoscere l`effetto di quelle pietre da “quindici o vinti anni” e che queste si trovavano sul Monte Paderno.
Bibliografia: G. Tabarroni, Bologna e la storia della radiazione, Lions Club, Bologna.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, Boringhieri, Torino 1966.
Foto di Federico Balilli, e di Ilaria Leoni, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.

 

Tubo con mulinello, Off. Galileo Firenze (Museo MITI)

 Tubo con mulinello.
Nell`inventario del 1927 al n° 895-2709 si legge: “Officine Galileo Firenze. Tubo p. dimostrare la pressione dei raggi catodici, con ruota. ₤ 20”.
Esso è citato anche nell`inventario per categoria n° 7/8 del 1927 al n° 895/2706.
Il tubo nella seconda foto non è rintracciabile negli inventari ed è rotto ad un’estremità.
Il tubo a vuoto con mulinello serve per mostrare che i raggi catodici (elettroni veloci) possono produrre la rotazione meccanica di un leggero mulinello posto lungo il loro cammino.
Il tubo fu utilizzato da Crookes per mostrare gli effetti meccanici della «materia radiante».
Esso è costituito da una ampolla cilindrica di vetro; nel suo interno, agli estremi, ci sono due elettrodi di alluminio e tra questi due guide parallele (binario) di vetro. Su queste poggiano i perni di un mulinello a palette di mica.
Per un corretto funzionamento il binario deve essere orizzontale; per agevolare questa esigenza si possono mettere dei piccoli spessori di carta sotto il supporto di legno.
Il tubo viene normalmente alimentato col rocchetto di Ruhmkorff; quando il mulinello è arrivato a fine corsa, basta invertire i cavetti dell`alimentazione e il mulinello percorre le rotaie di vetro in senso inverso.
In letteratura si trovano due diverse interpretazioni del meccanismo che provoca la rotazione.
La gran parte degli autori del primo novecento parla di azione meccanica o di effetti meccanici degli elettroni che urtano il lato esposto delle palette. Autori di lavori a carattere divulgativo più recenti, ripetono gli stessi vaghi concetti.
S. Tolansky, invece, negli anni sessanta descrive un processo molto simile a ciò che avviene nel radiometro di Crookes, nel quale un mulinello gira se colpito dalla luce.
È facile mostrare che i raggi catodici riscaldano i corpi per urto. Si può infatti osservare al Montani un antico tubo a vuoto, la cui croce di Malta è deformata in seguito al forte riscaldamento dovuto al bombardamento elettronico (vedi la foto nella relativa scheda).
Secondo Tolansky dunque, il lato della paletta, colpito dagli elettroni, diviene più caldo dell`altro e le molecole del gas residuo che vengono a contatto con questo lato, acquistano una maggiore energia cinetica di quelle sull`altro lato. Ne consegue che la maggiore quantità di moto delle molecole che rimbalzano via, provoca una più forte reazione sul lato caldo che non sul lato freddo, mettendo in rotazione il mulinello.
Le palette sono dipinte con sostanze fluorescenti che si illuminano sotto l`effetto dei raggi catodici per evidenziare il senso in cui si propagano gli elettroni.
La figura 55546 si trova a pag. 188 di Appareils de Physique construits par E. Leybold’s Nachfolger
Koln-Bayental 1938; il catalogo è della Biblioteca del Montani.
La figura 1064 si trova a pag. 1086 del testo
Elementary Treatise on Phisics Experimental and Applied transalted from Ganot’s Éléments De Physique by E. Atkinsons, edited by A. W. Reinold, W. Wood & Co. New York 1910; rinvenible all’indirizzo:
https://archive.org/details/treatphysics00ganorich
La figura 1465 si trova nel
Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905; rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf
All’epoca molti cataloghi e testi riportavano gli stessi tipi di tubi di Crookes.
Bibliografia.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, P. Boringhieri, Torino 1966.
L. Graetz, L`elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi, Milano 1907.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. II, G. B. Paravia, Torino 1933.
A. Ròiti, Elementi di fisica, Vol. II, Le Monnier, Firenze 1908 , da cui è tratta la figura non numerata.
Scheda di istruzioni N° 496 della Paravia.
Il tubo della prima foto è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Daniele Maiani e Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tubo di Braun


      Tubo di Braun.
K. F. Braun (1850 – 1918) aveva costruito i suoi primi tubi fin dal 1897 modificando i tubi di Crookes per studiare i raggi catodici.
Nell`inventario del 1956 al n° 1747 si legge: “Tubo di Braun” e risulta acquistato il 25 marzo del 1960.
Destinato a Fisica, è stato usato per mostrare la deviazione degli elettroni dovuta la campo elettrico generato tra le due placchette di alluminio affacciate parallele ben visibili nelle foto.
Inoltre con questo tubo si poteva mostrare l`influenza di un campo magnetico sulla traiettoria degli elettroni sia usando un magnete permanente, sia un elettromagnete.
Il catodo è un disco di alluminio e l`emissione di elettroni avviene per effetto del bombardamento dei pochi ioni di gas positivi presenti.
L`anodo è posto di lato, ma gli elettroni, una volta accelerati dal forte campo elettrico esistente tra esso e il catodo, proseguono veloci verso le schermo.
Il tubo a vuoto presenta, dopo l`anodo e prima delle placchette, un cilindro di alluminio con alla base un foro per collimare il fascetto di elettroni che si dirigono verso lo schermo fluorescente di color bianco.
Nella zona dello schermo colpita dagli elettroni si osserva una macchia verde. In genere il color verde è tipico della fluorescenza del platinocianuro di bario.
Il tubo viene alimentato con un rocchetto di Ruhmkorff tra anodo e catodo, mentre il campo elettrostatico tra le placchette si ottiene collegandole ad una macchina elettrostatica di Wimshurst.
Oggi esperimenti di questo genere sono vietati poiché durante il loro svolgimento vengono emessi raggi X, pericolosi sia per chi opera nelle vicinanze sia per chi assiste.
Questo tubo è famoso nella storia della fisica poiché fu usato da J. J. Thomson che nel 1897 che, in tre articoli successivi, annunciò la prima scoperta di una particella elementare (in seguito chiamata elettrone).
J. J. Thomson (1865 – 1940) misurò il rapporto carica massa dell`elettrone applicando due campi, uno elettrico e uno magnetico, nella stessa zona ( dove sono le placchette) lungo la traiettoria degli elettroni.
I campi erano tali da generare due forze opposte su ciascun elettrone che attraversava la zona. Chiamiamo q la carica dell`elettrone, v la sua velocità, m la sua massa, E il campo elettrico, B il campo magnetico ed R il raggio di curvatura. Il campo elettrico uniforme tra le placchette genera una forza di intensità F = q E perpendicolare alla direzione della velocità dell`elettrone, che viene deflesso lungo un tratto di parabola. Il campo magnetico uniforme, generato da una coppia di bobine esterne al tubo, provoca una forza centripeta di valore F = q v B = m v²/R, sempre perpendicolare alla direzione dell`elettrone, che viene deflesso lungo un tratto di circonferenza. Il raggio R si trova misurando lo spostamento della macchia luminosa sullo schermo. Uguagliando sperimentalmente la forza elettrica e quella magnetica si ottiene q E = q v B da cui
v = E/B; sapendo che E = V/d, dove V è la d.di.p. tra le placchette e d è la distanza tra di esse, si ottiene
q/m = v/BR.
Per accertarsi che si trattasse sempre dello stesso tipo di particelle Thomson ripeté gli esperimenti molte volte: usando come catodo l`alluminio, provò dapprima con aria come gas residuo nel tubo, poi con idrogeno e ancora con anidride carbonica sempre molto rarefatti; usando come catodo il platino, provò con tracce di aria.
I risultati non molto accurati di Thomson, dovuti agli oggettivi limiti sperimentali, furono confortati da un altro suo esperimento, basato sulle misurazioni di energia termica ceduta allo schermo.
Vi furono poi risultati concordanti ottenuti da altri ricercatori con esperimenti di elettrolisi e infine va ricordato quello importantissimo di Millikan sulla misura della carica elementare.
Tutti confermarono che i cosiddetti “raggi catodici” erano formati da particelle cariche negativamente di massa circa 1800 volte più piccola degli ioni idrogeno e dello stesso valore di carica.
Per inciso va detto che il metodo di Thomson sulle misurazioni energetiche risultò più accurato, ma è didatticamente meno noto.
Nella foto in grigio si vede un tubo usato da J. J. Thomson contrassegnato col numero 19 106 che è riportato da entrambi i testi citati nella bibliografia.
Bibliografia:
Una esauriente spiegazione dell`esperimento di Thomson si trova in AA. VV., PPC Progetto Fisica, Vol. B, Zanichelli, Bologna 1986.
Una spiegazione decisamente più approfondita e dettagliata si trova in S. Weinberg, La scoperta delle particelle subatomiche, Zanichelli, Bologna 1986.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.