Tavolino di Varignon Officine Galileo Firenze N° 10033

  Tavolino di Varignon delle Officine Galileo Firenze, matr. N° 100233.
 Nell`inventario generale N° 6 pag. 67, in data 1927, al n° 2228/127 si legge: “Officine Galileo Firenze. Tavolino per il parallelogrammo delle forze. Quantità 1. ₤ 146”, destinato al Gab. di Fisica.
Nell`inventario per categoria N° 7/8 del 1928, a pag 173, n° 646/2228 si legge la stessa scritta.
Nell`inventario D del 1933/1937 al n° 203 si legge: “In esistenza. Tavolino per il parallelogrammo delle forze. ₤ 10. Prima destinazione (Gab. Fisica)”. In questo caso è variata solo la stima del prezzo.
La datazione di questo esemplare è inoltre confermata dal suo numero di matricola, confrontato con quello di altri strumenti della stessa ditta con data certa.

La figura B 226 si trova a pag. 5 (Meccanica dei Solidi) del catalogo: Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica a cura del prof. R. Magini, Officine Galileo, 1940.

Abbiamo ritenuto comunque esplicativo
un disegno tratto dal Catalog M, Physical and Chemical Apparatus, May 1912, Central Scientific Co. Chicago U.S.A., rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-51680.pdf , poiché a fianco del tavolino è rappresentata una carrucola tipica di questo apparecchio.
In diversi cataloghi di origine U.S.A. dei primi del Novecento curiosamente le carrucole nei disegni sono quattro, mentre per la dimostrazione didattica ne sono sufficienti tre.
Questa in genere consiste dapprima nel far vedere che due forze uguali e opposte si equilibrano e viene realizzata semplicemente mettendo due carrucole agli estremi di un diametro del disco e ponendo su ogni cappio all`estremità di ciascun filo un peso uguale all`altro. Normalmente si usano serie di pesi di ugual valore singolo.
Si prosegue poi disponendo numeri diversi di pesi su ogni estremità del filo che passa attraverso la sua carrucola e mentre si opera, là dove i tre fili si uniscono ad un anellino al centro del disco, si pone uno spillo; una volta raggiunto l`equilibrio (o per tentativi o dopo aver fatto una previsione con un calcolo e in questo caso è indispensabile un goniometro), si p
uò togliere lo spillo e si osserva che l`anellino che unisce i tre fili resta al suo posto.
Dunque si può far vedere che ogni forza tiene in equilibrio il concorrere delle altre due.
Certamente la dimostrazione può proseguire usando quattro carrucole con i rispettivi quattro fili e quattro gruppi di pesi, ma a noi pare che l`obiettivo didattico della dimostrazione della regola del parallelogramma sia sufficiente e che quindi tre carrucole bastino.
Una regola diffusa consiste nel porre due forze a 90° ed usare 3 pesi per la prima, 4 per la seconda per poi equilibrarle con una terza di 5 pesi, secondo il teorema di Pitagora; ma noi riteniamo che sia ben più istruttivo trovare altri equilibri e siamo d`accordo con chi ha lasciato il disegno che si vede nelle due foto.
Procedendo per tentativi si possono dunque trovare le posizioni delle tre forze a = 2p, b = 3p , r = 4p per l`equilibrio, ma è altresì istruttivo usare la formula: a² + b² + 2 · a · b · cos φ
= r², dove φ è l`angolo compreso tra i due vettori a e b. Nel caso del disegno si ottiene dai calcoli il seguente risultato: 2² + 3² + 2 · 2 · 3 · cos 75° = 4,01 pesi. Non bisogna farsi ingannare dalle immagini nelle foto, nelle quali si misura un angolo φ di circa 77°; infatti esse sono deformate dalla lente dell`obiettivo (quello che si vede non è un cerchio!), mentre la misura sul disegno reale da un φ di 75°. Inoltre bisogna tener presenti gli attriti delle carrucole che possono falsare lievemente le prove.

Pierre Varignon (Caen, 1654 – Parigi, 23 dicembre 1722) è stato un matematico francese.
Nell`opera “Proyect d`une nouvelle mechanique” del 1688 formulò la prima definizione di risultante di più forze e di momento statico, e dimostrò razionalmente le due regole fondamentali della statica: la regola del parallelogramma sulla somma di più forze inclinate concorrenti e il teorema di Varignon sui momenti statici di più forze e della loro risultante.
La regola del parallelogramma era già stata in parte anticipata da Simone Stevin e fu poi sviluppata anche da Isaac Newton nel suo trattato sui principi della meccanica (1687).
  Ma ora vediamo come è fatto l`oggetto in figura, più sofisticato del nostro esemplare.
A pag. 65 del catalogo Central Scientific Co., Chicago, U.S.A. del 1912, sotto la figura qui riportata si legge:
«725. Composition of  Force Table, to demonstrate the laws of the composition and resolution of forces. The table top, 40 cm. in diameter, is of cast iron, accurately turned. The outer edge is raised and graduated in degrees. The vertical rod is 30 mm. in diameter and 45 cm. long. mounted on a heavy tripod base. The pulleys run with very little friction on cone bearings, may be clamped to any part of the rim, and are provided with an index line for reading angular positions. The cords are attached to a small ring, which can be held in the center of the table by a pin in order to adjust the weights easily. The tripod is supplied with leveling screws (not shown in illustration). Complete with 4 pulley clamps, 4 weight hangers and weights…… $ 25.00.
725B. Pulley only N° 725. A pulley of 4.5 cm. diameter, running with little friction on cone bearings. Can be clamped to table tops of from three-eighths inch to one and one-eighth inches in thickness. Convenient for composition of forces….$ 1.10.».
   Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

Termo-elettromagnete E. Leybold’s Nachfolger

Termo-elettromagnete E. Leybold`s Nachfolger.
Non rinvenibile negli inventari.
L`esemplare è stato costruito dalla E. Leybold`s A. G. Nachfolger Köln – Bayental e si stima sia stato acquistato nei primi anni del Novecento.

Il primo indizio che ha guidato la nostra ricerca è la figura 96066 riportata a pag. 360 nel catalogo Preiliste Nr. 100, Band III. Physikalische Apparate Max Kohl A. G. Chemnitz del 1926; che si trova all’indirizzo:

https://vlp.mpiwg-berlin.mpg.de/library/data/lit21186?
e si nota la perfetta somiglianza.
Nel catalogo si legge: «Thermo-Elektromagnet, Figur, bestehend aus einem Thermo-Element aus Kupfer und Nickel, dessen Strom ausreicht, den Elektromagneten so stark zu sättigen, daß er mit einer Windung Kupferdraht 5 kg trägt»,

Che si traduce liberamente:
«Il termo-elettromagnete in figura è costituito da una termocoppia di rame e nichel che, quando è messo in funzione, produce una forza in grado di tenere sollevato il peso di una massa di 5 kg».

The phenomenon of thermo-electricity was discovered in 1821 by Thomas Johann Seebeck (1780-1831).While studying the magnetic field created by an electric current, he built a circuit made in part of bismuth and in part of copper. When he held one junction between the two metals in his hand, a current was established, which he attributed to the difference in temperature between the junction in his hand, and the other junction in the circuit.

Il 14 marzo del 2014 abbiamo ritrovato casualmente il catalogo Appareils de Physique della E. Leybold’s Nachfolger Köln – Bayental del 1938, nel quale a pag. 167 viene brevemente descritto questo apparecchio. Ne riportiamo il testo integrale:
«Electroaimant thermoèlectrique. Le courant d’un couple cuivre-nickel, chauffé par un bec Bunsen, traverse la spire unique de fil de cuivre de l’électroaimant qui peut alors porter un poids de 5 kilos. (Fig. 1/5 grand. nat.). Une force thermoélectrique de 0,01 volts est produite, laquelle produit, cependant, un courant de 100 ampères a la résistance de 0,0001 ohms, et, par conséquent, le nombre d’ampères-tours est de 100, ce qui est relativement élevé».
La cui traduzione approssimativa è:
«Elettromagnete termoelettrico. La corrente prodotta da una coppia rame-nichel, riscaldata da un bruciatore Bunsen, attraversa la singola spira di filo di rame dell’elettromagnete che può quindi sollevare un peso di 5 kg [correttamente 49 N, N.d.R.]. (Fig. grandezza 1/5 nat.). Viene prodotta una f.e.m. di origine termoelettrica di 0,01 V, che produce, però, una corrente di 100 A incontrando una resistenza di 0,0001 ohm, e quindi, il numero di amperspire è 100, che è relativamente alto».
L’effetto su cui si basa questo apparato fu scoperto accidentalmente dal fisico estone Thomas Johann Seebeck nel 1821: se si riscalda una giunzione di due metalli diversi, come in questo caso rame – nichel, si ottiene una differenza di potenziale di pochi millivolt per Kelvin. Non abbiamo voluto eseguire alcuna prova data la vetustà dell’esemplare. Dalla letteratura consultata inoltre sappiamo che usando una coppia rame – costantana, se la resistenza del circuito è dell’ordine del decimilionesimo di ohm, alla temperatura di 500 °C si raggiunge una corrente di circa 100 A. Questo spiega la forte attrazione magnetica del dispositivo. Per ora non disponiamo delle caratteristiche della coppia rame – nichel e l’unica fonte è ciò che abbiamo trovato nel suddetto catalogo.
Come si vede nelle foto e nelle figure, la spira di rame ha una strana foggia con un ramo piegato subito dopo la doppia giunzione. La spira è posta nelle scanalature di due blocchetti di acciaio, dei quali uno è fissato sulla sommità del peso, mentre l’altro è rimovibile.
Successivamente abbiamo trovato le istruzioni sempre della E. Leybold’s Nachfolger Köln – Bayental 557 11 ; 1/1955 A che riportiamo.
Bibliografia:
Le istruzioni di cui qui sopra.
Appareils de Physique construits par E. Leybold’s Nachfolger Köln – Bayental, 1938 .
M. Fazio, M. C. Montano, Una fisica Nuova, Vol. II, Morano editore, Napoli 1984.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

Spettroscopio di Kirchhoff e Bunsen (Museo MITI)

  Spettroscopio di Kirchhoff e Bunsen.
Nell’inventario del 1912, a pag. 53, col n° 898 viene citato uno spettroscopio che potrebbe essere questo esemplare.
L’inventario D del 1937 al n° 342, lo dichiara già esistente.
Questo spettroscopio è riportato in diversi cataloghi della stessa epoca; da alcuni abbiamo tratto le relative figure che riportiamo qui di seguito.
Interessante è la scritta che appare a pag. 178 del Katalog über Apparate, Instrumente und Utensilien für den Physikalischen Unterricht Richard Müller-Uri Braunschweig 1909, poiché attribuisce il tipo di spettroscopio a Mousson. Catalogo rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-52540.pdf
Le nostre ricerche portano ad Albert Mousson (1805-1890) fisico e malacologo svizzero che fra l’altro ha scritto: “Spectral-Apparat” su Ann. Phys. u. Chem, 112,428. Vedere la figura 6761.
Inoltre vi si dice che questo tipo di spettroscopio fu progettato per uso scolastico e questo è confermato dalla scritta che appare a pag. 344 del A Catalogue of Physical Instruments catalogue 17 L. E. Knott Apparatus Company Boston 1912; rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments .
Vedere figura 77-170.

Una ulteriore conferma si trova a pag. 508 del Price List No 50 Vols. II and III Physical Apparatus Vol II Max Khol A.G. Chemnitz [1909-11?], rinvenibile all’indirizzo:
https://ia802605.us.archive.org/4/items/pricelistno5023kohlrich/pricelistno5023kohlrich.pdf .
Vedere figura 54097.
I primi studi sulla luce emessa dai gas ad alta temperatura si attribuiscono a T. Melvill, il quale espose alla fiamma diverse sostanze, ne collimò con un foro la luce emessa e la inviò verso un prisma ottenendo sullo schermo zone con colori diversi separate da zone scure, diversamente dallo spettro continuo ottenuto nel 1666 da I. Newton.
Ma la spettroscopia si diffonde dal 1802 con le prime osservazioni delle righe di assorbimento nello spettro solare, prodotto da un prisma, fatte con un cannocchiale acromatico da Wollaston.
La sua storia prosegue con Fraunhofer che, tra il 1814 e il 1815, fece uno studio sistematico delle righe di assorbimento nello spettro solare.
Nel 1827 G. Herschel osservò lo spettro di un sale metallico riscaldato su una fiamma.
Nel 1855 G. R. Kirchhoff e R. W. Bunsen proseguirono negli studi, già intrapresi da molti altri, degli spettri degli elementi opportunamente riscaldati, realizzando lo spettroscopio che porta i loro nomi.
Lo spettroscopio ha una grande importanza nella storia della fisica e della chimica, non solo per la sua potenza di indagine nella scoperta o nella determinazione degli elementi, tramite il riconoscimento o meno delle righe presenti negli spettri di emissione o di assorbimento, ma anche perché ha permesso di mostrare che gli stessi elementi sono presenti nel sole e nelle stelle lontane.
Ancor più importanti sono stati gli studi delle righe spettrali che hanno portato, attraverso percorsi tortuosi, ai modelli sulla costituzione dell`atomo. Vedi la figura qui sotto.

Lo spettro di emissione è continuo quando sono presenti senza discontinuità tutte le lunghezze d’onda; appare invece a righe quando è formato da radiazioni di particolari frequenze. In alto nella figura si vede lo spettro solare solcato dalle righe scure (linee di Fraunhofer) che costituiscono lo spettro di assorbimento dei gas più freddi che circondano il sole. Poi dall’alto verso il basso vi sono gli spettri discreti dell’idrogeno, dell’elio, del mercurio e dell’uranio.
Questi studi iniziarono nel 1885 con J. J. Balmer (che interpretò le misure delle lunghezze d’onda dello spettro dell’idrogeno eseguite nel 1835 da E. Hagenbach), per proseguire con J. R. Rydberg, nel 1896 con P. Zeeman e nel 1908 con W. Ritz e F. Paschen, per citarne alcuni, e costituirono i fondamenti della teoria di N. Bohr sull’atomo di idrogeno.
Ogni elemento ha i suoi inconfondibili colori.
Il trovare le stesse righe nella luce proveniente da una stella lontana ci permette di dire che l’Universo conosciuto è fatto degli stessi atomi di cui è fatta la Terra.
Osservando righe non ancora conosciute Bunsen isolò nel 1860 il cesio e il rubidio, Crookes scoprì il tallio nel 1861, Reich e Richter l’indio nel 1863, Lecocq il gallio, Ramsey e Rayleigh nel 1894 l’argon e l’elio.
Molti altri si dedicarono alle osservazioni degli elementi nel sole e nelle stelle. Tra questi sono da ricordare Secchi e Donati che riconobbero negli spettri delle stelle l’esistenza di molti elementi noti.
Lo spettroscopio  è composto da tre cannocchiali e un prisma montati su una piattaforma metallica con colonna e base.
È noto che un prisma di vetro scompone la luce, passata attraverso una fenditura, nei colori che la formano.
Nel piattino al centro dello spettroscopio viene posto un prisma P di vetro flint ad elevato indice di rifrazione, con forte potere dispersivo.
La luce da analizzare passa per un collimatore A, contenente una fenditura regolabile e un piccolo prisma di rimando per lo spettro di confronto; il collimatore è fissato sulla piattaforma.
Le righe sono le immagini colorate della fenditura, disperse dal prisma.
Il cannocchiale B ha un obiettivo acromatico a lungo fuoco e un oculare spostabile a mano, con reticolo; esso può ruotare per un certo angolo, mantenendo l’asse rivolto verso il centro, ed esplorare tutto lo spettro visibile. Il portascala C, montato su un perno, si può spostare lungo il lembo del piatto e possiede tutti i movimenti occorrenti per la regolazione.
Bibliografia.
A. Funaro e R. Pitoni, Corso di Fisica e Chimica, R. Giusti, Livorno 1907-1909.
E. Perucca, Guida pratica per esperienze didattiche di fisica elementare, Zanichelli, Bologna 1937.
‘Notizie per i laboratori scientifici e industriali’ a cura delle Officine Galileo-Firenze, n° 65-66 del marzo-maggio 1932.
B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. II, S.E.L., Milano 1928.
A. Battelli e G. Cardani, Trattato di Fisica sperimentale, Vol. II, Vallardi, Milano1913 (per inciso A.
Occhialini, nella commemorazione di Battelli, ne Il Nuovo Cimento del 1917, cita un lavoro di A. Mousson).
O. Murani, Trattato elementare di Fisica, Vol. II, U. Hoepli, Milano 1931.
AA. VV. , The Project Physics Course, Unità 4 e 5, Zanichelli, Bologna 1977.
E. Hagenbach è citato da A. Kastler in: Questa strana materia, EST, A. Mondadori, Milano 1977.
L. Segalin, Fisica sperimentale, vol. II, G. B. Paravia & C., Torino 1933, da cui sono tratti: lo schema essenziale e la figura di uno spettroscopio.
M. J. Sienko, R. A. Plane, Chimica, Piccin, Padova 1962, da cui è tratta la figura con alcuni spettri di emissione e di assorbimento.
Il capitolo decimo “Spettroscopia”, interamente dedicato all’uso degli spettrografi e spettrometri, si trova in: M. Panitteri, S. Barcio. D. Marucci, Complementi di Fisica e Laboratorio, G. B. Paravia & C., Torino, 1967; da pag. 142 è tratta la Tabella X-2 che serve per la taratura di un particolare spettroscopio di Kirchhoff e Bunsen avente la scala divisa in 80 parti.

Lo spettroscopio è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Federico Balilli e di Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

Spirale di P. M. Roget

 Spirale di P. M. Roget (1779-1869).
Le ricerche negli inventari d`epoca sono state infruttuose. Nell`inventario D del 1956 si trova al n° 805, dove si legge semplicemente: “Spirale di Roget”. Ma siamo certi che era già in esistenza e destinata al Gabinetto di Fisica.
Al rinvenimento risultavano mancanti la molla e il peso che termina con la punta.
Nell`ottobre del 2014 il Prof. Egisto Mariani ha provveduto alla ricostruzione del peso che termina con una punta adattandolo alla molla in acciaio che era in dotazione al Gabinetto di Fisica, ma sarebbe stata alienata perché sfibrata.
Questo ap
parecchio è dunque formato da una base di legno sulla quale è posto un disco di resina sintetica di color giallo. Su di esso sono montati: 1) un sostegno di materiale conduttore con un dispositivo telescopico per variarne l`altezza e in basso un morsetto; 2) una vaschetta anch`essa di materiale conduttore con un morsetto.
Al sostegno è appesa una molla conduttrice che termina con una massa munita di una punta.
La vaschetta va riempita in parte con del mercurio, non necessariamente puro, nel quale pesca per un mm circa la punta della massa sospesa.
Per svolgere la dimostrazione si collega un morsetto al polo di un alimentatore capace di erogare una corrente di forte intensità o di una batteria ben carica; l`altro morsetto va collegato ad un reostato a cursore da circa 10 ohm e almeno 8 – 10 A con in serie un amperometro di portata fondo scala di 12 – 15 A e quest`ultimo si collega all`altro polo. È bene mettere in serie anche un tasto per evitare eventuali errori o inconvenienti.
Dopo aver premuto il tasto, si regola il reostato partendo da una piccola corrente che si fa crescere fino a che le spire adiacenti si attraggono e la molla si contrae sollevando la punta. Questo accade con una corrente di circa 8 A.
 La corrente si interrompe e il peso ricade: la punta tocca il mercurio, la corrente passa nelle spire e la molla si accorcia di nuovo.
Il risultato è una oscillazione verticale della molla il cui periodo dipende e dalla sua costante elastica e dal peso e dall`intensità della corrente.
Rilasciando il tasto l`oscillazione si interrompe.
Il tutto serve didatticamente per dimostrare che i fili di due spire contigue, essendo percorsi da correnti equiverse si attraggono, come scoprì per primo A. M. Ampére nel 1820 . Ovvero che se su una spira si affaccia un polo nord, secondo la convenzione dei nomi adottata e visibile nella figura 1, sulla spira adiacente si affaccia un polo sud e, come è noto, essi si attraggono.
Questo accade perché se ogni spira vista dall`alto presenta un polo nord, vista dal basso presenta un polo sud e viceversa. Ovviamente le due spiegazioni sono equivalenti. L`esperimento deve essere di breve durata vista l`entità della corrente in gioco e, una volta terminato, il mercurio va riposto in un contenitore a parte senza mescolarlo con quello puro, poiché le scintille prodotte al distacco tra la punta e il metallo liquido lo ossidano rapidamente.

Nella figura 2 è illustrata una regola che indica la direzione e il verso della forza dovuta all’interazione tra una corrente e un campo magnetico esterno.

Nella figura 3 è illustrata la regola della mano destra per
trovare il verso del campo magnetico intorno ad un filo percorso da corrente elettrica se il pollice è diretto nel senso della corrente. Nella figura 4 a sono disegnati due conduttori paralleli, di lunghezza l e distanti
R, percorsi da correnti equiverse visti lateralmente: i campi magnetici generati (rappresentati da linee di campo in cerchi concentrici) vanno immaginati circondare ogni filo per tutta la sua lunghezza; essi incontrano alla distanza R l’altro filo. Nella figura 4 b la vista è dall’alto ed i punti al centro dei conduttori indicano che le correnti sono uscenti dal piano di rappresentazione. Abbiamo riportato le formule per calcolare le forze F che risultano uguali in valore e attrattive.
La figura 2802 è a pag. 735 del Physikalische Apparate Max Kohl Chemnitz i. Sachsen. Preisliste Nr. 21 (post 1905) rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/physikalischeapp00kohlrich/page/n5/mode/2up?q=Catalogue+of+Physical
+Apparatus+Max+Kohl
Le altre figure, pur se lievemente elaborate, sono state tratte da AA. VV., PPC Progetto Fisica, Vol. B, Zanichelli, Bologna 1986, un testo da consigliare vivamente per lo studio dello sviluppo storico delle idee e delle scoperte in fisica.
Bibliografia. Scheda Istruzione N. 439 Paravia.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

Stereoscopio di Brewster, brevetto “Vérascope Richard”

Stereoscopio di Brewster; su brevetto “Vérascope Richard”.
Non rinvenibile negli inventari dell`epoca. Sicuramente antico ma di difficile datazione.
Lo stereoscopio è un apparecchio per mezzo del quale si vede in tre dimensioni l`immagine di un oggetto fotografato da due punti che distano tra loro quanto gli occhi. Ogni cartoncino riporta dunque due foto affiancate dello stesso oggetto.
Il formato delle numerose foto rinvenute insieme a questo stereoscopio non è adatto allo stesso e neppure all’altro esemplare trovato nel 2013, ciò fa supporre che ve ne fosse un altro ancora nella collezione del Montani.
Wheatstone costruì il primo stereoscopio a riflessione tra il 1830 e il 1832 basandosi sull`idea che il senso di profondità venisse dalla lieve differenza angolare di visione percepita dagli occhi. La sua descrizione è riportata in una pubblicazione del 1838.
Tra il 1844 e il 1849 Brewster diede del visore una versione simile a quella di questo esemplare. Il costruttore Duboscq, nel 1850 lo rese popolare.
Un metodo semplice ed efficace per ottenere le due foto dello stesso soggetto affiancate consisteva nel disporre di una macchina fotografica munita di due obiettivi, in sostituzione degli occhi, che fotografavano lo stesso soggetto.
Dal negativo si ottenevano dei cartoncini come quelli qui riportati. Questi vengono infilati nell`apposita fessura ben visibile in una foto a corredo di questa scheda. Nei due oculari sono poste due lenti convergenti regolabili per la messa a fuoco che fanno vedere le due immagini sovrapposte.
Sotto gli oculari c`è una targhetta recante la scritta: “STÉRÉOSCOPE Breveté S.G.D.G. VÉRASCOPE RICHARD”. Mentre nella parte superiore su un`altra si legge: “Strumenti Scientifici CANOVAI S/A Corso Umberto 313-15 Via nazionale 201- ROMA”.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.