Specchi di Fresnel E. Leybold’s Nachfolger, Cöln-Rhein

Specchi di Fresnel.
Accessorio N° 11 dell`apparecchio di proiezione E. Leybold`s Nachfolger, Cöln-Rhein.
Nell`inventario generale n° 6 del 1925, al n° 2286/185 si legge: “Provenienza Zambelli Torino. Specchi di Fresnell [sic]. ₤ 557,60”.
Nell`inventario particolare per categoria n° 7/8 del 1925-1927 al n° 704-2286 di nuovo si legge: “Specchi di Fresnel. ₤ 557,60” e si trova nell`elenco degli accessori del proiettore.
Nell`inventario D del 1937, si trova nell`elenco degli accessori del proiettore a
l n° 353.
Nel Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construit par E. Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905, la figura 3322 si trova a pag. 384 dove si legge: “*3322. Miroirs de Fresnel avec fente et écran . . . 105 Franc”.
Il catalogo è rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
Nel Catalogue of Physical Apparatus (with descriptions for use) E. Leybold’s Nachfolger Cologne, (Germany) dei primi del Novecento, la figura 2151 si trova a pag. 103 con la relativa spiegazione degli esperimenti. Mentre a pag. 110 si legge: “*2151. Fresnel’s mirror with slit and diafhragm No. 13 . . . $ 17,50”. Il catalogo è rinvenibile all’indirizzo: https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/
Thomas Young`s 1800 demonstration of interference used two pinholes as sources. To ensure that the signals from each were in phase, they were both illuminated by the same pinhole. About 1816 Agustin Fresnel (1788-1827) used a pair of mirrors that produced two virtual sources from one real source. The mirrors are inclined at a slight angle to each other and illuminated by a monochromatic light source with a beam of light at a small angle to each mirror. The two reflected beams, appearing to come from two closely-spaced virtual sources, interfere with each other and produce maxima and minima.
Inventato nel 1816 da A. J. Fresnel (1788-1827) questo dispositivo è costituito da due specchi neri e lucidi quasi complanari dei quali uno è fisso e l`altro può essere regolato con una vite micrometrica posta sul retro.
Esso serve per ottenere le due sorgenti coerenti di luce necessarie per l`interferenza da una sola sorgente reale; questa è stata collimata da una fenditura regolabile e incide sugli specchi quasi in radenza.
Le due sorgenti virtuali illumineranno lo schermo e, con la giusta sovrapposizione, formeranno una figura di interferenza con caratteristiche molto migliori di quelle ottenute col dispositivo a due fenditure di T. Young.
La procedura molto delicata è la seguente: si dispongono gli specchi in modo tale da formare tra loro un angolo piatto; poi si regola lo specchio girevole ruotando lentamente la vite e osservando ogni volta l`immagine sullo schermo. Dapprima si devono ottenere sullo schermo due macchie luminose di uguale intensità, poi si regola la vite per ottenere la loro sovrapposizione affinché appaiano ben chiare le frange di interferenza.
L`angolo tra gli specchi si discosta di poco dai 180°.
Il diaframma ortogonale, posto tra i due specchi, serve per evitare che la lamina di luce proveniente dalla sorgente reale vada a sovrapporsi alle frange di interferenza confondendone i dettagli.
In luce bianca si hanno ovviamente frange di interferenza colorate, pertanto anche all`epoca si preferiva luce monocromatica possibilmente rossa, ottenuta con un semplice filtro trasparente colorato.
Oggi si usa il laser che però richiede la divergenza del pennello luminoso, ottenuta ad esempio co
n un oculare di microscopio posto tra il laser e la fenditura.
Inoltre agli specchi si preferisce il biprisma di Fresnel, anche se l`uso degli specchi presenta il vantaggio di poter variare la zona di sovrapposizione dei raggi interferenti.
La figura mostra il percorso dei raggi luminosi.

Per vedere gli altri accessori dell`apparecchio di proiezione della E. Leybold`s Nachfoger, Cöln-Rhein scrivere “Rhein” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Rocchetto di Ruhmkorff Leybold GHDH


Rocchetto di Ruhmkorff  Leybold GHDH.
Una targhetta posta su un lato della base reca la scritta:
  “LH; Leybold Didactic GHDH ; 52111 ; 6 – 8 V = ; Made in Germany”.
È uno dei meno antichi esemplari della collezione ed è tuttora in uso nei laboratori di fisica del Montani.
Il rocchetto è perfettamente funzionante ed è il terzo come dimensioni della collezione del Montani.
Serviva principalmente per alimentare i vari tipi di tubi a vuoto o a scarica nei gas, fino a che di questi è stato proibito l`uso per la loro pericolosità.
Esso è dotato di un ben congegnato martelletto che permette una buona regolazione dell`interruzione della corrente nel primario ed un comportamento stabile; all`interno della base è alloggiato un condensatore che attenua la scintilla dovuta alla f.e.m. di autoinduzione all`apertura del circuito del primario.
Il rocchetto di Ruhmkorff è essenzialmente un trasformatore, con un primario costituito da un numero esiguo di spire avvolte su un nucleo ferromagnetico (spesso costituito da fili di ferro) e da un secondario (generalmente diviso in due avvolgimenti separati, costituiti da numerosissime spire e collegati in serie) avvolto sul primario. Ma mentre un normale trasformatore viene alimentato in corrente alternata, il rocchetto è alimentato da una batteria di pile o di accumulatori, la cui corrente continua viene interrotta bruscamente e periodicamente, oppure da un alimentatore in C.C.. Il più comune dispositivo usato è l’interruttore elettromagnetico a martelletto di Neef, dello stesso tipo degli antichi campanelli elettrici. Non appena circola corrente nel primario, il martelletto viene attratto cosicché apre il circuito; la corrente cessa e il martelletto viene richiamato nella sua posizione di riposo dall’asticina elastica di cui è fatto, chiudendo di nuovo il circuito. Questo processo avviene più volte al secondo, ma il funzionamento è capriccioso e richiede una paziente messa a punto. Per sommi capi, una rapida variazione della corrente al primario genera un flusso di campo magnetico rapidamente variabile, che si concatena al secondario, generando in questo una forza elettromotrice indotta di notevole intensità. La tensione all’uscita del rocchetto presenta una semionda a bassa tensione e una semionda con un picco di tensione stretto e molto elevato che ne fa la caratteristica principale per i suoi impieghi.
In due  foto appare un piccolo rocchetto a flusso variabile della Phywe, sempre rinvenibile in questo sito.

Le tre figure sono a pag. 228 del Catalogue of Physical Apparatus E. Leybold’s Nachfolger Cologne
[1910?], rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/
e testimoniano che il martelletto, costruito dalla ditta, è rimasto invariato in oltre 40 anni a dimostrazione
della sua efficienza.
Per avere altre informazioni cercare: “Rocchetti di Ruhmkorff ” nella sezione Elettrotecnica.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

Ruota di Barlow 2° esemplare


      Ruota di Barlow.
Barlow`s Wheel. Electric current passes through the wheel from the axle to a mercury contact on the rim. The interaction of the current with the magnetic field of a magnet on the baseplate causes the wheel to rotate.
  Questo esemplare, ritrovato recentemente, è privo di marca e non è stato rinvenuto in nessun inventario; inoltre è di difficile datazione.
La ruota è attribuita al fisico inglese Peter Barlow (1776-1862), che lo presentò nel 1821. In realtà, questo strumento fu ideato dal suo assistente, il chimico James Marsh (1794-1846) che lo ideò dopo aver osservato che un filo attraversato da una corrente veniva espulso dai poli della calamita fra i quali era appeso. Questa ricostruzione storica è rinvenibile all’indirizzo:
https://www.fstfirenze.it/ruota-di-barlow/
  La ruota è costituita da un disco di materiale conduttore girevole intorno al proprio asse e la cui periferia in basso pesca nel mercurio contenuto nella vaschetta. Ai lati della vaschetta sono affacciati i poli di un magnete permanente a ferro di cavallo: un nord e un sud. I morsetti comunicano rispettivamente con l`asse del disco e con il mercurio. Ora, se si alimenta l`apparecchio in corrente continua, si vedrà il disco porsi in rotazione. Questo fenomeno è dovuto all`interazione tra la corrente e il campo magnetico. Se si inverte la corrente il disco invertirà il verso del moto. In questo esemplare i poli magnetici sono fissi, altrimenti invertendo il campo si avrebbe il cambiamento del senso di rotazione. E ancora, per effetto dell`induzione elettromagnetica, se si usa la ruota di Barlow facendola ruotare manualmente e collegando un milliamperometro ai contatti, si misura una corrente indotta: in questo caso storicamente la ruota prende il nome di Disco di Faraday (1831).
Ogni buon testo di fisica deve far notare che il funzionamento del disco di Faraday costituisce un esempio della fallacia della “regola del flusso”, detta spesso legge di Faraday-Lenz; regola che, per quanto molto utile didatticamente nell`ambito del calcolo in semplici situazioni, non ha fondamenti fisici. Non è una legge di campo ed è incompatibile con la relatività ristretta in quanto non è invariante per trasformazioni di Lorentz.
Bibliografia sul disco di Faraday e sulla “regola del flusso”. R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Physics, Vol. II, H. Addison – Wesley, P. C. Massachusetts, 1964.
G. Giuliani e P. Marazzina, Induzione elettromagnetica: un possibile percorso didattico, La Fisica nella Scuola XLV, 2, 2012.
 Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le imagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le varie opzioni.

 

 

 

Ruota di Barlow, Paravia.


    Ruota di Barlow, Paravia.
 Barlow`s Wheel. Electric current passes through the wheel from the axle to a mercury contact on the rim. The interaction of the current with the magnetic field of a two magnet on the baseplate causes the wheel to rotate.
Acquistata nel giugno del 1980, casa costruttrice Paravia, ₤ 25.000.
La ruota è attribuita al fisico inglese Peter Barlow (1776 1862), che lo presentò nel 1821. In realtà, questo strumento fu ideato dal suo assistente, il chimico James Marsh (1794-1846) che lo ideò dopo aver osservato che un filo attraversato da una corrente veniva espulso dai poli della calamita fra i quali era appeso. Questa ricostruzione storica è rinvenibile all’indirizzo:
https://www.fstfirenze.it/ruota-di-barlow/
 La ruota è costituita da un disco di rame girevole intorno al proprio asse e la cui periferia in basso pesca nel mercurio contenuto nella vaschetta. Ai lati della vaschetta sono affacciati i poli di due magneti permanenti: un nord e un sud. I morsetti comunicano rispettivamente con l`asse del disco e con il mercurio (vedere le foto).
Ora, se si alimenta l`apparecchio in corrente continua, si vedrà il disco porsi in rotazione. Questo fenomeno è dovuto all`interazione tra la corrente e il campo magnetico. Se si inverte la corrente il disco invertirà il verso del moto. In questo esemplare i poli magnetici sono fissi, altrimenti invertendo il campo si avrebbe il cambiamento del senso di rotazione.
E ancora, per effetto dell`induzione elettromagnetica, se si usa la ruota di Barlow facendola ruotare manualmente e collegando un milliamperometro ai contatti, si misura una corrente indotta: in questo caso storicamente la ruota prende il nome di Disco di Faraday (1831). Vedi figura.

Ogni buon testo di fisica deve far notare che il funzionamento del disco di Faraday costituisce un esempio della fallacia della “regola del flusso”, detta spesso legge di Faraday-Lenz; regola che, per quanto molto utile didatticamente nell`ambito del calcolo in semplici situazioni, non ha fondamenti fisici. Non è una legge di campo, non è una legge causale ed è incompatibile con la relatività ristretta in quanto non è invariante per trasformazioni di Lorentz.
Bibliografia sul disco di Faraday e sulla “regola del flusso”: R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Physics, Vol. II, H. Addison – Wesley, P. C. Massachusetts, 1964.
G. Giuliani e P. Marazzina, Induzione elettromagnetica: un possibile percorso didattico, La Fisica nella Scuola XLV, 2, 2012.
  Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le imagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le varie opzioni.

 

 

 

 

Sirena di Cagniard de La Tour (Museo MITI)


  Sirena di C. Cagniard de La Tour (1777-1859).
Nell`inventario del 1 gennaio del 1912, a pag. 51 n° 907, si legge testualmente: “Sirena di Cagriard [sic] de La Tour. Condizione buona. ₤ 10”. Destinata all`Aula di Fisica.
 La sirena, inventata da Cagniard de La Tour nel 1819, è una piccola turbina ad aria compressa, munita di contagiri da ingranare sull`asse di rotazione durante il moto.

 La sirena consiste in un tamburo la cui faccia superiore ha sedici fori inclinati di 45°; nella faccia inferiore c`è l`attacco per la soffiera. Sopra il tamburo si trova un disco, unito ad un asse girevole, che presenta sedici fori, situati in coincidenza con quelli sottostanti, di uguali dimensioni ma inclinati di 45° in senso opposto. L`aria che proviene dal tamburo, esce quando i fori sono in corrispondenza, e ciò provoca la rotazione del disco. Di conseguenza i fori non coincidono più e l`aria resta compressa dentro alla cassa fino alla successiva corrispondenza.
 La successione dell`uscita e dell`interruzione dell`aria genera il suono, la cui altezza aumenta con la velocità di rotazione del disco. La regolazione della pressione dell`aria permette di variare il numero di giri e quindi l`altezza del suono.
Durante un giro intero del disco l`aria passa 16 volte ed è pure interrotta 16 volte, si hanno dunque 16 vibrazioni per ogni giro. Dunque moltiplicando il numero di fori per il numero di giri al secondo si ha la frequenza del suono emesso.
Per determinare il numero di giri fatti l’alberino porta una vite senza fine che ingrana con una ruota dentata; questa ad ogni giro del disco avanza di un dente, inoltre ha un’appendice che ad ogni giro completo fa avanzare di un dente la ruota vicina (a destra nella figura). Se la prima ha cento denti, la ruota di destra segnerà le centinaia di giri, mentre quella a sinistra segnerà le unità fino a 100, a giro completato.
Disponendo di un cronometro si potrà così stabilire il numero di giri al secondo della girante.
 Bibliografia.
A. Funaro e R. Pitoni, Fisica e Chimica, Vol. II, R. Giusti, Livorno 1907.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. II, G. B. Paravia & C., Torino 1933, da cui è tratta la figura.
 La sirena è esposta al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
  Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le imagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le varie opzioni.