Apparecchi di Berghoff 738, 739 per mostrare il campo magnetico prodotto da correnti elettriche

Tre apparecchi  di Berghoff 738 e 739 per la visualizzazione delle linee di campo magnetico generate da correnti elettriche.
Nell’inventario D del 1956, in data 30 giugno, al n° 735-742 si legge: “Quadri per spettri magnetici delle correnti elettriche. In esistenza. Quantità N° 8. ₤ 1500”. Destinazione: Gabinetto di Fisica.
Ma sono certamente più antichi.  Le ricerche negli inventari precedenti sono state finora infruttuose ma il 7 maggio del 2018, durante una ricerca  di un altro strumento nei cataloghi , sono stati trovati sul Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905. Rinvenibile allindirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf .
Il loro impiego nella didattica era molto semplice ed efficace. Si cospargeva il vetro, posto in orizzontale, di fine limatura di ferro dolce in modo uniforme e in quantità non eccessiva, si collegava il filo di rame ad un generatore che poteva erogare correnti dell’ordine di qualche decina di ampere e si facevano osservare le forme assunte dai granellini di ferro. L’aspetto degli oggetti ci suggerisce che fossero stati ideati e realizzati per la proiezione delle immagini sul soffitto. In tal modo si perde la visione tridimensionale assunta dalla limatura, ma le immagini ottenute sono ugualmente suggestive. Inoltre si può sempre avere la visione diretta.
Ricordiamo che una rappresentazione grafica delle linee di campo si deve a M. Faraday.
Uno dei quadri pervenutici ha solo la cornice, un altro è andato perduto.
Qui riportiamo le foto di due quadri. Il primo mostra il campo generato da due fili paralleli percorsi da correnti in verso opposto; riteniamo però ( pur senza aver indagato sperimentalmente) che i tratti di filo siano corti e che il tratto di filo sopra il vetro possa influenzare la conformazione del campo prodotto.
Nel secondo quadro infatti il filo è un tratto rettilineo e parallelo al vetro (pur se più vicino del tratto di filo di cui si parlava prima) e mostra dunque una proiezione, del campo magnetico prodotto, sul piano parallelo al filo.
Mentre nell’esperimento simile a quello di Ørsted il piano è perpendicolare al filo.
Le indicazioni della Max Kohl dicono laconicamente: “Campo magnetico di una corrente”.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

Apparecchi di Berghoff 736 e 742 per mostrare il campo magnetico prodotto da correnti elettriche

  Apparecchi di Berghoff 736 e 742 per la visualizzazione delle linee di campo magnetico generate da correnti elettriche.
  Nell’inventario D del 1956, in data 30 giugno, al n° 735-742 si legge: “Quadri per spettri magnetici delle correnti elettriche. In esistenza. Quantità N° 8. ₤ 1500”. Destinazione: Gabinetto di Fisica. Ma sono certamente più antichi.  Le ricerche negli inventari precedenti sono state finora infruttuose ma il 7 maggio del 2018, durante una ricerca di un altro strumento nei cataloghi, sono stati trovati sul Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905, Rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf .  
 Il loro impiego nella didattica era molto semplice ed efficace. Si cospargeva il vetro, posto in orizzontale, di fine limatura di ferro dolce in modo uniforme e in quantità non eccessiva, si collegava il filo di rame ad un generatore che poteva erogare correnti dell’ordine di qualche decina di ampere e si facevano osservare le forme assunte dai granelli di ferro.
 L’aspetto degli oggetti ci suggerisce che fossero stati ideati e realizzati per la proiezione delle immagini sul soffitto. In tal modo si perde la visione tridimensionale assunta dalla limatura, ma le immagini ottenute sono ugualmente suggestive. Inoltre si può sempre avere la visione diretta.
  Ricordiamo che una rappresentazione grafica delle linee di campo si deve a M. Faraday.
Uno dei quadri pervenutici ha solo la cornice, un altro è andato perduto.
   Qui riportiamo dapprima tre foto di un quadro che mostrava il campo prodotto da due correnti parallele (almeno così dicono le istruzioni riportate nel catalogo).
 Inoltre riportiamo le foto di un quadro il cui filo ci è pervenuto ingarbugliato e solo dopo aver trovato nel catalogo le indicazioni sappiamo che originariamente doveva mostrare le linee del campo magnetico terrestre.

Le figure 372-387 sono a pag. 129 del Catalogo della Max Kohl.
Sotto vi si legge: «31576. Apparecchi di Berghoff per la teoria delle linee di forza, Fig. da 372 a 387.
La serie completa comprende: 1) Una barra magnetizzata, fig 372; 2) Due magneti con i poli di nome opposto l’uno accanto all’atro, Fig. 373; 3) Due magneti con i poli di nome uguale l’uno accanto all’atro, Fig. 374; 4) Un magnete a ferro di cavallo, Fig. 375; 5) Due magneti paralleli con i poli di nome uguale l’uno accanto all’atro, Fig. 376; 6) Due magneti paralleli con i poli di nome opposto l’uno accanto all’atro, Fig. 377; 7) Deformazione delle linee di forza, Fig. 378 e 378a; 8) Campo uniforme, Fig 379 e 379a; 9) Campo magnetico di una corrente, Fig. 380 e 381; 10) Campo magnetico di una corrente, sul piano normale alla direzione della corrente, Fig. 382; 11) Campo magnetico di due correnti parallele e in senso opposto, Fig. 383; 12) Campo magnetico di due correnti parallele e nello stesso senso, Fig. 384; 13) Campo magnetico di parecchie correnti circolari poste in serie, Fig. 385; 14) Solenoide formato da numerose spire, Fig. 386; 15) Campo magnetico terrestre, Fig. 387.
Per la proiezione di questi differenti apparecchi, ci si serve di un apparecchio idoneo a proiettare gli oggetti posti in orizzontale [I nostri da 31266 a 31279 N.d.R.]”.
Questo scritto e le immagini confermano quanto si sospettava, e cioè che questi oggetti sono sicuramente molto antichi ed è strano che per ora non si sia riusciti a trovarli nei numerosi inventari datati dal 1906 al 1937.

  Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo    di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

Apparecchi di Berghoff per visualizzare le linee di campo di magneti permanenti

Apparecchi di Berghoff per la visualizzazione delle linee di campo di magneti permanenti.
Nell’inventario D del 1956, in data 30 giugno, al n° 727-734 si legge: “Quadri per spettri magnetici delle calamite. In esistenza. Quantità N° 8. ₤ 1500”. Destinazione: Gabinetto di Fisica. Ma sono certamente più antichi.
Le ricerche negli inventari precedenti sono state finora infruttuose ma il 7 maggio del 2018, durante una ricerca  di un altro strumento nei cataloghi, sono stati trovati sul Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905, Rinvenibile all’indirizzo: http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf .

Il loro impiego nella didattica era molto semplice ed efficace. Si cospargeva il vetro, posto in orizzontale, di fine limatura di ferro dolce in modo uniforme e in quantità non eccessiva, e si facevano osservare le forme assunte dai granellini di ferro.
L’aspetto degli oggetti ci suggerisce che fossero stati ideati e realizzati per la proiezione delle immagini sul soffitto. In tal modo si perde la visione tridimensionale assunta dalla limatura, ma le immagini ottenute sono ugualmente suggestive. Inoltre si può sempre avere la visione diretta.
Ricordiamo che una rappresentazione grafica delle linee di campo si deve a M. Faraday.
Un quadro è andato perduto.
Visto che i magnetini hanno l’aspetto di frecce (tranne quello nel quadro dell’ultima foto) lasciamo volentieri al visitatore immaginare a quali magneti permanenti di uso comune corrispondano le situazioni presentate nelle foto, ricordando che per convenzione le linee di campo all’esterno di un magnete permanente vanno dal polo nord al polo sud.

  Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Baroscopio


       
   Il baroscopio e la forza di Archimede.
Nell’inventario del 1906, pag. 232 n° 821 si legge: “Baroscopio (rotto il palloncino) ₤ 10”.
Nell’inventario generale del 1923 al n° 12999/24 si trova registrato un baroscopio.

Esso serve per mostrare l’effetto della forza di Archimede, dovuta all’aria, sulla misura del peso di un oggetto, ed è essenzialmente una bilancia di piccole dimensioni.
Inoltre mostra che l’aria pesa.
Negli esemplari dei primi del Novecento un braccio, che termina con una vite, ha un cilindretto con madrevite che può essere spostato lungo il braccio stesso; l’altro braccio reca un palloncino cavo in posizione fissa.
Questo esemplare manca del palloncino, che si vede nelle figure.
All’epoca il palloncino era o di metallo cavo molto leggero o di vetro; oggi spesso si usa una sfera di polistirolo.
La forza di Archimede, detta impropriamente spinta per consuetudine (la spinta o impulso in fisica è il prodotto di una forza per un tempo), si manifesta quando un corpo è immerso in un fluido.
Essa ha il punto di applicazione nel baricentro che avrebbe l’aria se occupasse il volume dell’oggetto, ha un valore uguale al peso che avrebbe un volume d’aria corrispondente al volume dell’oggetto ed è rivolta verso l’alto.
Si consiglia per fini didattici di svolgere calcoli e misure quantitative accompagnati alla dimostrazione sperimentale.

La forza di Archimede è F = d g V, dove d è la densità dell’aria g è l’accelerazione di gravità e V è il volume del palloncino. Nel caso di un palloncino di forma sferica il volume si trova con V = 4/3 π R³; conoscendo d e g si calcola F.
Per eseguire la dimostrazione sperimentale si pone il baroscopio, posto dentro una campana di vetro, sopra una macchina pneumatica per produrre una buona rarefazione dell’aria.
Prima di iniziare è bene togliere sia il cilindretto sia il palloncino per controllare che la bilancia con i soli bracci sia all’equilibrio. Si rimettono al loro posto il cilindretto e il palloncino e si agisce sul cilindretto scorrevole per realizzare l’equilibrio, poi si poggia la campana di vetro sulla macchina con dentro il baroscopio (vedi la figura sotto).

 Man mano che l’aria viene tolta si osserva che la bilancia perde l’equilibrio e pende sempre di più dalla parte del palloncino. Si ferma allora la macchina per mostrare che l’abbassamento del palloncino non è dovuto alla macchina che porta via l’aria, poi si immette lentamente l’aria per far vedere che l’equilibrio si ristabilisce.
 Sempre per spiegare quantitativamente ciò che si è mostrato bisogna pesare con buona precisione il cilindretto e il palloncino. Ad essere pignoli si dovrebbe misurare anche il volume del piccolo cilindro di metallo per non trascurare anche la piccola forza di Archimede che agisce su di esso, ma per ragioni di semplicità possiamo tralasciare questo particolare a causa del piccolo volume dell’oggetto confrontato col volume del palloncino.
 Chiamando ‘a’ la distanza tra il cilindretto e il fulcro e ‘b’ la distanza tra il punto in cui è appeso il palloncino e il fulcro, ‘p’ il peso del disco e ‘P’ quello del palloncino, scriviamo la condizione di equilibrio in presenza d’aria:
p · a = (P – F) · b.
Misuriamo con accuratezza ‘a’ e ‘b’!
Quando il baroscopio è dentro la campana e in aria rarefatta, la F diventa trascurabile e così il suo momento, dunque l’equilibrio viene a mancare.
Nel vuoto il palloncino “appare” più pesante che nell’aria dove è “sostenuto” dalla forza di Archimede.
Gli allievi dovrebbero infine dedurre che, quando è richiesta una buona precisione nelle misure di massa di oggetti di discrete dimensioni fatte in presenza d’aria, la forza di Archimede introduce un errore non trascurabile.
La figura 512 è a pag. 35 del Catalogue N° 10 Physical Instruments di F. Ernecke Berlin S. W. [1884?]
che si può vedere all’indirizzo:
https://archive.org/details/catnumtenphyinst00newmrich/page/n5/mode/2up?q=F.+Ernecke .
La figura 4298 è a pag. 32 del Catalogue of Physical Instruments di J. W. Queen & CO. Philadelphia.1884. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52503/
La figura 40 -10 è a pag. 180 del A Catalogue of Physical Instruments catalogue 17 L. E. Knott .
Apparatus Company Boston 1912 visibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments .
Il baroscopio fu inventato da Otto von Guericke (1602 – 1686).
 Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Condensatore di Epino, Officine Galileo Firenze N° 2355 (Museo MITI)

       Condensatore di Epino.
Nell’inventario generale del 1925 a pag. 68, n° 2260/159, si legge: “Officine Galileo Firenze. Condensatore Epino. ₤ 171,20”. Destinato al Gabinetto di Fisica.
Si ritrova inoltre nell’inventario D del 1937 al n° 383. Costruito dalle Officine Galileo Firenze, matricola N° 2355.

 È il più semplice condensatore per dimostrazioni da laboratorio. Le due lastre (armature) piane sono circolari e affacciate, la loro distanza è regolabile. Il calcolo della sua capacità elettrostatica è semplice:
C = ε (S/d)
dove S è la superficie della lastra, d è la distanza tra le armature, ε è la costante dielettrica del materiale interposto.  Questa formula dà un valore leggermente inferiore della capacità del condensatore e si può usare per una distanza d molto minore del diametro dell’armatura.
  L’uso didattico più frequente consiste nel caricare il condensatore con una macchina elettrostatica.
La distanza fra loro deve essere tale da non far scoccare una scintilla.
Poi si scollega la macchina e si collega un elettrometro. 
Se l’ambiente è secco, le cariche si disperdono lentamente e si ha il tempo di far osservare che, aumentando la distanza tra le lastre, la differenza di potenziale tra loro aumenta mentre le cariche sulle armature restano pressoché invariate, come testimonia la maggiore divergenza dell’ago dell’elettrometro.
Ciò dipende dal fatto che la capacità del condensatore è inversamente proporzionale alla distanza; l’aumento della differenza di potenziale è dovuto al lavoro compiuto nell’allontanare le armature cariche di segno opposto.

 Un altro esperimento consiste nell’inserire tra le armature di un condensatore carico una lastra di materiale dielettrico; la divergenza notata all’elettrometro diminuisce, perché il materiale interposto ha aumentato la capacità del condensatore. C V = Q .
 Per completare la dimostrazione didattica bisognerebbe poter variare la superficie delle lastre, ma questo condensatore non è idoneo al caso.
Si fa osservare che le cariche elettriche si dispongono sulle superfici interne dei due dischi.
  Il condensatore di Epino (Franz Ulrich Theodor Aepinus (1724 -1802)) può essere inoltre usato insieme ad un galvanometro impiegato come indicatore balistico della carica, oppure per mostrare la ionizzazione dell’aria provocata da una fiamma.
 Il primo esperimento qui descritto è comunque il più importante poiché spiega il funzionamento dell’elettroscopio condensatore di A. Volta, che ebbe una grande importanza nelle ricerche, svolte dal grande scienziato, sulla differenza di potenziale per contatto, riguardanti l’invenzione della pila.
La figura N 1061 è a pag. 255 del catalogo:
Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica a cura del prof. R. Magini, Officine Galileo, 1940.

La figura 85-100 è a pag. 399 del A Catalogue of Physical Instruments, catalogue 17, L. E. Knott Apparatus Company Boston, 1912. Che si trova all’indirizzo:
https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments

La figura 5335 è a pag. 84 del Priced and Illustrated Catalogue of Physical Instruments, J. W. Queen & Co., New York, 1874. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52503/

Bibliografia.
R. Pitoni, Storia della Fisica, S.T.E.N., Torino 1913.
R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Phisics, Vol. II, Addison – Wesley P. C., Massachusetts 1964.
Il condensatore è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.

 Foto di Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.