Due specchi ad angolo variabile, Paravia



 Due specchi ad angolo variabile.
Casa costruttrice Paravia.
Il dispositivo non è rinvenibile negli inventari e probabilmente risale agli anni `60 del Novecento.
 I due specchi piani possono ruotare in modo tale da formare tra loro angoli variabili da un minimo poco al di sotto di 60° fino a 180°e sono utili per lo studio delle riflessioni multiple.
La sferetta rossa, posta sul suo stelo, va messa al centro per contare agevolmente il numero di immagini riflesse, come si vede nelle foto.
Sulla base sono segnati gli angoli di 60°, 90°e 120°.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elettroforo di Volta Off. Galileo N° 177980 (Museo MITI)

                   Elettroforo di Volta.
Nell`inventario D del 1937 al n° 380 si legge: “Elettroforo di Volta, ₤ 30”.
Questo esemplare reca il N° 177980 ed è leggermente più recente del pozzo e della sfera di Beccaria della stessa casa costruttrice (Officine Galileo), le cui schede sono riportate in questo settore.
Infatti differisce anche per alcune particolarità costruttive. Non ci è pervenuta la schiacciata, che fa parte dell`apparecchio completo.

L`elettroforo di Volta è la più semplice macchina elettrostatica ad induzione e tra le più antiche.
Alessandro Volta ne comunicò l`invenzione nel 1775 a J. Priestley.
La schiacciata di resina, a forma di disco, era appoggiata su una base di legno e veniva battuta con straccio di lana o pelle di gatto. In tal modo si caricava di segno negativo.
Il disco di metallo veniva quindi appoggiato sulla schiacciata e la toccava solo in pochi punti, data la rugosità sottile della resina. Dunque il disco si caricava positivamente nella parte inferiore e negativamente sopra, per induzione.
Allora era sufficiente toccare con un dito la sua parte superiore per portar via le cariche negative, ed ecco che il disco risultava carico positivamente. Le cariche positive non vengono portate via perché attratte dalle negative della schiacciata, che invece respingono le negative della parte superiore.

Degno di nota è che il corpo umano funge da conduttore.
Il manico per prendere il disco è di resina e termina con un pomello di bachelite.
Tutto il procedimento si può ripetere più volte senza bisogno di caricare la schiacciata.
La separazione delle cariche avviene dunque per il lavoro fatto dalla persona quando allontana il disco dalla schiacciata. Lavoro fatto contro la forza elettrica di attrazione tra le cariche di diverso segno: negative sulla schiacciata, positive sul disco.
Didatticamente quindi si può accennare al concetto di potenziale elettrico.

Oggi si usa un disco di alluminio, mentre la schiacciata di plexiglas, strofinata con lana, si carica positivamente; ne segue che i segni delle cariche sono invertiti.
A chi scrive è accaduto più di una volta, durante le dimostrazioni, che la schiacciata rimaneva attaccata al disco per la forte attrazione tra le cariche.
Nella  figura 145 si noti la scintilla che scocca tra il disco e il dito.
Una delle applicazioni dell’elettroforo si deve ad Alessandro Volta (1781) ed è ben descritta nella riedizione del testo del Ganot citata sotto; ne riportiamo la spiegazione originale. L’elettroforo applicato ad un elettroscopio a foglie permette di rilevare piccole differenze di potenziale a cui il solo
elettroscopio non sarebbe sensibile.
Con questo strumento Volta rilevò le deboli elettrizzazioni opposte che si manifestano quando due metalli di diversa natura vengono posti a contatto fra loro e tale scoperta
rappresentò l’inizio delle ricerche che lo portarono all’invenzione della pila; “Lettera sul condensatore
del 14 marzo 1782”.
La figura N 1041 si trova a pag. 247 del catalogo: Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica a cura del
prof. R. Magini, Officine Galileo, 1940.
Le altre figure sono tratte da:
V. Zanetti, Percorsi di fisica,
Zanichelli, Bologna, 1989 ;
M. Michetti, Fisica ottica-elettrologia, vol. II Ediz. Canova, Treviso, 1972.
Le figure 764, 765 e 798 799 sono rispettivamente alle pagine 812 e 839 di Elementary Treatise on
Physics Experimental and Applied transalted from Ganot’s Éléments De Physique by E. Atkinsons, W.
Wood & Co. New York 1910; il testo si trova all’indirizzo:
https://archive.org/details/treatphysics00ganorich .
Per osservare l’elettroforo in funzione  si veda il video del dott. Paolo Brenni realizzato per la Fondazione Scienza e Tecnica all’indirizzo:
http://www.youtube.com/watch?v=0vbStOvfVGg .
L`elettroforo è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Elettromagnete tipo Ruhmkoff Off. Galileo 1ª parte

Elettromagnete tipo Ruhmkorff, Off. Galileo. Nell’inventario D del 1956 al n° 4458 si legge: “Banco di Ruhmkorff“, registrato il 30/12/1968.
E. D. Ruhmkorff (1803-1877), l’inventore del famosissimo rocchetto che porta il suo nome, fu il primo a ideare un elettromagnete che per oltre un secolo è stato utilizzato per svariate esperienze nelle quali è richiesto un forte campo magnetico.
Per dare una succinta descrizione dell’apparecchio, corredata dalle opportune immagini, si è deciso di suddividere in due schede le spiegazioni poiché si parlerà delle proprietà magnetiche dei materiali, dell’induzione magnetica ed elettromagnetica, e dell’influenza di un campo magnetico sulla polarizzazione della luce.

Iniziamo qui con la descrizione dell’elettromagnete, di dimensioni ragguardevoli (90 × 20 × 55 cm) e di massa complessiva di 95 kg.
Esso è costituito da un robusto e massiccio banco di ferro lungo il quale scorrono le due squadre di notevole spessore che si possono fissare stringendo fortemente le viti di pressione con le grosse manopole, sottostanti le guide e ben visibili nella foto.
Sulla parte superiore di ognuna delle due slitte è fissato il nucleo orizzontale di ferro sul quale è avvolto un rocchetto di un lungo filo di rame ben isolato di grossa sezione.
L’accuratezza nella lavorazione di tutte le parti rende sia ben manovrabile il posizionamento dei rocchetti, sia la continuità del circuito magnetico con un traferro complessivo trascurabile.
Agli estremi dei nuclei sono disposte le montature per i polaroidi; ognuna delle due reca un cerchio graduato con un indice mobile sia per posizionare il polarizzatore sia per la misura della rotazione da dare al polaroide analizzatore onde riottenere il valore massimo della luce trasmessa.
Vi sono quattro coppie di espansioni polari di forma diversa, facilmente intercambiabili: una coppia cilindrica a faccia piana di diametro 6 cm; una coppia a profilo tronco-conico con un foro assiale per il passaggio della luce; una a profilo arrotondato ed un’altra con testa semi arrotondata. Le foto delle espansioni, nonché i numerosi accessori sono descritti nella seconda parte.
Nella figura 1 vi è lo schema di collegamento delle bobine: ai numeri 1 e 2 fanno capo gli avvolgimenti dei rispettivi rocchetti. Ai numeri 3 si collegano, con appositi conduttori, i morsetti dell’invertitore (visibile anche nella foto) con la scritta “alle bobine”.
Ai morsetti con la scritta “alimentazione” si allaccia il potente alimentatore in corrente continua, non riportato nelle schede.
Le due bobine si possono alimentare in serie o in parallelo agendo sui morsetti 1 e 2, senza togliere i conduttori collegati all’invertitore. Questo serve ad aprire o chiudere il circuito e invertire la corrente circolante nei rocchetti.
È sempre opportuno inserire nel circuito di alimentazione un reostato per ridurre la corrente prima di toglierla o di invertirla, onde evitare il danneggiamento dell’isolamento dovuto alle eventuali controforze elettromotrici autoindotte all’apertura del circuito.
Si possono dunque ottenere poli eteronimi affacciati o poli omonimi a seconda degli esperimenti.
Nella disposizione in serie non si devono superare i 30 V e i 7 A; nella disposizione in parallelo i 15 V e i 14 A. Per una durata massima di 20 secondi di corrente nella disposizione in serie si potrebbero raggiungere i 25 A, ma è sconsigliabile.
Nella figura  2 è riportata la curva di magnetizzazione per i 4 tipi di espansioni polari, per collegamento in serie e poli eteronimi con traferro di 1 cm. Si ricorda che un weber (Wb) è la misura del flusso magnetico: 1 Wb = 1V 1s = 1T 1m² .

Esistono sostanze otticamente attive che sono in grado di ruotare il piano di polarizzazione della luce, ma M. Faraday nel 1845 scoprì che un forte campo magnetico può produrre un effetto analogo in un corpo otticamente non attivo.
Tra gli accessori dell’elettromagnete c’è un cubo di vetro flint, privo di tensioni interne; condizione questa indispensabile per avere una buona riuscita dell’esperimento, poiché le tensioni interne modificano il piano di polarizzazione introducendo effetti indesiderati.

Le tensioni interne si rivelano semplicemente ponendo un oggetto trasparente tra due polaroidi: si fa passare luce attraverso il primo polaroide (polarizzatore lineare) e si ruota l’altro polaroide (analizzatore lineare). Con questa semplice operazione si osservano all’interno dell’oggetto trasparente disegni sfumati con curiose regolarità che variano al ruotare dell’analizzatore.
Per eseguire la prova della scoperta di Faraday si pone il cubo di vetro flint tra le due espansioni polari tronco coniche con foro al centro e si fa passare un raggio di luce monocromatica da un polaroide (polarizzatore) all’altro (analizzatore).
Se si usa il laser a gas He-Ne anche di potenza 1 mW la luce che passa va raccolta su uno schermo bianco per evitare danni alla retina degli occhi, oppure si espande il raggio laser con una lente. Altrimenti si usa la luce gialla quasi monocromatica del sodio che permette una visione diretta. Si ruota l’analizzatore fino a quando la luce che passa si riduce al minimo, poi si fa passare corrente nelle bobine e il campo magnetico produce la rotazione del piano di polarizzazione con conseguente aumento della luminosità in uscita, quindi si ruota l’analizzatore per mezzo dell’indice fino ad ottenere di nuovo il minimo di luce trasmessa e l’angolo letto fornisce la rotazione del piano di polarizzazione dovuta all’effetto del campo magnetico sulla luce.
La luce bianca non è adatta poichè il campo visivo appare colorato e, ruotando l’analizzatore, esso assume tutte le colorazioni arrecando disturbo alla misura.
Il polaroide è uno strato di iodiochinina solfato detto herapatite, (miliardi di microcristalli ugualmente orientati) immerso in acetato di cellulosa che trasmette solo onde elettromagnetiche le sui componenti siano giacenti in un determinato piano (ciò è riferito nell’ambito della descrizione classica della luce). Ma mentre un polarizzatore lineare piano ideale trasmette il 50% della luce incidente, il polaroide ne trasmette solo il 32%, da qui il suo nome NH32.
Dal dicembre del 2012 il dott. Paolo Brenni (per la Fondazione Scienza e Tecnica) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra molti degli esperimenti descritti in queste due schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti. www.youtube.com/user/florencefst .
La figura 144 è a pag 162 di L. Graetz, Die Elektrizität und ihre Anwendungen. Stuttgart. Verlag Von J. Engelhorn 1906. Rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/dieelektrizittu00graegoog/page/n29/mode/2up

Bibliografia.
Istruzioni delle Officine Galileo Firenze n° 110800 da cui sono tratte le figure 1 e 2  e la figura dell’elettromegnte.
L. Graetz, L’elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi, Milano 1907.
R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Phisics, Vol. I, H. Addison – Wesley, P. C. Massachusetts, 1964.
D. Pescetti, E. Piano, Pacchetto polarizzazione della luce, T.C. Bologna 1980.

Per consultare la seconda parte scrivere “elettromagnete” su Cerca.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Elettromagnete tipo Ruhmkoff Off. Galileo 2ª parte

Elettromagnete tipo Ruhmkorff, Off. Galileo. Seconda parte.
Nell’inventario D del 1956 al n° 4458 si legge: “Banco di Ruhmkorff”, registrato il 30/12/1968.
L’elettromagnete permette di analizzare qualitativamente in maniera rapida le proprietà magnetiche dei materiali solidi semplicemente sospendendone un campione tra le espansioni polari e facendo passare corrente nelle bobine onde ottenere un campo magnetico intenso e fortemente disuniforme. Come si vede nelle foto, in dotazione vi sono numerosi oggetti di sostanze e fogge diverse: tra di essi particolare rilevanza riveste il bismuto visibile nella foto.
Nel condurre le prove bisogna trascurare gli effetti iniziali nei conduttori perché il loro comportamento è dovuto alle correnti indotte causate dalla variazione del campo magnetico; quando l’oggetto sospeso non oscilla più e si orienta a seconda delle sue caratteristiche fisiche, se ne può valutare la natura.

Le prime osservazioni nel merito sono dovute a M. Faraday (1791 – 1867) e hanno permesso di classificare in prima istanza le sostanze in paramagnetiche, diamagnetiche e ferromagnetiche; in particolare nel 1846 scoprì che una barretta di bismuto avvicinata al polo di un potente elettromagnete (e quindi soggetta a un forte gradiente di intensità magnetica) viene respinta; il nome diamagnetismo si deve a Faraday.
Negli anni successivi fino ai nostri giorni si sono scoperti il ferrimagnetismo e l’antiferromagnetismo.
Premesso che le caratteristiche dei materiali dipendono fortemente da impurezze, dai trattamenti subiti e dalla temperatura, diamo subito qualche definizione del loro comportamento.
Le sostanze paramagnetiche si allineano debolmente alle “linee di campo” e quindi le barrette si dispongono in modo assiale e sono attratte dalla regione a più forte campo magnetico; elenchiamo l’alluminio, il platino, l’uranio, l’aria ecc..
Le sostanze diamagnetiche sono debolmente respinte, si comportano in modo opposto alle precedenti e si dispongono normalmente alle “linee di campo”; elenchiamo il bismuto, l’antimonio, il rame, il fosforo giallo, il piombo, l’acqua, ecc. .
Le sostanze ferromagnetiche si allineano fortemente alle “linee di campo” e quindi le barrette si dispongono in modo assiale. Il loro elenco è lungo e interessante per le svariate applicazioni tecnologiche; citiamo qui soltanto il ferro, il cobalto, il nichel, il gadolinio e il disprosio con le loro leghe.
Siccome le prove si fanno nell’aria che è paramagnetica, ciò che si osserva in realtà è dovuto alla differenza tra la proprietà intrinseca del corpo e quella dell’aria stessa.
Abbiamo messo “linee di campo” tra virgolette perché le spiegazioni dei suddetti comportamenti, date in fisica classica, sono approssimative e insufficienti.
Per averne una visione più soddisfacente bisogna ricorrere alla ben più complessa meccanica quantistica.
L’elettromagnete permette di eseguire esperimenti sull’induzione elettromagnetica e in particolare sulla legge di Lenz, usando gli accessori visibili nelle foto e nelle figure.

Numerose sono le esperienze eseguibili sulle correnti parassite (dette di Foucault o Eddy currents) le quali provocano forze che si oppongono al moto che le genera. Ad esempio se si fa cadere una moneta di rame (o di materiale conduttore) tra le espansioni polari quando l’elettromagnete è eccitato, si osserva che la moneta rallenta vistosamente la sua caduta nella zona in cui il campo magnetico è intenso.

Oppure si fa oscillare o ruotare un cubo di rame (o uno dei dischi visibili nelle foto) appeso al filo, sempre tra le espansioni polari: non appena sorge il campo magnetico l’oggetto rallenta.
Più istruttivo è il confronto tra il comportamento del disco di alluminio riconoscibile per i due settori rossi e quello che presenta i tagli radiali: il primo, una volta messo in rotazione rallenta e si ferma rapidamente per effetto delle correnti parassite indotte; mentre nel secondo le correnti indotte sono confinate nei settori delimitati dai tagli e i loro effetti si annullano vicendevolmente, dunque il disco continua a ruotare.
Inoltre ruotando manualmente con delicatezza il disco pieno si sente una sorta di resistenza, come se esso si muovesse in un mezzo viscoso; la cosa non accade col disco a tagli radiali.
Da un punto di vista didattico ciò è utile per spiegare la necessità di costruire i circuiti magnetici dei trasformatori con lamierini. Se si insiste nel far ruotare il disco pieno si nota che esso si riscalda, mostrando che il lavoro fatto, per effetto Joule delle correnti si trasforma in calore.
Per mostrare l’induzione elettromagnetica si può ricorrere alla bobina con poche spire circolari che terminano con due contatti, visibile sia nella figura sia nella foto.
Collegato un milliamperometro, protetto eventualmente da una resistenza in serie, ai due contatti, si osserva la corrente indotta non appena la bobina viene mossa. Meglio ancora se la si collega ad un oscilloscopio.
Viceversa, se la bobina viene alimentata da una corrente continua di valore adeguato, si osserva l’interazione tra il suo campo magnetico e quello dell’elettromagnete: la bobina viene respinta da un polo e attratta dall’altro. Se si inverte la corrente, si inverte il suo comportamento, così come accade se si inverte la corrente nei rocchetti dell’elettromagnete.
Se la bobina viene alimentata in corrente alternata (ad esempio a 50 Hz), toccandola si avverte una vibrazione.
Un altro esperimento significativo consiste nel disporre tra i poli un filo rettilineo la cui estremità superiore può ruotare intorno ad un perno e quella inferiore pesca sul mercurio contenuto in una vaschetta: per la descrizione del fenomeno si rimanda alla scheda: “Un accessorio del banco di Ampere”.

Tra gli accessori si trova anche la Ruota di Barlow inventata nel 1822 (P. Barlow 1791 – 1867): un disco di rame girevole intorno al proprio asse e la cui periferia pesca nel mercurio contenuto nella vaschetta. I morsetti comunicano rispettivamente con l’asse del disco e con il mercurio (vedere sempre la foto e la figura). Si deve fare in modo che il piano del disco deve essere normale al campo magnetico. Ora si alimenti l’apparecchio in corrente continua e si vedrà il disco porsi in rotazione.
E ancora, per effetto dell’induzione elettromagnetica, se si usa la Ruota di Barlow collegando un milliamperometro ai contatti e facendola ruotare manualmente, si misura una corrente indotta: in questo caso storicamente la ruota prende il nome di Disco di Faraday (1831).
Tra le altre esperienze eseguibili con l’elettromagnete, usando le espansioni a testa semiarrotondata, si possono visualizzare le “linee di campo” appoggiando una lastra di plexiglas sulle espansioni opportunamente distanziate, versando uniformemente un po’ di limatura di ferro sul plexiglass e percuotendo leggermente e ripetutamente il bordo della lastra.
Si inizi la prova con un campo di intensità minima, altrimenti la polvere di ferro vola via verso le espansioni polari. La limatura di ferro è nell scatolina visibile nella foto, insieme ad altri oggetti. Le “linee di campo” sono una visualizzazione utile didatticamente, derivata proprio dalle osservazioni di questo tipo.I liquidi, come i solidi, risentono degli effetti del campo magnetico come si vede nelle figure.Un liquido introdotto in un tubicino di vetro a pareti sottili, se paramagnetico si dirige in modo assiale (come le barrette di metallo); se diamagnetico in direzione perpendicolare alle “linee di campo”. Si ricordi che l’aria è paramagnetica e il vetro diamagnetico e dunque il comportamento dei liquidi risente del materiale nei quali sono immersi, esattamente come accade per i solidi. Se si dispone una goccia di mercurio oppure una goccia di una soluzione di cloruro di ferro su un vetrino leggermente incavato, si possono osservare le contrazioni delle loro superfici quando si eccitano e si diseccitano in successione i rocchetti dell’elettromagnete.Il diamagnetismo della fiamma è al pari osservabile accendendo una candela posta sempre tra i poli: vista di fronte la fiamma pare abbassarsi, vista dall’alto invece si piega perpendicolarmente alle “linee del campo”.Il tubo ad U, visibile sia nella foto che nella figura, serve invece per mostrare gli effetti del potere succhiante del campo magnetico su di un liquido. Tale fenomeno determina un dislivello tra i due rami, quando uno di essi è posto tra le espansioni polari: la pressione idrostatica dovuta al dislivello equilibra l’intensità del succhiamento. Per i liquidi in esame comunque il dislivello è tanto piccolo che occorre un catetometro per misurarlo. Esso va da frazioni di mm per l’acqua fino a qualche mm per il cloruro ferrico in soluzione acquosa.

Le figure 729, 730, 731, 732 sono a pag. 805 e a pag. 806 del testo
Elementary Treatise on Physics Experimental and Applied translated and edited from Ganot’s Éléments de Physique by E. Atkinsons, New York, William Wood and Co. 1875.
Rinvenibile al sito:
archive.org/details/elementreatisephys00ganorich
Dal dicembre del 2012 il dott. Paolo Brenni (per la Fondazione Scienza e Tecnica) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra molti degli esperimenti descritti in queste due schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti. www.youtube.com/user/florencefst .


Bibliografia.
L. Graetz, L’elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi, Milano 1907, da cui sono tratte le figure 346, 347 e 352.
R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Phisics, Vol. II, H. Addison – Wesley, P. C. Massachusetts, 1964.
M. Fazio e M. C. Montano, Una nuova fisica, Morano, Napoli 1984. B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. III, S.E.L., Milano 1935.
Istruzioni delle Officine Galileo Firenze n° 110800 da cui sono tratte le altre figure.
B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. III, S.E.L., Milano 1935.
Per consultare la prima parte scrivere: “Elettromagnete” su Cerca.
    Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Bollitore di Franklin, due esemplari

                      Due bollitori di Franklin.
Nell`inventario D del 1956, ai numeri 924/925 si legge: “Bollitori di Franklin, uno con etere ed uno con alcol”.
Il bollitore di Benjamin Franklin (1706-1790) è una variante dei primi termoscopi ad aria.
V. Viviani (1622-1703), nella sua opera sulla vita di Galilei (1564-1642), afferma che il termoscopio fu ideato dal fisico pisano durante il periodo padovano, attorno al 1597. La sua testimonianza è confermata da B. Castelli in una lettera a F. Cesarini del 20 settembre 1638, nella quale descrive l`uso dello strumento.
I due bollitori di vetro sono formati da due estremità cave unite da un tubicino, un esemplare ha le due cavità di forma sferica e contiene alcol colorato, mentre l`altro presenta forme tubolari e contiene etere colorato.
L`evaporazione di un liquido avviene quando alcune sue molecole lasciano la sua superficie; esso bolle quando tutto il liquido diventa superficie di evaporazione e dunque al suo interno si formano le tipiche bolle di vapore.
L`ebollizione del liquido avviene quando la tensione del suo vapore saturo eguaglia la pressione cui è sottoposto.
In ognuno di questi due apparecchi è stato messo un liquido opportunamente colorato.
L`alcol alla pressione atmosferica standard di 101,3 kPa bolle a 78,4 °C; l`etere bolle a 34,0 °C.
In fase di costruzione si è fatto bollire il liquido per far fuoriuscire l`aria e subito dopo si è saldato il vetro là dove si vede la piccola appendice.
Dunque al loro interno sono presenti il liquido e il suo vapore.
Alla temperatura ambiente il liquido è in equilibrio dinamico con le sue molecole evaporate. Dinamico nel senso che alcune molecole rientrano nel liquido mentre altre lo lasciano.
In queste condizioni il liquido è soggetto alla pressione del suo vapore saturo che alla temperatura ambiente è piccolo.
Ma se si riscalda con una mano una delle due estremità, il liquido inizia a bollire e a spostarsi dall`altra parte lungo il tubo.
Questo accade perché nella parte che riceve calore si genera vapore che spinge via il liquido in ebollizione, mentre lungo il tubo e nella parte opposta il vapore condensa di nuovo.
Se si continua a tenere la mano sulla cavità, fornendo ulteriore calore, il liquido trasferito dall`altra parte inizia a bollire.
Tale esperienza si può fare sia tenendo l`apparecchio in orizzontale sia in verticale.
Un`altra dimostrazione consiste nel confrontare le temperature delle mani di due diverse persone: colui che ha la mano a temperatura più alta provoca lo spostamento del liquido verso chi ha la mano più fredda.
L`uso didattico prevalente di questi dispositivi è per mostrare in modo rapido e semplice che un liquido può bollire a temperatura ambiente, e quindi insistere sull`influenza della pressione sulla temperatura di ebollizione. Cosa che si può fare anche con una macchina pneumatica e relativa campana: quest`ultimo metodo comporta il vantaggio di poter mostrare che il liquido, contenuto in un bicchiere con immerso un termometro e portato all`ebollizione per il vuoto fatto, diminuisce la sua temperatura poiché sono le molecole aventi maggiore energia a lasciare il liquido.
Mentre in un ambiente a pressione costante è noto che un liquido mantiene sempre la stessa temperatura mentre bolle.

La figura E 655 è a pag. 124 del catalogo: Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica, a cura del prof. R. Magini, Officine Galileo, 1940.
Foto di Claudio Profumieri e Ilaria Leoni, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.