Disegno per la pista centrifuga, nero di china di Giovanni Rastelli

Disegno per la Pista Centrifuga. Nero di china del prof. arch. Giovanni Rastelli.
Il nero di china di Giovanni Rastelli è stato realizzato nel 2005 per illustrare le varie fasi del percorso del cilindretto lungo la “Pista centrifuga”.
Nel disegno sono riportati i calcoli e le formule per spiegare il comportamento del cilindretto che viene lasciato correre verso il basso partendo da varie altezze.
Vedi la scheda relativa scrivendo “Pista” su Cerca.
Abbiamo scelto di presentare qui il disegno, che riporta fedelmente le formule ed i relativi calcoli, apparso nell`articolo “Pista centrifuga”, pubblicato sul periodico: “IL MONTANI” n° 3 del dicembre 2005, scritto da Fabio Panfili.
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Diaframma a iride, E. Leybold’s Nachfolger Cöln-Rhein

Diaframma a iride. Accessorio N° 6 dell’ apparecchio di proiezione E. Leybold’s Nachfolger, Cöln-Rhein.
Nell’inventario generale n° 6 del 1925, al n°2285/184 si legge: “Provenienza Zambelli Torino. Aggiustaggio [sic] diaframma ad iride. ₤ 167,60”.
Nell’inventario particolare per reparto n° 7/8 del 1925/1927 al n° 703-2285 si legge: “Diaframma ad iride. ₤ 167,60” e si trova nell’elenco degli accessori del proiettore. Nell’inventario D del 1937, si trova nell’elenco degli accessori del proiettore al n° 350 ed è valutato ₤ 50.
Come si vede nelle foto, la sua apertura si regola per rotazione agendo su un piccolo piolo; inoltre nella foto si vede che negli anni il foro ha perso la forma circolare quando viene chiuso oltre un certo diametro.
La figura 3295 è tratta dal Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construit par E. Leybold’s Nachfolger, Cologne, 190. Essa si trova a pag. 382 dove si legge: “*3295 Ajutage avec diaphragme à iris . . . 27 Francs”.
Il catalogo si trova all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
Nel Catalogue of Physical Apparatus (with descriptions for use) E. Leybold’s Nachfolger, Cologne, (Germany) a pag. 110, N° 2137, si legge: “Attachment with iris diaphragam . . . $ 5,50”. Però non vi è nessuna figura relativa ad esso. Il catalogo è rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52546/
Per vedere gli altri accessori dell`apparecchio di proiezione della E. Leybold`s Nachfoger, Cöln-Rhein scrivere “Rhein” su Cerca.

Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e ricerche di Fabio Panfili.
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Diapason e risonatori

                       Diapason e risonatori.
I due esemplari da sinistra sono delle Officine Galileo Firenze. Il più grande è un Do3 di 256 Hz e quello al centro è un Sol3 di 384 Hz, entrambi nella scala diatonica di Zarlino nella quale il La3 ha frequenza di 426,6 Hz. La scelta del Do3 di 256 Hz definisce la scala come “scientifica”, ma appartiene alla scala naturale diatonica.
Il più piccolo è un La3 di 440 Hz in scala diatonica e anche a temperamento equabile moderna.
È arduo stabilire la data di acquisto dei diapason del Montani poiché dal 1900 in poi ne sono stati inventariati molti, senza nessuna indicazione di riconoscimento certa.
I numerosi esemplari esistenti sono comunque antichi.
Il diapason è costituito da due rebbi e un piede di metallo.
Quando uno dei rebbi viene percosso con un martelletto dall`estremità di gomma, il sistema entra in oscillazione, vibrando a una frequenza fondamentale, poiché presenta elasticità e inerzia. Se il diapason viene tenuto per il piede emette un suono molto debole. Se invece il piede poggia su un corpo elastico il suono emesso è più forte.
Quando il diapason è messo su una cassa di risonanza, si produce un suono di intensità ancora maggiore.
La scatola di legno ha una sola apertura ed ha una lunghezza pari a un quarto della lunghezza d`onda della nota emessa dal diapason (se si trascura l`effetto di bocca). Le sue dimensioni sono importanti per avere una buona risonanza.
Il piede del diapason, oscillando come si vede in una delle figure, fa vibrare il legno della cassa che, nel suo moto, alternativamente spinge fuori e succhia dentro l`aria in essa contenuta con la stessa frequenza fondamentale del diapason, ma con maggiore efficacia. Il suono, se opportunamente analizzato, mostra un a
ndamento dolcemente sinusoidale.
A tale proposito è bene ricordare che il suono nell’aria è un’onda trasversale e consiste nella successione di zone compresse e rarefatte che si muovono normalmente alla velocità di circa 344 m/s a 20 °C in aria secca e a pressione atmosferica standard.
Se si illuminano i rebbi in oscillazione con luce stroboscopica di frequenza idonea, se ne possono vedere agevolmente i movimenti e le ampiezze di vibrazione. In luce normale infatti l`occhio non riesce a percepirne il rapido moto.
Si ritiene opportuno spiegare perché il suono del diapason, senza cassa di risonanza, è debole e si può udire bene solo accostando l`orecchio molto vicino alla faccia esterna di uno dei rebbi.
La prima ragione dunque è che i rebbi nel loro moto spostano poca aria, date le loro piccole dimensioni.
La seconda è che i due rebbi oscillano in senso opposto; pertanto le onde sonore sono in opposizione di fase e interferiscono in modo distruttivo in molte zone circostanti. Se si infila un rebbio in un tubo di cartone, si nota infatti un aumento dell`intensità del suono emesso. Inoltre se si sposta il diapason mentre lo si ascolta da vicino, si possono individuare le zone a bassa intensità sonora.
La terza è che ogni rebbio produce su una faccia una compressione mentre nell`altra faccia si crea una depressione.
La velocità con cui l`aria si precipita da una zona all`altra è maggiore della velocità del rebbio, la depressione viene attenuata e con essa l`intensità del suono emesso.
Questo si verifica poiché le dimensioni del rebbio sono piccole rispetto alla lunghezza d`onda del suono: se il riflusso verso la bassa pressione avvenisse quando il rebbio avesse terminato mezza oscillazione, rafforzerebbe la successiva compressione aumentando così la potenza sonora.
Il problema dell`efficienza del diapason viene comunque risolto dalla cassa di risonanza che, nella sua semplicità costruttiva, provvede a trasformare l`energia meccanica del diap
ason in energia sonora. Un particolare diapason è il corista che emette il La3, poiché questa dovrebbe essere la nota media dell`estensione della voce umana, ma l`attribuzione di un valore univoco alla frequenza corrispondente alla nota, ha una storia tortuosa e indefinita. Il diapason fu inventato da J. Shore nel 1711 e aveva una frequenza di 423,5 Hz. Secondo Goretti-Miniati, Sondhaus assegnò al corista la frequenza di 426 2/3. Scheibler propose 440 Hz ma, nel mondo della musica regnava una certa confusione. A Parigi nel 1700 il clavicembalo e l`organo erano accordati con il La3 di 405 Hz; mentre nel 1833, sempre a Parigi, nei teatri più grandi si usavano quattro coristi diversi: di 426,5 Hz, di 434 Hz, di 435 Hz e di 440,5 Hz. In Italia, il S. Carlo di Napoli aveva adottato 445 Hz, mentre La Scala di Milano aveva un corista di 451,5 Hz. Nel 1834 la Germania adottò il La3 di Scheibler, mentre la Francia nel 1859 sceglieva 435 Hz. Nel Congresso di Vienna del 1885 fu stabilito che il corista ufficiale internazionale era di 435 vibrazioni al secondo, ma, consultando altre fonti, si trova che, negli anni successivi, vi fu una grande varietà nella scelta della frequenza campione da parte di molti paesi. Solo nel 1939 una conferenza internazionale adottò 440 Hz. Oggi, sia la scala cromatica a temperamento equabile, sia la scala naturale o diatonica hanno il La3 di 440 Hz. La scala cromatica normalizzata conserva 435 Hz e la scala scientifica o giusta 426 2/3 Hz.

Nella figura  viene mostrata la trasmissione e ricezione sintonica. Solo se i due diapason sono accordati sulla stessa frequenza, avviene la trasmissione di energia dall`uno all`altro.
Se ad esempio il diapason a destra viene percosso, il suono prodotto entra nella cassa di risonanza del diapason a sinistra ponedolo in vibrazione; infatti se il diapson a destra viene fermato, si ode chairamente il suono emesso da quello a sinistra. La figura 53540 (53341) è a pag. 437 del catologo Max Kohl A. G. Chemnitz (Germany). Price List No. 50, Vols. II and III Physical Apparatus. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-51634.pdf
Bibliografia.
P. Caldirola, G. Casati e F. Tealdi, Fisica, Vol. I, Ghisetti e Corvi, Milano 1987; in due preziose pagine viene spiegato come il diapason genera il suono.
B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. II, S.E.L., Milano 1928.
C. Goretti-Miniati, Elementi di Fisica, Vol. II, F. Cuggiani, Roma 1909.
G. Castelfranchi, Fisica sperimentale e applicata, Vol. I, U. Hoepli, Milano 1941.
E. Perucca, Fisica generale e sperimentale, Vol. I, UTET, Torino 1937.
A. Battelli e P. Cardani, Trattato di fisica sperimentale, Vol. II, F. Vallardi, Milano 1913.
O. Murani, Trattato elementare di fisica, Vol. I, U. Hoepli, Milano 1933.
F.S. Crawford Jr., Onde e oscillazioni, La fisica di Berkeley, Vol. II, Zanichelli, Bologna 1972.
  Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Dinamometro a balestra di Régnier, Ing. Santarelli Firenze


Dinamometro a balestra di Régnier.
Nell’inventario del 1912 al n° 847 di pag. 49 si legge: «Dinamometro per misurare le forze di trazione e di compressione graduato da 0 a 90 kg; condizione buona; ₤ 5», già esistente. Costruttore Ing. Santarelli, Firenze.

  Questo dinamometro è classificato tra i dinamometri a flessione ed è adatto per misurare sia le forze di trazione che di compressione.
La sua portata fondo scala è di 90 kg, corrispondente a circa 883 N.
Sulla scala con zero centrale possono scorrere due indici folli: uno verso destra e uno verso sinistra.
Prima della misura essi si devono posizionare sullo zero; l’indice centrale, che termina con una sferetta, sposta uno dei due indici fino al valore assunto dalla forza.
La lettura si può agevolmente fare quando la forza è cessata, poiché l’indice rimane in quella posizione.
L’indice centrale è collegato alla balestra con un sistema di leve che trasducono la flessione in rotazione.
Notare il gusto dell’epoca di impreziosire la scala con una particolare verniciatura.
La figura 52212 è a pag. 311 del catalogo: Price List No. 50, Vols. II and III. Physical Apparatus. Max Kohl A. G. Chemnitz (Germany). Che si trova all’indirizzo:
https://ia802605.us.archive.org/4/items/pricelistno5023kohlrich/pricelistno5023kohlrich.pdf
La figura 428 è a pag. 139 del Catalogue N° 22 Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905; che si trova all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf ,
con la seguente scritta: «Dynamomètre pour mesurer les efforts de traction et de compression, Fig. 428, avec ressort très robuste; échelle graduée de 0 à 100 kgs . . . Frs 68».
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Dinamometro a molla Salter (Museo MITI)

                      Dinamometro a molla Salter.
Inventario D del 1937 n° 199. Dai particolari costruttivi si può far risalire agli anni venti del Novecento.
È un classico dinamometro a molla.
Questa deve seguire la legge di Hooke F = – K s . Dove F è un vettore che rappresenta la forza della molla, s è il vettore che rappresenta il suo allungamento e K dipende dalla rigidezza della molla.
In un buon dinamometro il valore di K deve essere costante per tutto il campo di misura e mantenersi tale negli anni. L’allungamento della molla deve quindi essere direttamente proporzionale alla forza applicata; ciò permette di avere una scala lineare.
Il dinamometro reca in alto la scritta: “Salter’s Improved Spring Balance” e più sotto:  “Warranted”.
Esso è tarato in kg con portata fondo scala di 1 kg, cioè circa 98,1 N.
Richard Salter costruì la sua prima bilancia nel 1770 e fondò la Salter Company nel 1782 in West Bromwich, England.
Nel 1825 i suoi nipoti John e George continuarono a costruire “Scales and spring balances” e la ditta prese il nome di George Salter & Co. .
L’esemplare del Montani ha acquistato col tempo un colore scuro: pertanto abbiamo ritenuto opportuno schiarire le foto. Inoltre, per mostrare meglio i particolari dello strumento, abbiamo riportato: la foto di un esemplare leggermente diverso non in possesso dell’Istituto e una figura tratta da un catalogo del 1924 della casa costruttrice.
Lo strumento è esposto al Museo MITI, su proposta di
Fabio Panfili.

Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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