Camera a nebbia Leybold

             Camera a nebbia.
 Acquistata nell`aprile del 1959 come risulta al n° 1593 dell`inventario D del 1956 dove è definita: “camera a nebbia permanente con dispositivo di illuminazione”.
 Questa camera a sensibilità continua serve ad osservare le tracce dei prodotti del decadimento radioattivo dovute alla condensazione di piccole goccioline di nebbia sugli ioni formatisi lungo la traiettoria delle particelle cariche.
 La particella carica ionizza l`aria (o il gas) presente e il vapore soprassaturo si condensa sugli ioni formando una scia che rivela il passaggio della particella.
 Durante il suo funzionamento, un anello di feltro imbevuto di alcol, collocato sotto il coperchio, provoca una presenza permanente di vapore.
Raffreddando la base del dispositivo con ghiaccio secco, si forma un gradiente termico tra il coperchio e la base; questo gradiente serve alla condensazione del vapore, che cade lentamente sul fondo.
Nello stato stazionario, che si ottiene dopo 20/30 minuti, c`è la soprassaturazione del vapore di alcol in uno strato di pochi centimetri sopra la base. Ogni particella ionizzante che attraversa questa zona, produce una traccia di nebbia ben visibile.
 La messa in opera dello strumento è delicata e piuttosto complessa: le varie fasi sono scrupolosamente descritte nella scheda di istruzioni della Leybold, citata nella bibliografia.
Come si vede nella foto, la camera è fatta dalle seguenti parti: 1) Coperchio con finestra e cerchio di feltro, 2) Cilindro di vetro, parzialmente verniciato in nero con due fori laterali, attualmente rotto 3) Piatto di base con tre piedini di plastica 4) Scanalatura per il ghiaccio secco con dispositivo a molla. 5) Lampada con finestra di vetro e tre fermagli a molla con strisce isolanti per fissare il coperchio. Erano inoltre in dotazione: un anello giallo di silicone, un anello di “perbunan” nero, due tappi di gomma, un diaframma per la lente di ingrandimento, un ago con sorgente di radio per la simultanea osservazione di raggi alfa, beta e gamma, un ago rivestito con una debolissima emissione alfa. Questi aghi sono stati riconsegnati, perché oggi ne è vietato l`uso nelle scuole.
  Questo tipo di camera a nebbia, inventata nel 1939 da Hangsdorf, è una interessante evoluzione della famosa camera ad espansione di C. T. R. Wilson. Con quest`ultima furono scoperte ad esempio il positone (Anderson, Blackett e Occhialini nel 1932), il mesone (Anderson e Neddermayer nel 1937) e le prime reazioni nucleari.
 È noto che la condensazione del vapore d`acqua in gocce liquide avviene quando l`aria satura di vapore viene rapidamente raffreddata e le gocce si formano solo in presenza di nuclei di condensazione, come ad esempio le polveri atmosferiche. In tal modo si formano le nubi.
 In laboratorio si può ottenere un vapore soprassaturo se si elimina il pulviscolo. Ecco dunque che la fugace presenza di una particella carica, ionizza l`aria, gli ioni divengono nuclei di condensazione e testimoniano il passaggio della particella stessa formando una traccia ben visibile.
Bibliografia.
F. Scandone, La camera a nebbia, Notizie Galileo N°4, Officine Galileo Settembre 1949, Milano.
Kontinuierliche Nebelkammer, scheda di istruzioni per l`uso della Leybold, N° 250 02, 1955.
Foto di Jessica Fioretti, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Campana di vetro con pendolino e archetto di violino


   Campana di vetro con pendolino e archetto di violino. 
 Nell`inventario del 1906 a pag. 557, n° 1352, si legge: “Una campana per la dimostrazione delle vibrazioni nei corpi sonori. Condizioni buone. ₤ 10”. Destinata alla Scuola di Chimica e Fisica, Sezione Z 16.
Nell`inventario del 1912, a pag. 52, n° 879. si legge: “Campana di vetro con tre pendolini in contatto col tondo e con arco di violino ₤ 15 – già esistente e in buona condizione”.
Nell`inventario D del 1919, pag. 39, al n° 838/15 si legge:  “campana di vetro con archetto di violino ₤ 30 (incrinata alla base)”. L`aggiunta tra parentesi è scritta a matita e infatti questo esemplare presenta una incrinatura vicina alla base.

  Oggi è rimasto un solo pendolino di legno; il fascio di crine dell`archetto è rovinato e questo è normale data la sua età.
L`archetto è impreziosito sul nasetto da una placchetta di madreperla.
La campana, destinata a fisica, serve per mostrare i ventri e i nodi che si manifestano sul bordo della coppa in regime di risonanza.

  Mentre l`archetto strofinato sul bordo fa vibrare il vetro, si posizionano i pendolini lungo il bordo cercando le zone nelle quali vi sono i ventri, che si riconoscono perché inducono uno spostamento nel pendolino con rimbalzi successivi, e i punti nei quali vi sono i nodi, nei quali il pendolino resta fermo e accostato al vetro.
I punti di massimo scostamento subito dal pendolino corrispondono alla massima ampiezza di vibrazione del ventre di risonanza.
La campana può entrare in risonanza per frequenze diverse e dunque sarebbero stati necessari da quattro ad almeno otto pendolini per il rilevamento.

Nelle foto si vede  il pendolino  posizionato troppo in basso, esattamente come lo abbiamo trovato.

La figura 817 è a pag. 55 del Catalogue N° 10 Physical Instruments by Ferdinand Ernecke Berlin SW. O. Newmann & Co. London. W. C., rinvenibile all’indirizzo:
https://archive.org/details/catnumtenphyinst00newmrich/page/n5/mode/2up?q=F.+Ernecke
La figura 1 mostra cosa accade al pendolino quando si trova nel punto di massima ampiezza del ventre; la figura 2 mostra uno dei possibili modi di risonanza della campana.

La figura 77 Vibrations in a Glass è a pag. 106 del volume W. Lewis, Light; a course of experimental optics, chiefly with the lantern, Macmillan & Co. London 1882. Rinvenibile all’indirizzo
https://ia800202.us.archive.org/8/items/cu31924031217809/cu31924031217809.pdf
Alle pagine 105 e 106 vengono descritti alcuni metodi per visualizzare i ventri e i nodi: uno di essi consiste nel versare un liquido nella campana ed osservarne attentamente la luce riflessa dalla superficie mentre si strofina energicamente l’archetto sul bordo.
Un simile effetto in minor proporzione si ottiene strofinando con un dito il bordo di un bicchiere contenente del liquido; come è noto si riesce a volte anche ad ottenere un bel suono.
Questa descrizione, insieme alla precedente, si trova anche in J. Tyndall, Sound, P.F. Collier & Son, New York 1902.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Doppio cono per termopila differenziale di Melloni

 Termopila differenziale di Melloni.
The Differential Thermopile was invented by Macedonio Melloni (1798-1854), an Italian physicist.
Melloni`s research dealt with thermal radiation, and he developed the thermopile to make quantitative measurements of the intensity of the radiation.
This instrument is called a Differential Thermopile, which means that it is able to compare the thermal radiation of two different sources.
L`esemplare visibile nella foto è riportato nell`inventario D del 1937 al numero 420.
Al suo interno manca l`elemento sensibile.

Nella figura 4997  si vede
 la termopila differenziale tra due sorgenti di “raggi calorifici”; la figura è a pag. 63  del Priced and Illustrated Catalogue of Physical Instruments, James W. Queen & Co. 1884. Rinvenibile all’indirizzo: https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/52503/


Negli studi di Nobili e di Melloni, veniva usato un semplice cono, come quello visibile nella figura nella figura
4964 di pag. 59 dello stesso catalogo; e come quello nella figura 946 di pag. 250 del Catalogue N° 22
Appareils de Physique Max Kohl Chemnitz Saxe. Representants et Dépositaires pour la France
Richard-Ch. Heller & Cie. Paris. 1905, rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9901.pdf ,
all`epoca si collegava la termopila con il galvanometro astatico di Nobili .


Nel 1821 T. J. Seebeck aveva scoperto che in un circuito chiuso formato da due metalli diversi, si generava una corrente elettrica se le due giunzioni erano mantenute a temperature diverse. Sia H. C. Oersted, sia J. P. J. Fourier proseguirono questi studi ma con scarso successo. Nel 1829 L. Nobili ebbe l`idea di usare sei coppie termoelettriche poste in serie, costituite da bismuto e antimonio, e di collegarle al suo galvanometro, molto più sensibile di quelli usati dagli altri scienziati. Però il “termomoltiplicatore” così fatto non era sufficientemente sensibile. M. Melloni venne a conoscenza di questa soluzione e pensò di servirsene per le sue indagini sul “calore radiante”. La collaborazione tra Nobili e Melloni fu di breve durata. Melloni proseguì da solo nelle ricerche dal 1831 al 1837, aumentò il numero di termocoppie, ne perfezionò le giunzioni eliminando il mastice nelle giunture, lasciandole completamente scoperte. I suoi esperimenti sui raggi infrarossi lo condussero a provare che essi avevano le stesse proprietà della luce come la riflessione, la rifrazione e la polarizzazione. Come però accade spesso nel progresso della conoscenza le sue idee furono accettate solo nel 1835.
Per mostrare altri impieghi della termopila di Melloni abbiamo riportato le seguenti figure:
N° 8531 di pag. 324 del catalogo Physical Apparatus, Baird & Tatlock (London) Ltd. 1912.
N° 3975 di pag. 350 del Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construit par E.
Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905; rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
Una interessante applicazione della termopila differenziale è descritta in un articolo del 1861 di J.
Tyndall: “On the Absorption and Radiation of Heat by Gases and Vapours, and on the Physical
Connexion of Radiation, Absorption, Conduction.-The Bakerian Lecture.”, The London, Edinburgh,
and Dublin Philosophical Magazine and Journal of Science, Series 4, Vol. 22, pp. 169-194, 273-285.
Rinvenibile all’indirizzo:
http://tyndall1861.geologist-1011.mobi .

Bibliografia:
E. Schettino, “Nobili, Melloni e il termomoltiplicatore in “Leopoldo Nobili e la cultura scientifica del suo tempo a cura di G. Tarozzi, Nuova Alfa Editoriale, Bologna 1985.

Nell’aprile del 2013 chi scrive ha potuto osservare due esemplari molto simili a questo all`indirizzo: http://physics.kenyon.edu/EarlyApparatus/Thermodynamics/Differential_Thermopile/Differential_Thermopile.html .

Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Dispositivo tipo Duddell



               Dispositivo tipo Duddell.
William Du Bois Duddell (1 July 1872 – 4 November 1917) was a British physicist and electrical engineer.
Nell`aprile 2013 ) chi scrive e l`ing. Profumieri hanno rinvenuto un apparato molto interessante riposto molti anni fa,  insieme ad altri oggetti da restaurare o identificare,  in un locale ad hoc del Montani, dall’ing. Giuseppe Calcinaro.
Il filo che passa e ripassa tra le espansioni polari era rotto come pure lo era la piastrina che lo regge. L`ing. Profumieri ha riparato con perizia la piastrina di metallo ed ha sostituito il filo originale rotto (forse di bronzo fosforoso) con un comune filo di rame. Poi ha alimentato con una tensione di due-tre volt le due bobine dell`elettromagnete in C.C. in modo da ottenere un campo magnetico sufficiente e ha inviato nel filo un segnale sia a onde quadre sia a onde sinusoidali di uno-due volt e di frequenza di pochi Hz. La meraviglia è vedere l`apparato in funzione con i due tratti di filo che vibrano alzandosi e abbassandosi alternativamente.
La ragione di questo comportamento è semplice, ma l`idea che sta alla base è veramente interessante. I due tratti del filo sono percorsi dalla stessa corrente, ma la loro disposizione è tale che in un tratto la corrente ha un verso opposto rispetto a quella nell`altro tratto. Dunque, per la legge della mano destra, mentre un tratto di filo è soggetto ad una forza verso l`alto, l`altro tratto subisce una forza verso il basso.
L`ing. Profumieri ha provato con un filo più rigido, ma non ha ottenuto un effetto soddisfacente.

Duddel tra fine Ottocento e i primi del Novecento, dopo aver ideato un simile apparecchio, pensò di saldare un leggerissimo specchio sui due fili, come si vede nella figura, rinchiudere il tutto in un contenitore pieno d`olio e di proiettare su questo specchio un raggio di luce. La luce riflessa veniva inviata su una macchina fotografica speciale che era in grado di trasformare lo spostamento lineare del punto luminoso in modo da dare sulla lastra sviluppata l`andamento temporale del segnale esaminato, ovviamente per frequenze piuttosto basse dal punto di vista odierno ma per l`epoca molto interessanti.
 L`oscillografo di Duddell nel 1903 poteva riprodurre frequenze musicali fino a circa 10.000 Hz. Se poi il raggio di luce veniva diretto su un sistema di specchi rotanti si otteneva un oscilloscopio a visione immediata su uno schermo.
 In questo sito si può vedere l`oscillografo a specchi rotanti della Siemens & Halske anteriore al 1937, fabbricato su questo principio, che  è in mostra al MITI, su proposta di Fabio Panfili.

 La figura 1  è tratta da una pubblicazione della ditta The Cambridge Scientific Instrument Company, Ltd., Cambridge England, printed at The University Press nel 1903, dal titolo: DUDDELL PATENT OSCILLOGRAPHS. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/51698/

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Dinamometro a molla per la misura della forza centrifuga

Dinamometro a molla per la misura della forza centrifuga.
Nell’inventario D del 1956 al n° 948 si legge: “Dinamometro a molla per la misura della forza centrifuga”.
Anteriore dunque al 1956, è costituito da una sfera forata, collegata mediante un tubo che scorre all`esterno di un`astina, ad un dinamometro a molla.
Il dinamometro ha l`indice che si ferma sul valore massimo ottenuto durante ogni singola prova.
Esso serve per mostrare quantitativamente (anche se in modo approssimativo) che la cosiddetta forza centrifuga cresce con il quadrato della velocità angolare moltiplicato per il raggio.
Per svolgere le prove si pone l`oggetto su una macchina rotante il cui numero di giri si può misurare sia con un contagiri meccanico, sia con uno stroboflash.
Ovviamente per ogni prova si sceglie un numero di giri diverso.
Le forze centrifughe si dicono “apparenti”, nel senso che appaiono solo in sistemi in rotazione.
Per intenderci meglio, facciamo un giro in giostra.
Mentre giriamo, sentiamo una forza che ci spinge verso l`esterno, diretta lungo il raggio; possiamo osservare che essa è più intensa in periferia che non vicino al centro di rotazione e che agisce su tutti i corpi presenti sulla giostra, anche sugli oggetti che teniamo in tasca.
Un osservatore esterno però ci fornisce una versione molto diversa. Egli afferma che la nostra è solo una sensazione e che la vera forza che ci fa ruotare è diretta verso il centro ed è dovuta ai sostegni cui siamo appoggiati.
Se infatti noi lasciamo i sostegni, non veniamo proiettati verso l`esterno in direzione della forza centrifuga, ma piuttosto in avanti nel senso del moto, e contemporaneamente la forza che sentivamo scompare come per magia.
La giostra è un sistema di riferimento non inerziale, mentre il sistema in cui si trova l`osservatore può, con una certa approssimazione, definirsi inerziale.
La figura B 280, con la breve spiegazione, si trova a pag. 26 del catalogo: Apparecchi per l’Insegnamento della Fisica a cura del prof. R. Magini, Officine Galileo, 1940.
La figura 904 si trova a pag. 112 del Catalogue des Appareils pur l’Enseignement de la Physique construit par E. Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905; che si trova all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf
La figura 651 si trova a pag. 201 del Physikalische Apparate Max Kohl Chemnitz i.S. Preisliste Nr. 21 (post 1905) che si trova all’indirizzo:
https://ia802303.us.archive.org/33/items/equipphyschemcla00kohlrich/equipphyschemcla00kohlrich.pdf
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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