Apparecchio per mostrare il potere succhiante del solenoide

Apparecchio per mostrare il potere succhiante del solenoide.
Serve per una dimostrazione delle azioni elettromagnetiche.
Forse fu costruito nel Montani prima del 1919. Nell`inventario del 1919, al n° 1001/67 di pag. 49, viene così descritto: “Apparecchio per la dimostrazione per le azioni elettromagnetiche con solenoide, nucleo di ferro, contrappeso, sostegno in ottone, base di legno”.

 Secondo la fisica classica una calamita attrae un chiodo di ferro dolce a causa della non uniformità del campo magnetico intorno ad essa.
Giocano infatti il momento di dipolo magnetico atomico e la non uniformità del campo B.
Se il chiodo è in prossimità, per esempio, del polo nord della calamita, nella parte più vicina del chiodo viene indotto un polo sud; qui dunque l`attrazione e più forte che non la repulsione subita dalla parte opposta dove è indotto il polo nord, ne consegue la prevalenza dell`attrazione.
Tutto ciò in gergo si dice effetto marea.
Questa spiegazione comunque non è soddisfacente per vari motivi.
Una spiegazione più convincente seppure ben  più complessa, è dovuta allo spin di particelle cariche, cioè ad un effetto quantistico.
Una certa analogia si trova in alcuni fenomeni di elettrostatica quando, con una bacchetta elettrizzata, si attirano dei piccoli pezzi di materiale dielettrico e ancor più quando si osserva il potere succhiante di un condensatore a facce piane nei confronti di una lastrina di materiale dielettrico.
Un solenoide, cioè un avvolgimento di numerose spire di rame, quando è percorso da una corrente elettrica continua, crea intorno a sé un campo magnetico non uniforme.
Se ad esso viene avvicinato un oggetto di materiale ferromagnetico, questo viene attratto a causa di una sorta di effetto marea dovuto alla non uniformità del campo.
Se l`oggetto in questione è immerso invece in un campo uniforme, le forze in ogni sua parte si bilanciano, e resta indifferente.
Nelle foto si vede il cilindro che verrà risucchiato all`interno del solenoide sollevando il contrappeso.
Il risucchio avviene poiché, pur se all`interno del solenoide il campo è pressoché uniforme, la vicinanza del cilindro ferromagnetico ne muta la forma, creando una asimmetria tra la parte vicina e quella più distante dalla sorgente del campo.
Il cilindro si ferma al centro della bobina, poiché si ristabilisce la simmetria.
Se si interrompe la corrente, il contrappeso solleva il cilindro, riportandolo nella posizione iniziale.
L`apparecchio col solenoide nel 1937 era in dotazione al Gabinetto di Fisica.
La figura, con la molla che sostituisce il contrappeso, è tratta dal catalogo Preiliste No. 11 über Physikalische Apparate, Chemische Instrumente und gerätshaften von Ferdinand Ernecke Präcisions-Mechaniker und Optiker. Berlin S.W. 46. del primo Novecento rinvenibile sia all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/files/51666/
sia all’indirizzo:
https://vlp.mpiwg-berlin.mpg.de/library/data/lit19758?
Bibliografia.
R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Physics, vol. II, Addison-Wesley P. C., Massachusetts 1964.
R. P. Feynman, Deviazioni perfettamente ragionevoli dalle vie battute, Adelphi, 2005, pp. 265, 266.
Foto di Daniele Maiani e di Ilaria Leoni, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Antica lampada a incandescenza a filamento di carbone 3ª parte


    Antica lampada a filamento di carbone, terza parte.
Qui riportiamo una sintesi della meticolosa e lunga descrizione della storia e dei tanti modi di fabbricazione di una lampada a filamento di carbone fino al 1897, che si trova nel volume di A. Wilke e S. Pagliani, citato in bibliografia.
Ci soffermeremo solo sulla fabbricazione dei contatti, del bulbo di vetro e del filamento.
Il filamento di carbone venne dapprima fatto con fibra di bambù che per la sua struttura presenta la necessaria elasticità anche dopo la carbonizzazione.
Il legno veniva diviso in asticine di dimensione opportuna arrotondate con appositi utensili.
Ma il processo era costoso.
Si tentò poi con paste plastiche carbonizzabili come sostanze gelatinose o colloidali o ottenute da cellulosa.
Le paste vengono compresse e trafilate per ottenere un filamento che viene poi tagliato alla lunghezza voluta. Se ne controlla la calibrazione; gli si da una forma ad U o a cappio come nei nostri esemplari, mediante stampi. Si procede poi alla cottura in forno che presenta particolari curiosi.
Il filamento, tagliato di nuovo come richiesto dal progetto, subisce l’ingrossamento delle sue estremità per circa 10 mm. L’ispessimen
to dei gambi si ottiene immergendoli in un idrocarburo liquido come il petrolio e facendo passare corrente nel filamento: il carbonio del liquido si deposita sui gambi (non tutte le fabbriche ricorrono a questo ingrossamento).
Per avere comunque un filamento pronto all’uso bisogna che la sua sezione sia la stessa per avere un resistenza uniforme per tutta la sua lunghezza; infatti deve raggiungere la stessa temperatura di esercizio ovunque, temperatura che all’epoca si stimava non dovesse superare i 1570 °C pena la sublimazione rapida del carbonio.
L’evaporazione comporta l’assottigliamento del filamento con conseguente diminuzione della sua durata e l’annerimento del vetro con diminuzione della trasparenza. Dunque per ottenere una sezione uniforme si procede con un metodo che gli autori attribuiscono ad Hiram Maxim (1878): il filamento viene posto in un contenitore e viene fatto percorrere da corrente in presenza di un idrocarburo gassoso rarefatto; il carbonio del gas decomposto si deposita più abbondantemente là dove la temperatura è più alta, cioè dove il filo è sottile e la resistenza più alta. Raggiunto il giusto valore si interrompe la corrente.
Si procede ancora ad una calibrazione e, passato questo esame, il filamento deve essere fissato alla base del bulbo di vetro sopra un peduncolo, vedi la figura 527.

Per fare questo si ricorre a due sottili fili di platino (il platino ha lo stesso coefficiente di dilatazione del vetro) saldati sul peduncolo: le estremità dei due fili di platino sono fatte a tubicino dove vanno infilate le estremità ingrossate del filamento di carbone, fissate poi con un mastice misto a polvere di carbone. Seccato il mastice si salda il peduncolo al bulbo di vetro. Svariati erano i modi di saldare i due sottili fili di platino alla base della lampada, ad esempio saldandoli a fili di rame, così come numerosissimi erano i tipi di basi sulle cui caratteristiche non ci soffermeremo.
Nei primi tempi ogni fabbrica si costruiva i propri bulbi di vetro, ma già a fine Ottocento tale compito era affidato a vetrerie specializzate.
Il palloncino viene dapprima soffiato a forma di pera con l`aggiunta di un peduncolo cavo poi viene spedito alla fabbrica di lampade il cui soffiatore applica un pezzo di tubo di vetro in testa alla pera e toglie il peduncolo (vedi fig. 529). Poi viene introdotto il peduncolo di vetro col filamento (di cui si è parlato sopra) nel fondo della lampada, saldando il collo della pera al peduncolo (vedi fig. 530).
Si applica al tubicino in alto un altro tubicino smerigliato per collegare il bulbo alla pompa, poi si fa un buon vuoto. Una volta tagliato e chiuso il tubicino, resta una curiosa appendice in alto; si procede infine ad attaccare il tutto alla base.
Alcuni provarono a mettere del gas inerte nel bulbo, questo comportava un aumento della luminosità, ma anche un riscaldamento eccessivo del vetro.
Secondo Wilke e Pagliani il filamento a tubicino del sistema Cruto, molto elastico e di grande superficie di emissione, era dotato di un buon rendimento luminoso, ma tendeva a deformarsi a causa della flessibilità dei fili di platino quando erano percorsi da corrente elettrica sotto l’influenza del magnetismo terrestre.
Noi riteniamo un po’ bizzarra tale spiegazione e più veritiero il fatto che i costi del processo per ottenere un simile filamento erano eccessivi.
Secondo i due autori, La Società Italiana di Elettricità, sistema Cruto, di Torino, che esercitava il brevetto Cruto, in seguito adottò il sistema di R. Luigi, molto più economico. La lampada Cruto è qui rappresentata nella figura 560.

Ci piace ora ritornare brevemente sulla storia della lampada a incandescenza a filamento di carbone: per dare un’idea delle discordanze delle fonti, riportiamo un riassunto delle tappe elencate da A. Parazzoli (vedi bibliografia).
Secondo questo autore, il successo della lampada ad incandescenza rispetto all’arco voltaico è dovuto alla facilità di ottenere divisibilità della fonte luminosa di piccola intensità senza interventi particolari durante il funzionamento e per uso prevalentemente privato.
Egli sintetizza la storia dando importanza ai seguenti avvenimenti: 1) Grove fu il primo ad usare sottili fili di platino [W. R. Grove e F. de Moleyns furono invece i primi negli anni 1840-41 ad usare fili di platino chiusi in globi con un certo grado di vuoto N.d.R.] ; 2) il belga Jobard nel 1938 propose l’uso di un filo di carbone in ambiente privo d’aria e l’allievo De Changy costruì nel 1840 una lampada con carbone di storta; 3) Sawyer e Man carbonizzarono in muffole chiuse liste sottili di cartoncino e nel 1877 venne loro riconosciuta la priorità del sistema di distribuzione di lampade in parallelo; 4) intanto Hiram Maxim scopriva il processo di “nutrizione del filamento”; 5) nel 1879 Edison usava fibre di bambù carbonizzate, ideava l’attacco che si diffuse maggiormente e acquistava i migliori brevetti in giro per il mondo.
Nel suo elenco Parazzoli tralascia moltissimi importanti protagonisti che, per esigenze di brevità, anche noi rimandiamo a chi si diletta a cercare in rete i siti suggeriti o dispone di antichi libri in materia.
La figura 40 mostra le varie fasi di fabbricazione di una lampada a incandescenza dell’epoca.
  Bibliografia.
R. Ferrini, I recenti progressi delle applicazioni dell’Elettricità, U. Hoepli Milano, 1884.
A. Wilke e S. Pagliani, L’elettricità sua produzione e sue applicazioni, Vol. II, U.T.E.T. Torino 1897.
L. Graetz, L’Elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi, Milano 1907.
G. Grassi, Corso di Elettrotecnica, Vol. II, S.T.E.N. Torino 1910.
A. Parazzoli, Lezioni Elementari di Elettricità Industriale, Vol. II, Casa Editrice L’Elettricista, Roma 1913, da cui è tratta la figura 40.
AA. VV., P. P. C. Progetto Fisica, Vol. B, Zanichelli, Bologna 1986.
   Ulteriori informazioni su A. Cruto e sui protagonisti più noti della storia della lampada ad incandescenza si trovavano all’indirizzo: http://home.frognet.net/~ejcov/100plus.html . Che purtoppo nel 2022 non esiste più.
Per consultare le altre due schede scrivere: “filamento” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Amperometro S.I.P.I.E. M. 681 S N° 877164

   Amperometro S.I.P.I.E. Mod. 681 S, matr. N° 877164. Nell`inventario del 1956 al n° 1418 si legge: “SIPIE- Milano. Amperometro portatile – Scala a specchio 50 e 100 A” e risulta acquistato nel maggio del 1958. Destinato al Laboratorio Misure di Elettrotecnica.
Lo strumento di matricola N° 877164 è del tipo magnetoelettrico, cioè con bobina mobile immersa nel campo di un magnete permanente, classe 0,5 , tensione di prova 2 kV e tensione di fondo scala 60 mV, corredato da due shunt per ottenere le portate di 50 e 100 A, va usato orizzontalmente.
I due shunt riportano lo stesso numero di matricola dello strumento e presentano alla misura resistenze inferiori ai 2 ohm, infatti recano le scritte comuni: S.I.P.I.E. , cl. 0,5 , 60 mV, corrente derivabile 21 mA, mentre ognuna indica la portata per la quale è destinata.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Bussola delle tangenti Ing. Santarelli Firenze n° 2354 (Museo MITI)



                         Bussola delle tangenti.
Costruita dalla ditta Ing. Santarelli Firenze, reca il n° 2354.
Nell`inventario del 1906 pag. 162 n° 633, viene dichiarata già esistente e in buone condizioni.
The tangent galvanometer was first described in an 1837 paper by Claude-Servais-Mathias Pouillet (1790-1868), who later employed this sensitive form of galvanometer to verify Ohm’s law. To use the galvanometer, it is first set up on a level surface and the coil aligned with the magnetic north-south direction. This means that the compass needle at the middle of the coil is parallel with the plane of the coil
when it carries no current. The current to be measured is now sent through the coil, and produces a magnetic field, perpendicular to the plane of the coil, and directly proportional to the current. The magnitude of the magnetic field produced by the coil is B; the magnitude of the horizontal component the earth’s magnetic field is B’. The compass needle aligns itself along the vector sum of B and B’ after rotating through an angle δ from its original orientation. The vector diagram shows that tan δ = B/B’.
Since the magnetic field of the earth is constant, and B depends directly on the current, the current is thus
proportional to the tangent of the angle through which the needle has turned.
  Questo strumento è dovuto all`invenzione nel 1837 di C. S. M. Pouillet; esso è ritenuto il primo in grado di fornire una misura attendibile di corrente continua e consiste essenzialmente in un ago magnetico sospeso al centro di una bobina circolare girevole attorno all`asse verticale su cui giace il filo di sospensione dell`ago.
Nell’apparecchio della collezione del Montani in luogo dell`ago c`è un equipaggio mobile costituito da un oggetto magnetico di massa 6,62 g a forma di campana con due fenditure laterali diametralmente opposte (come si vede nella figura ), nascosto nella sfera di rame al centro della bobina.

Sulla sommità del magnetino c`è una astina metallica sulla quale è fissato lo specchietto visibile attraverso la finestrella orientabile.
L`equipaggio è appeso con un filo a un sistema di regolazione posto alla sommità del cilindretto di vetro e ottone.
Dunque, per conoscere la posizione dell`equipaggio mobile ci si basa sulla indicazione dello specchietto ad esso solidale, rilevabile con un sistema a leva ottica.
La forma particolare del magnetino sospeso rende minimo l`errore dovuto alla lunghezza dell`ago.
Esso è cavo all`interno, è alto 19 mm ed ha un diametro di 11 mm; l`astina su cui è fissato lo specchietto è lunga 35 mm.
   Graetz attribuisce a Siemens l`introduzione del magnetino a forma di campana, e afferma che le correnti indotte nella sfera di rame che lo circonda ne smorzano le oscillazioni nel modo più efficace.
 Lo strumento è stato sottoposto a un lieve restauro ai primi di ottobre del 2001 da Federico Balilli.
 Tutto l`apparecchio è costruito con materiali diamagnetici. La bobina, chiamata all`epoca moltiplicatore, è formata da un gran numero di spire, numero che è necessario conoscere per eseguire la misura.
Prima di iniziare le procedure di misura bisogna livellare lo strumento affinché l`equipaggio mobile possa ruotare liberamente.
Nella sua posizione di riposo l`equipaggio viene mantenuto nel piano del meridiano magnetico dal campo magnetico terrestre. Si dispone dunque il piano della bobina esattamente nel piano del meridiano magnetico terrestre; un piccolo errore nella posizione comporta notevoli errori nella misura.
Si devono tenere lontani oggetti ferromagnetici e magnetici. Il ferro del cemento armato delle moderne costruzioni comporta sovente una deviazione nella direzione e una modifica del valore del campo magnetico terrestre. L`apparecchio deve stare lontano da conduttori percorsi da altre correnti elettriche; inoltre i conduttori che giungono allo strumento devono essere tra loro vicini, paralleli e perpendicolari al piano della bobina.
  La corrente continua che ora si fa circolare nella bobina provoca un campo magnetico di direzione perpendicolare alla componente orizzontale locale del campo magnetico terrestre. Quindi l`ago devia di un certo angolo α rispetto alla posizione iniziale fino a portarsi nella direzione della risultante fra i due campi. L`angolo di deviazione α è così determinato dalla relazione:
tang α = Bb / B0
siccome Bb è proporzionale alla corrente I che percorre la bobina, risulta:
 I = K tang α
da cui deriva il nome dello strumento.
  La leva ottica che si ottiene inviando un fascetto di luce sullo specchietto, permette di rilevare agevolmente l`angolo, così come permette l`orientazione iniziale della bobina.
 Quando è necessario trasportare lo strumento si deve aver cura di sbloccare la sospensione dell`equipaggio mobile per evitare la rottura dello specchietto. Il filo e lo specchietto non sono originali; forse il filo era di bronzo fosforoso e lo specchietto aveva una forma diversa, ma non ci sono pervenute indicazioni in merito.
  Il valore della corrente è inversamente proporzionale al numero di spire N e alla permeabilità magnetica dell`aria µo, è direttamente proporzionale al raggio medio della bobina R, al valore della componente orizzontale locale del campo magnetico B0, e infine alla tangente dell`angolo δ. Il valore di B0 varia da luogo a luogo e col passare del tempo; per eseguire una buona misura bisogna consultare una tabella aggiornata dove sono riportati i valori di Bo delle località più note della zona.
 È bene fare almeno due misure: la prima seguendo la procedura descritta; la seconda invertendo la corrente nella bobina. Se i due valori sono molto diversi significa che ci sono asimmetrie nei campi magnetici, altrimenti si può fare la media dei due valori di α.
Nel 2013, dopo aver consultato numerosissimi cataloghi dell’epoca, ho trovato una strumento
costruttivamente molto simile sul catalogo “Prix-Courant 1900 Société Genevoise, pour la construction
des Instruments de Physique et de Mécanique Genève”, rinvenibile all’indirizzo:
http://cerere.astropa.unipa.it/biblioteca/Strumenti/e-catalogues/Societe1900/Catalogo.html
Successivamente ho trovato la versione inglese del catalogo “1900 Illustrated Price List of Physical and
Mechanical Instruments made by the Société Genevoise, Geneva Switzerland”, rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/Trade-Literature/Scientific-instruments/CF/SIsingle-record.cfm?
AuthorizedCompany=Soci%C3%A9t%C3%A9%20Genevoisee .
La figura 3620 si trova a pag. 125.
La peculiarità di questo strumento rispetto alle più diffuse bussole delle tangenti è costituita dall’equipaggio mobile che, dotato di specchietto, permette l’uso del metodo di Poggendorf a leva ottica, con cannocchiale e scala di lettura. Le normali bussole del tipo Pouillet sono invece dotate di lunghi aghi magnetici.
 Bibliografia.
L. Graetz, L`elettricità e le sue applicazioni, Vallardi, Milano 1907.
Scheda di istruzioni n° 454 della Paravia.
G. Veroi, Corso di Elettricità-Misure Elettriche, Scuola d`applicazione d`Artiglieria e Genio di Torino, 1903.
C. M. Gariel, Traité pratique d`électricité, O. Doin, Paris 1884.
L. Olivieri ed E. Ravelli, Elettrotecnica-Misure Elettriche, CEDAM, Padova 1962.
 Lo strumento è esposto al Museo MITI su proposta di Fabio Panfili.
   Foto di Daniele Maiani e di Contemporanea Progetti, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Cannochiale per metodo di misura soggettivo Off. Galileo Firenze N° 1756

 Cannocchiale Galileo per metodo di misura soggettivo ideato nel 1826 da Poggendorf. Delle Officine Galileo di Firenze, matricola N° 1756.
Nell`inventario D del 1919, pag. 53, al n° 1090/26 si legge testualmente: “Cannocchiali Officina Galilei, uno con scala di legno… Quantità n° 2, ₤ 300”.
Forse era usato in abbinamento con la scala di lettura riportata in altra scheda che reca il n° 1098/34 del costo di ₤ 50 o con quella n° 1096/32 del costo di ₤ 30, che non ci è pervenuta.
La messa a fuoco si ottiene con una vite a cremagliera che nel punto di più frequente impiego è stata danneggiata.
Ad un sommario esame il sistema di lenti risulta in cattivo stato.
La base forse è stata ricostruita.

Il cannocchiale dunque veniva usato per misure di precisione strumenti a specchio col metodo soggettivo o di Poggendorf illustrato in figura dove S è lo specchietto dello strumento di misura; LL è la scala, δ è l`angolo di deviazione dello specchietto che il sistema di lettura raddoppia. Il punto A si vede riflesso dallo specchio con il cannocchiale. La distanza a dal centro della scala ad A si trova con la relazione a = l · tang 2 δ che , per piccoli angoli, si può approssimare ad  a ≈ 2 l δ.
Bibliografia:
L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962, da cui è tratta la figura 1-430.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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