Trasformatore di corrente SIFAM N° 26080

Trasformatore di corrente SIFAM matr. N° 26080. Nell`inventario D del 1933/1937 al n° 160 si legge: “Riduttore di corrente – 50 – 150 – 300/5 – N° 26079 – 26080. Quantità 2. ₤ 500. Prima destinazione ( Laboratorio Macchine Elettriche)”.

L`etichetta posta sopra il trasformatore reca la seguente scritta: “TRANSFORMATEUR SIFAM N° 26080. 8016. RAPPORT I/i 50/5 – 150/5 – 300/5 & 900/15”.
I trasformatori di corrente o amperometrici (convenzionalmente indicati con la sigla T A) sono trasformatori di misura il cui avvolgimento primario (interno o esterno) è collegato in serie al circuito del quale si vuole misurare la corrente, mentre il secondario alimenta uno o più misuratori di corrente o circuiti amperometrici.

Questo è un trasformatore di corrente portatile per bassa tensione e si possono ottenere quattro rapporti diversi con una costruzione ben visibile nella foto realizzata dopo aver tolto il pannello posteriore; si noti la sezione sia dei morsetti P1 e P2, sia del filo primario di poche spire (avvolto intorno al secondario), rispetto ai morsetti S1 ed S2 del secondario costituito da numerose spire di filo più sottile e nel quale passa una corrente o di 5 A o, nel quarto caso, di 15 A. Infatti, come si vede in una foto, vi sono rappresentati i tre schemi di inserzione. Il primo a sinistra serve per ottenere il rapporto tra la corrente di ingresso e quella di uscita I/i = 50/ 5; il secondo al centro serve per avere un rapporto I/i = 150/5; con quello a destra si possono avere sia 300/5 sia 900/15.
La particolarità di questi tipi di trasformatori consiste nell`uso dei morsetti del primario solo per pochi rapporti (nel nostro caso uno solo) mentre si ricorre ad un primario esterno (costituito da un filo flessibile di opportuna sezione) che passa direttamente nel foro centrale ben isolato a volte con una spira (secondo caso), a volte solo attraversandolo (terzo e quarto caso).
Altri tipi di trasformatori realizzano più rapporti sia con morsetti intermedi, sia con primari esterni passanti per il foro centrale con due o più spire.
Nell’ultima foto si vedono entrambi i trasformatori citati nell’inventario.
Come è solito fare, l`ing. C. Profumieri ha provveduto a restaurare in modo non invasivo il trasformatore.

Bibliografia: L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III., CEDAM, Padova 1962, pag. 209 e segg. e in particolare pag. 227, da cui è tratta la figura 1-989.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Trasformatore di tensione SAMAR Tipo TV 0,6/20 P N° 241941

Trasformatore di tensione SAMAR tipo TV 0,6/20 P matr. N° 241941.
Non è stata fatta una ricerca negli inventari recenti.
Nella collezione del Montani esistono altri tre esemplari identici a questo, anch`essi in ottime condizioni; i loro numeri di matricola sono: 24940, 24942 e 24943.
I trasformatori di tensione, o voltmetrici, sono trasformatori di misura alimentati al primario con la tensione V1 che si vuole misurare, mentre il secondario alimenta o voltmetri o circuiti voltmetrici.
Per chi desidera approfondire l`argomento si consiglia il testo: L. Olivieri ed E. Ravelli, Elettrotecnica Misure elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962. da pag. 197 a pag. 209.
Noi qui ci limitiamo ad accennare ad alcune loro caratteristiche, tratte dal suddetto testo.
I trasformatori di tensione normali sono costruiti in genere per una tensione nominale secondaria di 100 V, qualunque sia la tensione nominale primaria che può variare da alcune centinaia di volt sino ad alcune centinaia di kilovolt, a seconda delle esigenze di misura.
Le tensioni effettive di esercizio devono scostarsi il meno possibile da quelle nominali: da 0,8 a 1,2 volte la tensione nominale primaria.
Le Norme CEI richiedono di indicare il carico del trasformatore tramite la potenza apparente (in VA) assorbita dal circuito collegato ai morsetti del secondario corrispondente alla tensione nominale o “di targa” del trasformatore; questa potenza apparente si chiama: “prestazione del trasformatore P = V2n · I2”.
A volte la prestazione si associa al fattore di potenza cos φ  = (R / Z), dove R è la resistenza dell`impedenza Z del circuito collegato col secondario.
Per quanto riguarda il grado di precisione, i trasformatori di tensione vengono divisi in quattro classi indicate dalle lettere S, P, Q, R, in ragione decrescente della precisione.
A queste classi corrispondono gli errori massimi di rapporto e d`angolo riportati in una tabella nel testo citato.
La targa di un trasformatore di tensione deve riportare le seguenti indicazioni:
1) trasformatore di tensione, oppure “TV”;
2) nome della ditta costruttrice;
3) modello e numero di fabbricazione;
4) tensioni nominali primaria e secondaria separate da una barra per indicarne il rapporto;
5) classe e prestazione nominale in voltampere ed eventualmente la prestazione massima;
6) frequenza o intervallo di frequenza nominale;
7) tensione di esercizio.
Infatti una targhetta ben visibile nelle foto reca la seguente scritta: “MILANO SAMAR ITALIA. TRASFORMATORE DI TENSIONE TIPO TV 0,6/20 P RAPPORTO 250 – 500 /100 V. PRESTAZIONE 20 VA. Hz = 50. VOLT ESERCIZIO = 3,5 KV. CLASSE P. N° 241941”.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Limitatore di corrente alternata A.E.G.

Limitatore di corrente alternata A.E.G. .
Nell`inventario generale del 1919, a pag. 47 si legge al n° 938/4: “Limitatore di corrente Hartmann & Braun – ₤ 5” e subito sotto al n° 939/5:  “Detto per corrente alternata A.E.G. – ₤ 5”. A fine maggio del 2014 abbiamo ritrovato questo esemplare della A.E.G. che si è rivelato di inaspettata ingegnosità progettuale, come si vede nelle foto. Le due targhette recano le seguenti scritte: “LIMITATORE PER CORRENTE ALTERNATA N° 600249 – 130 Volt – 2 Amp. – TIPO S B – 50 PERIODI” ; “ALLGEMEINE ELEKTRICITÄTS GESELLSHAFT BERLIN”.
La prima scritta denota la destinazione al mercato italiano dell`oggetto.
Questo limitatore dunque se fosse funzionante interromperebbe la corrente nel caso in cui l`assorbimento superasse i 260 W: non pare quindi che fosse destinato per consumi domestici quanto piuttosto per protezione di un motore o qualcosa del genere.
Un impiego poco diffuso all`epoca (almeno in Italia) dei limitatori di corrente alternata di questo tipo consisteva nell`evitare un eccessivo consumo di energia elettrica da parte di un singolo utente nella rete di distribuzione; in genere si ricorreva al solo fusibile e solo in seguito furono impiegati i limitatori di potenza termici ed elettromagnetici.
L’elettromagnete è funzionante, ma pare manchi un contatto che porta corrente dal primo morsetto allo stesso come si vede a destra nella terza foto e nella quarta foto.

L’apparecchio deve funzionare in posizione verticale, cioè appeso ad un quadro elettrico; l’elettromagnete, quando è percorso da una corrente minore di 2 A, attrae un dischetto di materiale ferromagnetico (forse ferro dolce, di color nero e ben in vista nella quinta foto e ancor meglio nella settima) calettato su un disco di alluminio con alla parte opposta un contrappeso che bilancia anche un alberino.
Ma il disco resta bloccato dalla punta di un braccetto di ottone che ne impedisce la ulteriore rotazione; la punta del braccetto è fermata da un piccolo dente (o camma che è ben visibile nella quarta foto ).
Anche il braccetto reca un oggetto ferromagnetico dalla parte dell’elettromagnete, mentre la lunga e sottile vite regola la posizione di una massa (ben visibile a sinistra nella quinta foto).
Questa posizione è determinante per il buon funzionamento del tutto, poiché influisce sulla sensibilità dello strumento. Se la massa viene spostata sulla sinistra (guardando sempre la quinta foto), occorre più corrente nell’elettromagnete per attrarre l’oggetto ferromagnetico (posto nella parte superiore del braccetto vicino al nucleo dell’elettromagnete) e provocare lo sganciamento del braccetto con conseguente rotazione del disco e contemporanea interruzione della corrente.
Viceversa, se la massa viene spostata sulla destra la corrente necessaria è minore. Quando infatti avviene la liberazione del braccetto, poiché la corrente ha momentaneamente superato i 2 A, l’elettromagnete attrae a sé il dischetto nero, ma nel frattempo il braccetto interrompe la corrente; il disco di alluminio per inerzia continua comunque la rotazione e un alberino (posto sopra il disco) comanda, tramite una camma di ottone, lo spostamento dell’interruttore (a destra nelle foto quinta e terza).

Proprio quell’interruttore che ha due rebbi tra loro isolati e per noi (per ora) pare privo di qualche congegno! In seguito, la molla che produce una coppia antagonista riporterebbe il disco nella posizione iniziale, e il braccetto a sinistra tornerebbe ad agganciarsi al dente e il tutto dovrebbe ritornare nella posizione iniziale.
Ma, pur facendo passare una corrente via via crescente nell’elettromagnete, non ne abbiamo potuto osservare il ciclo intero dal vivo anche perché il disco di alluminio non ruota più bene sul suo asse.
Non abbiamo ritenuto opportuno intervenire con un piccolo restauro non sapendo bene cosa manca (e se manca) fra i due rebbi del contatto a forchetta.
Ripetiamo che tra essi non vi è continuità ohmica e dunque la corrente non può arrivare dal morsetto di destra all’elettrocalamita.
Non è facile per noi descrivere con precisione il funzionamento di un oggetto non sapendo se è integro; ma abbiamo provato meraviglia per l’ingegnosità profusa nel suo progetto fin da come, mediante una vite, si regola la posizione di una massa che, spostata come in una stadera, determina l’equilibrio del braccetto e quindi l’intensità massima di corrente necessaria al funzionamento (nel nostro caso 2 A); per poi osservare come agisce l’alberino sulla camma mentre il disco ruota per inerzia ecc.
Nella quarta foto: a sinistra si vede l’alberino che comanda la camma, mentre sulla destra si vede il contatto a forchetta che dovrebbe portare corrente all’elettromagnete.
Nella settima foto: in alto a sinistra si vede la massa la cui posizione è critica riguardo alla corrente massima; in basso si vede il dente che tiene fermo il disco tramite il braccetto, l’estremo del braccetto e il dischetto di materiale ferromagnetico.
Nella sesta foto: a sinistra si vede ancora la vite sulla quale scorre la massa regolatrice; per il resto si vedono i morsetti, l’elettromagnete ecc.
L’ing. C. Profumieri, che ha sottoposto l’oggetto ad attente cure, ha subito notato che il disco di alluminio non ruota bene perché è leggermente distaccato dall’asse superiore, segno questo di un uso prolungato del limitatore.
Se qualche visitatore ha notizie più precise sul suo funzionamento è pregato di scrivere a fabio.panfili@live.it .
Foto e prove sperimentali di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Luxmetro Luxmar tipo L N° 003


Luxmetro Luxmar tipo L, matr. N° 003.
Nell`inventario D del 1937 in data 30 Marzo 1948 si legge: « Luxmetro “Luxmar” tipo L a 3 scale (100- 1.000 – 10.000) ₤ 39.500»; acquistato dalla Optilux-Milano; prima destinazione Laboratorio Misure.
Nell`inventario D del 1956 al n° 1021 si legge: “Luxometro N° 003” ed è detto in esistenza.
Lo strumento è perfettamente funzionante.

All`interno del coperchio vi sono le istruzioni per l`uso che trascriviamo integralmente:
« Istruzioni per l`uso del “Luxmar” tipo “L”. – Prima dell`uso, in specie per la 1° scala da 1 a 100, accertarsi della perfetta messa a zero dell`istrumento. Per far questo, spostare l`interruttore nello scatto intermedio fra 100 e 1.000 ( posizione neutra); se l`ago si ferma in posizione diversa dallo zero, occorre girare a destra o a sinistra la vite posta al centro del pannello di legno a fianco dell`interruttore, fino a portare l`ago allo zero.- La esposizione della cellula alla luce intensa (oltre i 1000 lux) … fatto pel minimo tempo possibile, onde evitare disturbi di stanchezza delle cellule».
Nella foto sopra il testo è stato reso più intellegibile.
Il lux è l`unità di misura dell`illuminamento in luce visibile: un lux è il flusso luminoso di un lumen che attraversa in direzione perpendicolare un metro quadrato di superficie.
Il lumen misura la quantità di luce nel visibile su una sfera unitaria (1 steradiante).
Sul quadrante dello strumento vi sono due scale con portate rispettivamente di 100 e 10.000 lux, l`indicazione: “Scala 10.000 lux = scala 100 × 10” e il numero di matricola.
Non vi sono altre indicazioni sui particolari costruttivi. La scelta delle portate si ottiene con un deviatore a tre posizioni: 100; 1.000; 10.000.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Luxmetro Mazda N° 1159


    Luxmetro Mazda.
Tarato il 21-8-1928, come si legge sullo strumento, è stato acquistato pochi anni dopo.
Nell’inventario D del 1937 si trova al n° 161 dove si legge: “Lux Mazda – C. d. L. – N° 1159 – con pila a tre elementi e custodia in cuoio. ₤ 250. Prima destinazione: Laboratorio di Macchine Elettriche”.
Le
istruzioni recano la scritta: «Per la riparazione e la taratura, rivolgersi alla Compagnie Des Lampes, 41, rue La Boëtie, Paris».
Il lux è 
l’unità di misura dell`illuminamento: un lux è il flusso luminoso di un lumen che attraversa in direzione perpendicolare un metro quadrato di superficie.
Sulla scala del voltmetro si distinguono solo le seguenti divisioni: 1/100, 1/10, una freccia e 2.
Sotto la scala 
del voltmetro si legge: “Amener l`aguille sur la flèche”.
Di fronte, dopo aver alzato uno sportellino, si osserva una fila di cerchietti con 
una scala da zero a 500 lux; vi si legge: “Eclairement; Lux ( Ou Lumens par Mètre Carré); Voir Instructions à l`intérieur”.
Il 
contenitore della pila è ossidato.
Il reostato è malridotto così come i fili dei collegamenti.
Riportiamo qui una foto con le istruzioni 
per l’uso contenute all”interno del luxmetro.
Inoltre riportiamo qui di seguito la traduzione. «ISTRUZIONI 1) Piazzare lo strumento in 
piano e orizzontale. Liberare, nel sollevarlo, il perno di bloccaggio del bottone del reostato. Girare il bottone in modo che l’ago del voltmetro coincida con la freccia disegnata sul quadrante. I cerchietti appaiono a destra più chiari dello schermo stesso, a sinistra più scuri. Lo strumento è pronto a funzionare in qualunque posizione.  2) Leggere l’illuminamento in lux al di sotto del cerchietto della scala sul quale la tinta si confonde meglio con quella dello schermo.  3) Dopo l’uso riportare il bottone del reostato nella posizione per la quale il perno sia rientrato nel suo alloggio. Chiudere lo sportellino che ricopre lo schermo.  4) Quando la pila è esaurita va sostituita con una pila nuova a 3 elementi (Pila torcia di circa 18 cm ). Assicurarsi che il dado godronato sia sufficientemente serrato per ottenere un buon contatto con la pila. Una pila che in tal caso non fornisce una tensione costante.  5) Per misurare illuminamenti deboli, procedere come sopra, portando l’ago in corrispondenza del segno marcato 1/10, o, per illuminamenti molto deboli, in corrispondenza di quello marcato 1/100, e dividere la cifra per 10 nel primo caso, per 100 nel secondo. Per misurare gli illuminamenti inferiori ai 500 Lux, portare l’ago in corrispondenza del segno marcato 2, e moltiplicare la cifra per 2.  6) Assicurarsi che l’ago non oltrepassi mai il segno marcato 2.   7) Il Luxmetro Mazda deve essere tarato almeno una volta all’anno».
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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