Reostato di avviamento a sei scatti

Reostato di avviamento a sei scatti come si vede nelle foto, su telaio in legno; costruito probabilmente nelle officine dell’Istituto intorno agli anni Dieci o Venti del Novecento.
Detto anche reostato a manovella.
Sul telaio sono montate le resistenze a spirale.
La manovella a contatto strisciante può toccare i sei contatti che, come si vede nelle foto sono numerati: 0, 1, 2, 3 ecc. . Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, e ricerche di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

Reostato di avviamento a scatti E 22

Reostato di avviamento a 12 scatti su telaio in legno, costruito probabilmente nelle officine dell’Istituto intorno agli anni ’15 / ’20 del Novecento, forse identificabile con il n° 1067 dell’ inventario del 1919.
L’incertezza è dovuta all’esistenza di un altro esemplare a 12 scatti con la scritta E 18.
Sopra la manovella si trova un dischetto recante la scritta E 22; questo particolare avvalora la datazione poiché molti strumenti dell’epoca riportano simili dischetti con sigle a cui corrispondeva forse un inventario che non ci è pervenuto.
Detto anche reostato a manovella.
Sul telaio sono montate le resistenze a spirale.
La manovella a contatto strisciante può toccare i dodici contatti.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, e ricerche di Fabio Panfili.
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Antiche lampade a incandescenza a filamento di carbone, dodici esemplari


Dodici antiche lampade a incandescenza a filamento di carbone.
Nell’Inventario del 1912 al n° 85 di pag. 7 si legge: “Lampade ad incandescenza”.
Il Montani possiede ancora moltissime antiche lampade a filamento che erano usate nei primi decenni del Novecento nel Laboratorio di Elettrotecnica.
Questi dodici esemplari non sono di facile datazione; sulla base vi si legge: “V – 160 – K – 32”.
Pur disponendo di una vasta bibliografia sulle lampade e la loro storia, non siamo riusciti né a sapere la marca a cui corrisponde il logo visibile sul bulbo, né il significato di K – 32.
Per avere informazioni sul loro funzionamento scrivere: “Antica lampada” su Cerca.
In questa scheda vi sono dodici foto realizzate dall’Ing. Claudio Profumieri, il quale  ha alimentato le lampade poste in parallelo con un variac in C.A. .
La prima suggestiva foto mostra i filamenti  accesi al buio.
La seconda la terza e la quarta sono state realizzate aumentando progressivamente e con cautela la tensione di alimentazione agendo sul variac.
Nella quinta foto le lampade sono spente.
Nella sesta si passa alla misura della tensione di alimentazione e della corrente che attraversa le dodici lampade: V = 0,873 V ed I = 0,021 A; P = V I = 0,018 W ; Rp = V / I = 41 Ω circa.
Settima foto: V = 101,0 V ed I = 3,521 A; P = 355,6 W circa; Rp = 28,7 Ω circa.

Ottava foto: V = 150,4 V ed I = 5,94 A; P = 893,4 W circa; Rp = 25,3 Ω circa.
Si noti che la resistenza è diminuita all’aumentare della temperatura; a differenza dei filamenti metallici come ad esempio il tungsteno la cui resistività aumenta all’aumentare della temperatura. Se per semplificare ammettiamo che la corrente passante per ogni lampada sia la stessa, nella situazione corrispondente alla ottava foto si avrebbe  per ciascuna lampada: V = 150,4 V; I = 0,495 A (quasi 0,5 A); P = 74,4 W circa; R = 303,8 Ω circa. 
Mentre nella situazione precedente, visibile nella settima foto, a temperatura più bassa si avrebbe: V = 101,0 V; I = 0,293 A circa; P = 29,6 W circa ed R = 344,7 Ω circa.
Si noti di nuovo il comportamento della resistenza del filamento di carbone!
L’ Ing. Profumieri ha evitato di alimentare le lampade alla tensione nominale di 160 V per giusta precauzione.
Allestimenti, foto e misurazioni di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Piccolo motore-generatore in AC-DC W. M. Welch Scientific Company, prove di funzionamento (Museo MITI)


Piccolo motore-generatore in AC-DC da dimostrazione, prove di funzionamento.

Non rintracciabile negli inventari.
Dalle caratteristiche costruttive si può far risalire al primo Novecento.
Costruito dalla
W. M. Welch Scientific Company, Chicago. Qui sono mostrate alcune foto delle prove di funzionamento, prove eseguite dall’Ing. C. Profumieri.
Per consultare la parte riguardante le notizie sul motore scrivere “Welch” su Cerca.

Il motore – generatore è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, di Fabio Panfili.
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Apparecchio per la misura del rapporto di trasformazione dei trasformatori industriali ALLOCCHIO BACCHINI & C – MILANO, mod. 1770 matr. N° 251731 2ª parte

  Apparecchio per la misura del rapporto di trasformazione dei trasformatori industriali ALLOCCHIO BACCHINI & C – MILANO, mod. 1770 matr. N° 251731. Seconda parte.
Anno del collaudo 1950.
Dimensioni: 48,5 × 33 × 22 cm.
Le informazioni che seguono sono tratte dal primo testo citato in bibliografia.
Ringraziamo al riguardo l’Ing. Lorenzo Cognigni per la preziosa indicazione e relativa documentazione e per l’attenta consulenza, poiché per ora il testo è l’unica fonte di cui disponiamo nella quale sono descritti: sia il metodo di proiezione, su cui si basa lo strumento, sia un analogo apparecchio della SEB.
L’Ing. Cognigni ha corredato il testo con chiare spiegazioni, ma la responsabilità di quanto è qui scritto è del redattore di queste schede.
La SEB rilevò a fine anni ’40 del secolo scorso la Allocchio Bacchini & C; pertanto riteniamo che lo strumento della SEB sia molto somigliante a questo, sia nel progetto sia nella realizzazione.
Come è noto il metodo potenziometrico è un metodo di zero ed è molto preciso e sensibile, poiché invece di misurare una grandezza con relativo errore confronta la grandezza da misurare con una omologa in opposizione, ottenuta regolando una resistenza campione variabile, fino al reciproco annullarsi. La rilevazione di zero in genere si fa con un galvanometro.
Nei metodi potenziometrici in regime alternato si deve avere particolare cura sulla scelta delle resistenze che devono essere antiinduttive e scarsamente capacitive, il galvanometro deve essere ovviamente adatto per correnti alternate e, per avere la tensione al secondario in opposizione di fase rispetto a quella del primario, bisogna porre attenzione alle polarità.
Il metodo a proiezione del Barbagelata, usato sia da questo strumento sia da quello della SEB, sfrutta la proprietà dell’elettrodinamometro di dare indicazione zero quando le correnti alternate che attraversano la bobina fissa e quella mobile sono in quadratura.

Lo schema di principio dell’apparecchio della SEB è visibile nella figura 139 a).
Il trasformatore funziona a vuoto e la tensione V1o alimenta sia R ed r sia la bobina fissa del galvanometro elettrodinamico E, protetto da una opportuna resistenza; la bobina mobile è inserita tra un morsetto A del secondario e il punto B comune ad r fissa e R variabile. Spostando il cursore C si varia R (e quindi R · I) varia r · I e, per tentativi, si trova un valore tale per cui il vettore r · I è la proiezione di V2o su V1 (vedi il diagramma vettoriale in figura 139 ). Allora VAB si trova in quadratura con V1 e quindi con If.
Mediante una non breve dimostrazione, scritta dall’Ing. Lorenzo Cognigni, si dimostra che il rapporto di trasformazione a vuoto risulta Ko = V1 /V2o = 1 + R/r quando l’angolo ε è molto piccolo.
Per i trasformatori monofasi e i trifasi stella-stella e triangolo-triangolo (quelli del gruppo 0) questa condizione è soddisfatta poiché è dovuto solo alle piccole cadute di tensione interne, mentre per gli altri trifasi stella-triangolo, triangolo-stella ecc., l’angolo ε può avere un valore grande a causa delle rotazione angolari delle tensioni imposte dai diversi collegamenti tra la fasi.
In questi casi si ottiene: Ko = V1 /V2o = (1 + R/r ) · cos ε.
Si noti che nelle istruzioni dell’apparecchio della Allocchio Bacchini detto rapporto è chiamato K1
e che viene letto direttamente osservando le posizioni degli indici delle manopole di R. Con le opportune varianti nelle procedure di misura, tale strumento dunque si può usare per i trasformatori trifasi, ma in questo caso si deve prima misurare l’angolo ε.
La figura mostra lo schema di cablaggio di un rapportimetro della ditta SEB e noi pensiamo, come si è già detto, che sia molto simile costruttivamente a questo esemplare.
Per misurare l’angolo ε è sufficiente agire sul commutatore portandolo sulla posizione 2, in tal modo lo schema del rapportimetro di Barbagelata diviene quello visibile in figura  139 a). L’induttanza posta in serie alla bobina fissa complica ulteriormente la dimostrazione della formula da usare (la dimostrazione fornitaci dall’Ing. Lorenzo Cognigni è esaustiva) e il diagramma vettoriale diventa ancor più complesso di quello rappresentato nella figura b), comunque la formula è:
Ko = V1/V2o = (R’ + r) / r · [cos ( α + ε ) / cos α ],
dove α è l’angolo tra V1 e If  poiché If è sfasata rispetto a V1, ed R’ è un diverso valore della resistenza R inserita per ottenere l’azzeramento dell’elettrodinamometro.
Se chiamiamo K = (r + R) / r , ne deriviamo che:
[cos ( α + ε ) / cosα ] = K/Ko · cos ε ;
così si ottiene, dopo vari passaggi, che
tg ε = [(Ko – K)/Ko] · cotg α.
Una volta ricavato ε lo si può usare nella formula per i trasformatori trifasi con ε grande, e in questo caso è ovvio che prima bisogna misurare ε e poi ricavare il valore del rapporto di trasformazione.
Si deve far attenzione che se V2 è sfasato rispetto a V1 di un angolo maggiore di 90° occorre invertire le polarità dei morsetti di bassa tensione.
Tralasciamo altri importanti accorgimenti come la compensazione delle induttanze delle bobine fissa e mobile.
Le interessanti note dell’Ing. Lorenzo Cognigni mettono in relazione la formula per trovare l’angolo ε con quella citata poche righe sopra. Infatti:
cotg α = 1/tg α = cos α / sen α = R / ω L,
in cui R è la resistenza della bobina fissa e L è la somma dell’induttanza della bobina fissa e di quella aggiuntiva (il circuito ottenuto ponendo il commutatore nella posizione 2 è volutamente molto induttivo).
Nelle istruzioni poste dentro il coperchio, la formula nella quale appaiono la frequenza e un coefficiente numerico è (vedi prima parte) :
tg ε ≈ ε = [(K2 – K1) / K2] · (62.5 / f).
Dove K2 è il valore trovato col commutatore nella posizione 2 e corrisponde al Ko usato qui e K1 è il rapporto di trasformazione misurato col commutatore su 1 e corrisponde al K = (r + R) / r che viene letto osservando le posizioni degli indici delle manopole della R. Deve essere
cotg α = R / ( 2π · f · L) = (R/2π · L) (1/f) = 62,5 / f.
Il valore 62,5 non può che rappresentare il rapporto
R/ (2π · L).
Lo schema del rapportimetro della ditta SEB che abbiamo riportato dovrebbe essere molto simile a quello di questo esemplare della Allocchio Bacchini & C. .
Sarebbe interessante in seguito e con le consuete cautele, misurare i valori della R e della L del rapportimetro per averne la conferma.
Come si è detto, questi tipi di rapportimetri erano molto usati per misurare il rapporto di trasformazione a vuoto; bisognava tener presente che nei trasformatori trifasi, quando le grandezze vettoriali V1 e V2 non sono in fase, la corrente che percorre la bobina mobile non è nulla anche se l’elettrodinamometro segna lo zero. Si ha dunque un errore sistematico della misura.
Lo strumento comunque poteva essere impiegato anche per ricavare il gruppo (o indice orario) dei trasformatori trifasi.
Per consultare la prima parte scrivere: “trasformazione” su Cerca.

Bibliografia.
F. Cottignoli A. Baccarini, Misure Elettriche ed Elettrotecniche, Corso Teorico-Pratico, Vol. III, Calderini, Bologna, 1974, nel quale sono descritti (da pag. 198 a pag. 210): il metodo diretto, il metodo potenziometrico e il metodo di proiezione, brevettato dal Prof. A. Barbagelata. Da questo sono tratte  le due figure.
L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962, da pag. 662 a pag. 680, nel quale sono descritte le prove di carattere speciale sui trasformatori, manca però il metodo di proiezione.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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