Strumento registratore C.G.S., N° 2615555 e N° 2615556, wattmetro e varmetro. Modello S2K19QT 1ª parte


Strumento registratore C.G.S., matr. N° 2615555 e N° 2615556, wattmetro e varmetro. Modello S2K19QT. Prima parte.
Per ora non è stato rinvenuto negli inventari dell’epoca.
Il libretto di istruzioni generali riporta la data del 1963, ma all’interno c`è un foglio dattiloscritto che riguarda questo esemplare con la data 28 – 8 – 1964.
Fino ad oggi il resistore addizionale non è stato rinvenuto, così come le sei penne in dotazione.
Caratteristiche del wattmetro e del varmetro: 2000 W ; 5 A; 250 V; k 20; 2000 VAR; 5 A; 250 V; k 20. Entrambe le scale vanno da 0 a 100.
I simboli CEI, posti sopra le due scale, alla loro sinistra, dicono che: sia il wattmetro sia il varmetro sono del tipo elettrodinamico con ferro; a corrente alternata trifase con due circuiti voltmetrici e due amperometrici; adatti per frequenze da 42 a 50 Hz; che sono stati sottoposti a prove di isolamento di 2 kV; e che vanno usati col quadrante in verticale.
Nella parte bassa dello sportellino frontale, dopo il logo della ditta, si legge: “ISTRUMENTI DI MISURA C. G. S. – MONZA”.
La rotazione dell’equipaggio mobile attorno al proprio asse è trasformata in movimento ellittico dell`estremità dell`indice da opportuni meccanismi e, in corrispondenza al tratto della scala, l’arco di ellisse è praticamente assimilabile ad una retta, pertanto la scala risulta rettilinea e il diagramma è a coordinate ortogonali.
Il sistema scrivente è costituito da una penna capillare in vetro M , portata dall’asta dell’indice, e immersa posteriormente in una vaschetta M, contenente l’inchiostro (vedere la figura 1, tratta dal libretto di istruzioni).

Le velocità di scorrimento della carta, ottenibili con il meccanismo ad orologeria, possono essere di 15 – 30 – 60 mm/ora intercambiabili con la sostituzione di ingranaggi.
La durata utile della carica a mano del meccanismo ad orologeria è di otto giorni.
La carta per la registrazione è metallizzata.
Se l’indice su una scala non segna zero, si può correggere la sua posizione: è necessario sbloccare il corrispondente equipaggio mobile spingendo a fondo una leva e agendo su un’altra leva di correzione, come si vede nelle figure delle istruzioni; effettuato l`azzeramento si libera la prima leva dalla posizione di fine corsa e automaticamente l’equipaggio verrà di nuovo bloccato.
Il libretto di istruzioni si dilunga sulla messa in opera sia dei pennini con gli inchiostri e delle carte adatte, sia del meccanismo ad orologeria che trascina il nastro di carta.

Nella parte posteriore dello strumento vi sono due morsettiere: quella in alto per il wattmetro, oltre ai morsetti contrassegnati con le lettere: “G R S T G”, presenta sotto altri quattro morsetti: i due all’esterno con le lettere U e i due all’interno con le P; quella in basso per il varmetro differisce solo per avere sotto due morsetti con le U. Per i wattmetri trifasi, i simboli R, S, T, indicano l’ordine di successione delle fasi e le lettere G e U denotano rispettivamente le parti di collegamenti elettrici che vanno dalla generazione alla utilizzazione dell’energia. Per i wattmetri trifasi bisogna fare attenzione di inserire le resistenze addizionali in serie ai morsetti contrassegnati con la stessa lettera. I collegamenti tra la linea trifase e lo strumento sono ben visibili su una targhetta posta nella parte superiore del contenitore e sono anche riportati nel libretto di istruzioni (Vedere lo schema qui sotto).
Il visitatore può trovare nell’elenco generale degli strumenti diversi wattmetri, ma questo è il primo strumento descritto qui nel gennaio 2016 che contiene anche un varmetro trifase. Il nome varmetro deriva dall’unità di misura: VoltAmpereReattivi.
Data la complessità dei sistemi di misura della potenza reale e reattiva su linee trifasi, rimandiamo alla lettura dei testi a disposizione del visitatore.
Per darne un’idea, nel testo di Olivieri e Ravelli citato nella bibliografia la “Misura della potenza reale su linee polifasi” va da pag. 237 a pag. 291; la “Misura di potenza reattiva e del fattore di potenza” va da pag. 292 a pag. 322. In particolare è interessante la lettura delle pagine da 314 a 318 dove si illustra il “Metodo dei due wattometri con centro artificiale”.
Per la messa in opera della carta da registrazione bisogna estrarre il gruppo svolgicarta, oppure ruotarlo completamente verso destra e togliere il portarotolo con la molla che deve essere infilato nell’anima di cartone su cui è avvolto il nuovo rotolo; lo si ricolloca poi nella sua sede dove è trattenuto da due apposite molle. Svolgere circa 20 cm di diagramma e farlo passare sotto il tenditore, impegnare i fori laterali nei denti del rullo avvolgitore e infine fissarne la estremità al rullo avvolgitore introducendola nell’apposita fenditura. Poi il rullo va posto nella sua sede con manovre accuratamente descritte nelle istruzioni.
Per il riempimento del serbatoio di inchiostro vi sono precise procedure; qui basta dire che il livello dello speciale inchiostro deve arrivare a 3 mm dall’orlo della vaschetta: immergere poi l’estremità più lunga della penna di vetro nell’inchiostro e attendere che, per capillarità, il liquido la riempia. Rimettere il tutto al suo posto è operazione altrettanto lunga e delicata.
Abbiamo voluto accennare a queste operazioni, senza addentrarci nei particolari per dare un’idea della complessità dell’uso di questo strumento doppio.
Il registratore è stato smontato e pulito con la consueta perizia dall’ing. Claudio Profumieri per permettere di vederne l’interno.
Nelle foto infatti si vedono i particolari del retro dei rulli e del meccanismo ad orologeria che viene caricato ruotando la chiave in senso antiorario.
Sulla parte frontale dell’orologio meccanico vi è una levetta per la messa in marcia dell’elemento motore; sulla sua destra vi è il disegno esplicativo degli ingranaggi da montare per avere ognuna delle tre velocità previste. Infine la messa in marcia del gruppo svolgicarta viene effettuata spingendo verso l’interno un piolino che comanda dall’esterno una leva non più raggiungibile quando il coperchio è chiuso.

Bibliografia:
Istruzioni per l’impianto ed il funzionamento degli istrumenti di misura registratori a scrittura diretta (Serie S …19 Q).
Istrumenti di Misura C. G. S. s.p.a. Monza, …., Mod.183, 1963.
G. Biasutti, Schemario Impianti Elettrici, U. Hoepli, Milano 1996.
L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962.

Si prega di vedere la seconda parte che riporta le istruzioni scrivendo: “registratore C.G.S.” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Sezionatori a coltello, tre esemplari

   Tre antichi sezionatori a lama. 
È molto difficile datare gli esemplari poiché fin dai più antichi inventari di cui disponiamo vi sono descritti per sommi capi numerosi quadri elettrici muniti di varie fogge di sezionatori.
Dalle sommarie indagini svolte, ci risulta che nei vari laboratori del Montani non si superavano i 400 volt, e che i generatori non davano correnti particolarmente elevate se non a tensioni relativamente contenute.
Precisiamo comunque che l`interruttore o sezionatore, del tipo antico come questi mostrati nelle foto, che apre un circuito nel nostro caso sottoposto a diverse centinaia di volt e percorso da correnti di decine di ampere, deve dare le stesse garanzie di un comune interruttore di un circuito domestico. Dunque la sua progettazione richiede caratteristiche molto diverse poiché quando è chiuso deve condurre normalmente e quando è aperto deve assicurare un ottimo isolamento, nonostante le eventuali tensioni elevate ai suoi capi.

Il più semplice e antico interruttore è a coltello, il quale può presentare all`apertura un arco elettrico (anche di notevoli dimensioni), arco che può ustionare la mano dell`operatore e, se l`allontanamento fra i contatti non è rapido o è incompleto, può fondere i contatti stessi.
Per questi motivi, il manico in alcuni esemplari è collegato alla lama tramite una molla che apre il circuito più rapidamente.
Nel sezionatore semplice, la lama va ad incastrarsi nel contatto fisso di foggia tale che si comporta come una molla che stringe la lama, ma, col tempo, il calore sviluppato dagli archi elettrici, ne diminuisce l`elasticità.
Negli interruttori più sofisticati, i contatti che stringono la lama vengono premuti l`uno contro l`altro da molle esterne, meno soggette alle alte temperature sviluppate.
Da quanto detto sopra sembrerebbe dunque che la formazione dell`arco sia solo dannosa, invece contribuisce la buon funzionamento dell`intero circuito poiché evita le sovratensioni che si genererebbero per una interruzione troppo rapida della corrente.
Sovratensioni, dovute alla normale presenza di forti induttanze, che danneggerebbero sicuramente parti importanti del circuito.
L`arco infatti è costituito da plasma conduttore che permette per breve tempo il passaggio di corrente evitando la variazione troppo rapida del campo magnetico che induce le sovratensioni. La produzione dell`arco è fenomeno assai complesso. In estrema sintesi, quando i contatti iniziano a separarsi la superficie di contatto diventa sempre più piccola, di conseguenza la resistenza al fluire della corrente aumenta e aumenta la temperatura. Il sottile strato finale di metallo allora fonde ed evapora ionizzando le molecole d`aria circostanti. L`aria normalmente è un ottimo isolante (occorrono 32 kV/cm per renderla conduttrice in condizioni standard di umidità , pressione e temperatura), ma a 5000 K la sua conducibilità aumenta di un fattore di 1013, mantenendo la corrente durante l`apertura.
Questo avviene anche se la corrente è alternata poiché il calore all`interno dell`arco ha una sua inerzia e al riaumentare della corrente l`arco si può riaccendere. L`interruzione di correnti continue è molto più problematica che quella di correnti alternate.
Per tensioni dell`ordine di 200 – 250 V la deionizzazione della zona d`arco avviene spontaneamente con conseguente estinzione.
Sulla lama di uno dei due sezionatore vi è inciso: “20 A” che probabilmente era la massima corrente ammessa.
In serie al sezionatore spesso si trova un fusibile costituito da un filo posto tra due serrafili; il filo deve avere caratteristiche tali da fondere se la corrente nel circuito raggiunge un certo valore, normalmente 1,5 o 2 volte la corrente normale di esercizio, causandone l`interruzione automatica.
In genere esso è costituito da piombo, lega di piombo e stagno o, in taluni casi, di argento o rame.
A volte durante la sua fusione si instaura un arco elettrico che dovrebbe estinguersi a fusione avvenuta.
Bibliografia.
W. Rieder, Gli interruttori, rivista Le Scienze N° 32, aprile 1971, da cui è tratta la figura.
P. Andrenelli, Costruzioni elettromeccaniche, Vol. II, Del Bianco Editore, 1968.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Oscilloscopio Leybold und von Ardenne

               Oscilloscopio Leybold und von Ardenne.
Nell’inventario D del 1937 in data 1943, al n° 1142 si legge: “Apparecchiatura oscillografica a raggi catodici costituita da un tubo con schermo, un alimentatore, un generatore di oscillazioni a denti di sega e n° 10 cordoni di collegamento – ₤ 27.000 – Prima destinazione Lab. Misure Elettriche”.

Due etichette sul tubo di metallo recano le scritte: “Dr. Ing. S. Barletta & C.S.A. Milano” e “Leybold und von Ardenne. Oszillographen – Gesallschaft m.b.H. Köln – Berlin”.
Non si sono trovati i dispositivi di alimentazione ed i cavi per il collegamenti.
Nella parte anteriore il tubo è protetto da un anello di feltro che evita il contatto col bordo del contenitore; la parte posteriore è costituita da una piastra di bachelite circolare con le prese per i connettori.
Il tubo è di notevole lunghezza.

L’etichetta posta sul tubo CRT (Cathode Ray Tube), oltre a ripetere la marca, dice che il riscaldamento del filamento per l’emissione di elettroni richiede circa due minuti con una corrente di 0,78 A e una tensione di 4 V e che è stato testato da un tecnico.

“Heizstrom nach 2 Min. 0,78 Amp. – Heizspannung 4,0 Volt – Typ Av 18 – Nr. 3245- Geprüft (firma illeggibile N. d. R.)”.
In rete abbiamo trovato un esemplare simile a questo esistente presso l’Università di Fisiologia di Strasburgo.
Il fisico Manfred von Ardenne (1907-1997) fu uno dei pionieri sia nella progettazione di oscilloscopi CRT, sia del ricevitore televisivo con tubi CRT ( 1930-1936), sia di microscopi elettronici (1932). Si occupò inoltre di tecnologie per la medicina, tecnologie nucleari, della fisica del plasma, ecc. .

In rete si trovano documenti sulla costruzione di tubi CRT progettati da von Ardenne e costruiti dalla Leybold fin dal 1930 (vedi bibliografia). Nel 1934 egli fondò la Leybold de Cologne-von-Ardenne-Gesellschaft Oszillographen Enterprise.
 Bibliografia:
J. B. Johnson, The cathode Ray Oscillograph, The Bell System Technical Journal , January 1932, rinvenibile all’indirizzo:
http://archive.org/details/bstj11-1-1.
Instrument de mesure des phénomènes ondulatoires électromagnétiques (oscilloscope à tube bi-spot de Braun) che si trova al seguente indirizzo:
http://www.hp-physique.org/sdx/sriaulp/main.xsp?execute=show_document&id=IM67018843&q=  .
Manfred von Ardenne, An experimental television receiver using a cathode-ray tube, Proceedings of the Institute of Radio Engineers, Volume 23 Number 3, March, 1936. Che si trova al seguente indirizzo: http://www.earlytelevision.org/pdf/ardenne_receiver.pdf .
Si consiglia di visitare anche il sito: http://www.earlytelevision.org/ardenne_fss.html .
  Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Voltmetro da quadro a ferro mobile C.G.S. N° 210145 HC 13 2ª parte

 Voltmetro da quadro a ferro mobile C.G.S. , matr. N° 210145, mod. HC 13. Seconda parte.
Non rinvenibile negli inventari dell`epoca per la loro genericità descrittiva; risale presumibilmente agli anni Venti del Novecento.
L’equipaggio a ferro mobile si basa sulle forze attrattive o repulsive che il campo magnetico creato da una bobina percorsa da corrente esercita su un piccolo nucleo di ferro dolce opportunamente sagomato eccentrico rispetto all’asse. Il dispositivo dello strumento è costituito da una bobina fissa in rame e dall’equipaggio mobile costituito da un piccolo nucleo di ferro dolce L nel caso di attrazione o da due segmenti cilindrici di ferro dolce (uno fisso e uno mobile collegato all’asse con l’indice) nel caso di repulsione.
La coppia antagonista è ottenuta o con un contrappeso o più spesso con molla a spirale.

Le figure dell’apparato a ferro mobile a repulsione e ad attrazione sono tratte da: L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962, pp. 133 – 135, dove si trovano chiare spiegazioni sul suo funzionamento.

Il disegno dello smorzatore ad aria con la paletta A che ruota in un tubetto a sezione quadrata è tratto da: Politecnico di Bari, Dipartimento di Elettrotecnica, Il Multimetro, che si trovava all’indirizzo: https://www.google.it/search?q=multimetri+politecnico+bari+pdf&biw=1280&bih=
845&source=lnms&sa=X&ei=SanxVJKNO8PVygOI1oIo&ved=0CAUQ_AUoAA&dpr=1#q=il+multimetro+raccolta+di+lucidi.pdf .
Per consultare la prima parte scrivere “210145 HC 13” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Voltmetro magnetoelettrico da quadro C.G.S. N° 139987

   Voltmetro magnetoelettrico da quadro C.G.S., matr. N° 139987, tipo H W 18.
Nell`inventario D del 1933/1937, al n° 32 si legge: “Voltometro da quadro – CGS – magneto elettrico – 3 V – tipo HV 18 – N° 139987. Quantità 1 . ₤ 200. Prima Destinazione (Laboratorio Misure Elettriche)” .
Come si è detto in altre schede riguardanti simili strumenti da quadro, anche questo si può far risalire agli anni Venti del Novecento.
La sigla H W negli strumenti della C.G.S. significa che il loro equipaggio è a bobina mobile immersa nel campo di un magnete permanente.
Sul quadrante in alto si vede il logo della ditta; la scala è tipica degli strumenti magnetoelettrici; sotto di essa si legge “VOLT” e in basso a sinistra c`è la sigla H W 18, mentre in basso a destra si legge il numero di matricola. La portata fondo scala è di 3 V in C.C..
Sotto il quadrante una targhetta reca la scritta: “SOC. AN. MECCANICA LOMBARDA MILANO C.G.S. MONZA”. La sigla C.G.S. fu scelta da Olivetti in omaggio all`omologo sistema di misura.
La pulizia accurata e le prove di funzionamento sono state eseguite con la consueta perizia e meticolosità dall`ing. Profumieri.
Bibliografia:
L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III, CEDAM, Padova 1962, pp. 120-126.
J. H. Fewkes and J. Yarwood, Electricity, Magnetism, and Atomic Physics, Vol. I, University Tutorial Press LTD near Cambridge, London 1956, pp. 82-86.
A. F. Corbi Jr., Principles of permanent magnet movable coil and movable iron types of istruments, Monograph B-7, Weston Electrical Instrument Corporation, Newark-New Jersey 1928.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.