Sezionatore tripolare (G. Barbieri)

Il sezionatore tripolare è stato donato nel gennaio del 2016 dal P.I. Sig. Guido Barbieri di Modena, tramite
Fabio Panfili e Stefano Luzi, e va ad arricchire la collezione del Montani.
Questo esemplare è di non facile datazione e potrebbe risalire a fine anni Trenta.
Il suo impiego era certamente per un circuito trifase ed aveva lo scopo di interromperne le continuità per un tratto tale da non poter essere superato da una scarica elettrica corrispondente alla tensione massima che si poteva avere fra i due estremi dell`interruzione.
Questo interruttore tripolare è costituito da tre lame di rame a sezione rettangolare, incernierate ad una estremità che vanno ad incastrarsi in un contatto fisso e, per velocizzare l`interruzione all`apertura del circuito trifase, questa viene affidata a tre molle, come si vede nelle foto.
Il tutto è montato su materiali altamente isolanti.
I tre coltelli sono manovrati simultaneamente con una leva col manico in materiale isolante.
La rapidità di apertura è necessaria per evitare che una eventuale lentezza dell`operatore faciliti l`innesco di un arco elettrico più violento di quello usuale, che potrebbe risultare pericoloso per lo stesso manovratore.
Si noti che i tre fusibili sono rudimentali e di rame che non è il materiale più idoneo al loro scopo (in genere si usano di piombo o di una lega di piombo-stagno); questo fatto comunque potrebbe suggerire che chi lo usava aveva una buona consapevolezza del campo di impiego del sezionatore, il quale testimonia un suo lungo impiego.
La corrente che provoca la fusione dipende da vari fattori: dalla lunghezza (più lungo è il filo e più diminuisce detta corrente); dalla dissipazione dei morsetti; dalla temperatura ambiente, e dalla durata della sovraccorrente.
A volte fili dello stesso materiale e della stessa sezione si comportano in modi diversi.
Un criterio empirico di massima è che la sezione del fusibile sia uguale a quella del filo di rame da proteggere, ma se si usa un fusibile di rame esso deve essere più sottile. Per ulteriori informazioni sulle caratteristiche dei sezionatori e sulla differenza tra scarica ed arco, oltre a consultare un testo, si possono vedere gli esemplari che appaiono in questo Museo Virtuale scrivendo “Sezionatore” su Cerca.
Bibliografia.
W. Rieder, Gli interruttori, rivista Le Scienze N° 32, aprile 1971.
P. Andrenelli, Costruzioni elettromeccaniche, Vol. II, Del Bianco Editore, 1968.
Un sentito ringraziamento va al Sig. Guido Barbieri che, pur non essendo un ex allievo, ha voluto donare molti strumenti al Montani.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Sezionatore a lama con bobina


È molto difficile datare il sezionatore poiché fin dai più antichi inventari di cui disponiamo vi sono descritti troppo sommariamente molti quadri elettrici muniti di varie fogge di sezionatori.
Questo esemplare mostra alcune particolarità che si ritrovano nei sezionatori soggetti a tensioni di migliaia di volt; infatti il coltello è interrotto elettricamente in un tratto nascosto dalla bobina che è percorsa dalla corrente del circuito quando la parte estrema della lama è nel contatto fisso; dunque la bobina genera un campo magnetico. Quando l`operatore alza il manico, il coltello dapprima resta nella posizione di conduzione, poi, con un certo ritardo si alza, uscendo dal contatto fisso, per aprire il circuito.
Se in questa fase si crea un arco voltaico, la corrente continua a passare nella bobina e il campo magnetico agisce sugli ioni soffiandoli via lateralmente. In tal modo l`arco elettrico viene interrotto, la corrente cessa così come il campo magnetico.
Il ritardo con il quale il coltello si solleva rispetto al movimento del manico mette al riparo la mano dell`operatore da eventuali ustioni, poiché il manico è già in alto quando la lama lascia il contatto fisso.
Insieme all`ing. C. Profumieri ho misurato la resistenza della bobina che è costituita da poche spire di sezione relativamente grande come si vede nelle foto; attenuando bene le resistenze di contatto abbiamo rilevato una resistenza di 0,1 Ω, come c`era da aspettarsi.
Dalle sommarie indagini svolte, ci risulta però che nei vari laboratori del Montani non si superavano i 400 volt, e che i generatori non davano correnti particolarmente elevate se non a tensioni relativamente contenute.
Ci resta dunque la curiosità di sapere dove era utilizzato un simile sezionatore.
Precisiamo comunque che l`interruttore o sezionatore, che apre un circuito sottoposto ad una tensione di qualche centinaio o migliaio di volt, con correnti di decine di ampere, deve dare le stesse garanzie di un comune interruttore di un circuito domestico.
Dunque la sua progettazione richiede caratteristiche molto diverse poiché quando è chiuso deve condurre normalmente e quando è aperto deve assicurare un ottimo isolamento, nonostante le eventuali tensioni elevate ai suoi capi. L`eventuale arco raggiunge temperature molto elevate.
Da quanto detto sopra sembrerebbe dunque che la formazione dell`arco sia solo dannosa, invece contribuisce al buon funzionamento dell`intero circuito poiché evita le sovratensioni che si genererebbero per una interruzione troppo rapida della corrente.
Sovratensioni, dovute alla normale presenza di forti induttanze, che danneggerebbero sicuramente parti importanti del circuito.
L`arco infatti è costituito da plasma conduttore che permette per breve tempo il passaggio di corrente, evitando la variazione troppo rapida del campo magnetico che induce le sovratensioni.
La produzione dell`arco è fenomeno assai complesso.
In estrema sintesi, quando i contatti iniziano a separarsi la superficie di contatto diventa sempre più piccola, di conseguenza la resistenza al fluire della corrente aumenta e aumenta la temperatura. Il sottile strato finale di metallo allora fonde ed evapora ionizzando le molecole d`aria circostanti. L`aria normalmente è un ottimo isolante (occorrono 32 kV/cm per renderla conduttrice in condizioni standard di umidità, pressione e temperatura), ma a 5000 K la sua conducibilità aumenta di un fattore di 1013, mantenendo la corrente durante l`apertura.
Questo avviene anche se la corrente è alternata poiché il calore all`interno dell`arco ha una sua inerzia e al riaumentare della corrente l`arco si può riaccendere. L`interruzione di correnti continue è molto più problematica che quella di correnti alternate.
Per tensioni dell`ordine di 200 – 250 V la deionizzazione della zona d`arco avviene spontaneamente con conseguente estinzione.
Bibliografia.
W. Rieder, Gli interruttori, rivista Le Scienze N° 32, aprile 1971.
P. Andrenelli, Costruzioni elettromeccaniche, Vol. II, Del Bianco Editore, 1968.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Trasformatori di corrente C. G. S. mod. TAT 101 N° 753834 e N° 753835 (G. Barbieri)

I trasformatori di corrente C.G.S. mod. TAT 101 matr. N° 753834 e N° 753835 sono stati donati nel gennaio del 2016 dal P.I. Sig. Guido Barbieri di Modena, tramite Fabio panfili e Stefano Luzi e vanno ad arricchire la collezione del Montani.
I trasformatori di corrente o amperometrici (convenzionalmente indicati con la sigla T A) sono trasformatori di misura il cui avvolgimento primario (interno o esterno) è collegato in serie al circuito del quale si vuole misurare la corrente, mentre il secondario alimenta uno o più misuratori di corrente o circuiti amperometrici. Questi piccoli trasformatori di corrente portatili permettono di ottenere tre rapporti diversi con una costruzione col primario di poche spire (il cui filo di sezione spessa è avvolto intorno al secondario) e il secondario costituito da numerose spire di filo più sottile, nel quale passa una corrente di 5 A.
La particolarità di questi tipi di trasformatori consiste nell`uso dei morsetti intermedi del primario solo per pochi rapporti (nel nostro caso tre) mentre si ricorre ad un primario esterno (costituito da un filo flessibile di opportuna sezione) che passa direttamente nel foro centrale ben isolato a volte con una spira o con più spire, a volte solo attraversandolo.
Descriviamo i morsetti del primario posti in alto partendo dalla sinistra verso destra: il primo morsetto in alto a sinistra è il comune, ha un segno rosso alla base e la sigla “P”; il morsetto successivo ha a fianco “3 A” ; poi c`è quello con la scritta “10 A” e infine un po’ più in basso e a destra si trova il morsetto con “30 A”.
In basso a sinistra un morsetto del secondario ha un segno rosso alla base e la lettera “S”; l`altro è posto in basso a destra.
Le foto hanno dimensioni limitate dovute all`architettura del sito e le lettere nere, di bakelite in rilievo, si vedono male. La stessa bakelite di cui sono fatti gli involucri dei trasformatori. Entrambi gli esemplari riportano le seguenti scritte dorate (unica differenza è l`ultima cifra del numero di matricola): “Trasformatore di corrente Mod. TAT 101 N° 753834/5 Tensione di esercizio 650 V. Provato a 2000 V. CGS ITALIA 3 – 10 – 30 / 5 A 300 As 5VA ± 0.2 % ± 10` f 42 ÷ 50”.
Come è solito fare, l’ing. C. Profumieri ha provveduto a restaurare in modo non invasivo i due trasformatori.
Per avere informazioni più dettagliate sul loro funzionamento si può  scrivere: “Trasformatore Sifam” su Cerca.
Bibliografia: L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica – Misure Elettriche, Vol. III., CEDAM, Padova 1962, pag. 227 da cui è tratta la figura 1-989.
Un sentito ringraziamento va al Sig. Guido Barbieri che, pur non essendo un ex allievo, ha voluto donare molti pregevoli strumenti al Montani.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Tavole didattiche su quattro tipi di strumenti

  Tavole didattiche su quattro tipi di strumenti.
Le prime due tavole sono della Siemens; le altre due sono della Weston Electrical Instrument Co..
Esse sono state rinvenute dall`ing. Claudio Profumieri e purtroppo non sono in buono stato di conservazione.
Ci è sembrato comunque opportuno mostrarle in questo ambito per la loro valenza didattica.
La prima tavola della Siemens risale al 1964 e illustra i componenti dell`equipaggio di un amperometro a ferro mobile, il cui simbolo CEI è ben visibile in alto a destra. Nella sezione Elettrotecnica ed Elettronica si trovano molti strumenti sia da quadro, sia da tavolo, che presentano un equipaggio di questo tipo e in alcune schede se ne descrive il funzionamento.
Riportiamo le scritte sotto la figura: «a ferro fisso (spostabile); b ferro mobile; c molla antagonista; d azzeratore; e smorzamento; f bobina. Equipaggio di misura a ferro mobile, per la misura di correnti e tensioni alternate e continue. Tavola didattica G/3».
La seconda tavola della Siemens risale al 1964; riportiamo le scritte: « Equipaggio di misura con magnete ruotabile. Tavola didattica G/4. 1 Bobina di campo; 2 Magnete a disco ruotabile; 3 Smorzamento ad aria; 4 Schermatura contro campi esterni; 5 Magnete di direzione a disco; 6 Circuito magnetico in derivazione».

La terza tavola, senza data, rappresenta un amperometro in C.C. della Weston con equipaggio mobile immerso in un campo di un magnete permanente.
Questo tipo di equipaggio è stato il più diffuso negli strumenti per misure elettriche fino all`avvento degli strumenti digitali ed il brevetto era proprio della Weston. Nella collezione del Montani e al Museo MITI si trovano moltissimi strumenti che testimoniano l`evoluzione degli equipaggi da fine `800 ai giorni nostri.
Riportiamo le scritte della tavola: «Interior wiew and parts of a standard commercial switchboard ammeter. 1. Instrument 2. Cover 3. Scale 4. Pointer, with Balance Cross 5. Spiral conducting springs 6. Cushion arresters 7. Pole pieces 8. Movable coil 9. Core bracket 10. Core 11. Pole-piece bracket 12. Pole-piece bracket screw 13. Insulated conductors 14. Permanent magnet 15. Bridge, With Jewel Screw 16. Bridge, with Abutment and Jewel Screw».

La quarta tavola della Weston rappresenta uno strumento piuttosto complesso che non fa parte della collezione del Montani. Ma crediamo che la sua immagine meriti un suo spazio per importanza e bellezza; ci limitiamo a riportare la scritta in basso: «WESTON PORTABLE ELECTRODYNAMOMETER A.C. AND D.C. WATTMETER, MODEL 310 WITH INTERIOR WIEW AND PARTS».
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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Tavola didattica sulle fasi di fabbricazione di una lampada Osram

  Tavola didattica sulle fasi di fabbricazione di una lampada Osram.
La foto mostra la tavola per fini didattici della Osram che elenca le varie fasi di fabbricazione di una lampada a filamento incandescente di tungsteno. Nella sezione Elettrotecnica si possono trovare le schede dedicate ad alcune antiche lampade che fanno parte delle decine appartenenti alla collezione del Montani.

Partendo dalla prima figura in alto a sinistra, elenchiamo le scritte esplicative di ciascuna immagine: 1) Minerale di tungsteno 2) Acido di tungsteno 3) Polvere di tungsteno 4) Sbarretta di tungsteno 5) Filamento trafilato grezzo 6) Filamento di tungsteno ( liscio) 7) Filamento spiralizzato 8) Tubo per piattino e piattino 9) Stelo di sostegno e tubetto per l’estrazione dell`aria 10) Reofori 11) Piedino 12) Sostegno completo 13) Sostegno completo con filamento 14) Palloncino grezzo 15) Palloncino pronto per il montaggio 16) Lampada saldata 17) Zoccolo Edison Zoccolo Swan 18) Lampada dopo l’estrazione dell`aria 19) Lampada con zoccolo ( vetro chiaro) 20) Lampada timbrata (smerigliata).
Questa tavola è stata rinvenuta  dall’ing. Claudio Profumieri ed è in cattivo stato.
La sua datazione, con la dovuta cautela, si potrebbe far partire dagli anni Trenta fino agli anni Cinquanta.
Riportiamo alcune stampe pubblicitarie d’epoca.
 Nelle due prime stampe si osserva che  la forma del filamento è molto simile ma sia il piedino sia lo zoccolo sono leggermente diversi.
Il marchio OSRAM è stato registrato il 17 aprile 1906 nel Registro dei marchi di fabbrica dell`Ufficio brevetti imperiale di Berlino (come si legge nel sito della casa); la sigla è nata dal nome dei due materiali necessari all’epoca per produrre i filamenti: l’OSmium e il WolfRAM ( in tedesco). Nel 1919 compare il logo con la lampadina, divenuto ormai famoso nel mondo.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili.
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