pH-metro portatile.
Per ora l`unica incerta traccia è stata rinvenuta nell`inventario D che inizia il 30 giugno del 1956. Al n° 43 si legge: “Voltometro con elettrodo di platino. ₤ 3.000. Destinazione: Lab. Chimica”.
Esso è dichiarato in esistenza.
Lo strumento portatile per la misurazione del pH è esposto al Museo MITI, su proposta di Teresa Cecchi, pertanto (nel 2017) non ci è possibile verificare se ci sia corrispondenza con la citazione nel suddetto inventario.
Sul quadrante dello strumento si osservano: la scala che va da 2 a 12; a sinistra sotto la scala “pH”; a destra “ °C ”; il numero di matricola 35009; al centro e molto sbiadito c`è il simbolo stilizzato di un fulmine.
Un simbolo molto simile appare in alcuni strumenti e apparecchi della Leybold o della Hartmann & Braun ma per ora la consultazione dei cataloghi a nostra disposizione non ha dato alcun esito.
Un breve cenno al metodo potenziometrico per la misura del pH si trova nella descrizione del Titriskop E366; per consultare la scheda scrivere “METROHM” su Cerca.
Foto di Daniele Maiani, su sfondo rosso, e di Claudio Profumieri, elaborazioni ricerche e testo di Fabio Panfili.
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Polarimetro di Laurent, A. Jobin & G. Yvon N° 5480 2ª parte (Museo MITI)
Polarimetro di Laurent. Seconda parte.
Nell`inventario per categoria del 1923 al n° 98/1322 si cita un polarimetro di Laurent, senza ulteriori indicazioni. Le prime foto mostrano il doppio nonio e un particolare delle due scale. Si noti come le scale sono quasi illeggibili per l`usura. Le due scale di questo esemplare indicano che esso dovrebbe essere classificato come saccarimetro, poiché il polarimetro classico ha la scala tarata in gradi sessagesimali per misurare direttamente l`angolo di cui è ruotato il piano di polarizzazione della luce.
Riportiamo la descrizione del polarimetro di Laurent fatta da Oreste Murani (nato a Monterubbiano nel 1853 e Professore all`Istituto Tecnico Superiore, ora Politecnico, di Milano) per mostrare la somiglianza tra il nostro esemplare e quelli tra il 1906 e il 1931, con l`avvertenza per il lettore che nelle spiegazione dei fenomeni luminosi l`autore si rifà alla teoria delle vibrazioni dell`etere, accettabile nel 1906 ma certamente desueta nel 1931:
«Questo apparecchio è costruito per la luce gialla del sodio. B (fig. 263) è uno strato di bicromato di potassio destinato ad assorbire le ultime tracce di altri colori emessi dalla fiamma A, fornita da uno speciale bruciatore di Bunsen, nella cui fiamma oscura si trova un panierino di platino contenente solfato sodico fuso; P è un polarizzatore ordinario, un nicol cioè che si può far girare un poco per mezzo della leva K; D è un foro circolare diviso in due parti, di cui una metà è libera, e l`altra è ricoperta da una laminetta di quarzo o di gesso parallela all`asse, e il cui spessore è tale da produrre esattamente ne` due raggi – l`ordinario e lo straordinario in cui si decompone il raggio polarizzato incidente – una differenza di cammino ottico di mezza onda per la luce gialla del sodio. Seguono il tubo T destinato a contenere il liquido attivo, l`analizzatore N, e un cannocchialetto di Galileo OH che punta sul foro D. L`analizzatore N è girevole, e il suo azimut si può leggere su di un circolo diviso C mediante un nonio e un piccolo oculare L. Le divisioni sul circolo sono illuminate da uno specchio M, che riflette la luce della fiamma A. Vediamo quale è l`ufficio del diaframma sensibile D, che per maggior chiarezza rappresentiamo ingrandito nella fig. 264. Siano ABC il semicircolo occupato dalla lastrina mezza onda avente l`asse AB, e sia OS la sezione principale del nicol polarizzatore, nella cui direzione pertanto vibrerà la luce del semicircolo libero AEB. Nell`altro semicircolo, la vibrazione OS, all`ingresso nella lamina, si risolverà nelle componenti OH, OI normali fra di loro: e poiché il ritardo dell`una sull`altra è di mezz`onda, alla componente OI corrisponderà all`emergenza l`latra OI`, e la loro composizione darà per risultante OD. Mentre dunque nella parte libera l`etere vibra nella direzione OS, nella parte coperta dalla lamina mezza onda la vibrazione avviene nella direzione OD; e l`angolo compreso da queste due direzioni è SOD. Se quindi si osserva il foro con un nicol, apparirà nera la metà di sinistra o di destra, a seconda che la sua sezione principale sarà normale alla bisettrice OA
dell`angolo DOS. L`istrumento è tanto più sensibile, quanto più quest`angolo è piccolo, ma allora diminuisce la quantità di luce trasmessa, e la misura si rende più difficile. Quando si voglia con questo polarimetro misurare la rotazione del piano di polarizzazione, si comincierà col dirigerne l`asse verso la fiamma A (fig. 263) e a porre in T un tubo pieno di acqua; poi, aggiustato il cannocchiale, si darà l polarizzatore P quella orientazione per la quale l`angolo della sua sezione principale e dell`asse della lamina mezza onda sia la più conveniente, data l`intensità della luce di cui si dispone: si giri l`analizzatore, finché le due parti del diaframma circolare abbiano la stessa chiarezza; e se ogni cosa è ben disposta, lo zero del nonio punterà allora sullo zero del circolo graduato. Sostituendo finalmente al tubo pieno d`acqua un altro tubo identico contenente il liquido attivo, le due metà del diaframma assumeranno diversa intensità luminosa; l`angolo di cui si deve far rotare l`analizzatore per renderle di nuovo uguali, da la rotazione cercata. La graduazione dell`istrumento come saccarimetro si fa usando di una soluzione titolata di zucchero [di canna, N.D.R.] puro nell`acqua, come si è detto per il saccarimetro di Soleil. All`uopo il cerchio graduato dinanzi al quale ruota l`analizzatore reca due graduazioni, una nella parte alta e dà direttamente la percentuale dello zucchero contenuto in 100 cm cubici di soluzione, l`altra nella parte inferiore e dà in gradi e frazioni di grado la rotazione del piano di polarizzazione».
Il Dott. Paolo Brenni (Fondazione Scienza e Tecnica Firenze) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra gli esperimenti descritti in queste schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti.
http://www.youtube.com/watchv=hTEMgXSX6ak&list=UUL-NEt9QIezXknHX5BJIh5w&index=10 .
Per consultare le altre due schede scrivere: “Laurent” su Cerca.
Il polarimetro è esposto al Museo MITI, su proposta di Teresa Cecchi e di Fabio Panfili.
Foto di Alessandro Panfili, di Claudio Profumieri e di Contemporanea Progetti. Elaborazioni e ricerche a cura di Fabio Panfili.
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Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO 1ª parte
Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO. Prima parte.
Per ora l`unica incerta traccia è stata trovata nell`inventario D del 1933/1937. Al n° 835 si legge: “Ozonogeno. ₤ 30. Prima destinazione, Chimica”. Dichiarato in esistenza.
Fino ad ora non si ha alcun riscontro negli inventari del 1925/1927, anche se le ricerche lunghe e pazienti continuano.
Dopo il suo rinvenimento, avvenuto a fine 2015, ad un primo esame sommario fatto tra una foto e l’altra, ci si chiedeva cosa fosse e poi si passò all`esame di altri strumenti.
Nei primi del marzo 2016 ne parlammo casualmente con il Prof. Franco Piergentili che, incuriosito dall`aspetto, il giorno successivo si mise ad esaminarlo ipotizzando che fosse un ozonizzatore, costituito da un trasformatore in salita con il primario di poche spire ed il secondario (di molte spire) collegato a quelle strane coppie di lastre di retina, separate da una lastrina di un materiale semitrasparente isolante, poste ai due lati come si vede bene nelle numerose foto.
Dette coppie di retine sono protette ognuna da due lastre di bachelite e sono poste in parallelo con un curioso collegamento: le due retine a sinistra di ogni coppia sono collegate fra loro e a un capo del secondario, così come le due retine di destra di ogni coppia sono collegate fra loro e all`altro capo del secondario.
Si potrebbe ritenere che il trasformatore lavori sostanzialmente a vuoto, se si trascurano le perdite ohmiche, quelle per isteresi, per perdite di flusso concatenato, ecc. sempre ammesso che l`eventuale effetto corona non comporti una trascurabile corrente al secondario o non vi siano perdite significative negli isolanti. Ma queste ultime considerazioni hanno un mero aspetto teorico, avendo scelto di operare lontani dal regime di funzionamento; potrebbe infatti accadere che la generazione della corona provochi un passaggio di corrente nel secondario richiedendo una discreta corrente al primario. Questa è una deduzione suggerita dalla presenza dei due fusibili al primario: protezione necessaria quando si hanno correnti di una certa intensità.
Insieme al P. I. Piergentili, mossi da altrettanta curiosità, si misero all`opera l`Ing. Franceso Medori e l`Ing. Claudio Profumieri.
Nel frattempo chi scrive aveva fatto ricerche sulla ditta O.S.A.E. e si era messo in contatto con il gent.mo Sig. Enzo Iacono, titolare della O.S.A.E. – O.S.A.T., da cui ha avuto subito una cortese attenzione e piena disponibilità.
Abbiamo dunque ritenuto opportuno raccontare in sintesi la storia di questa ditta che mostra alcuni aspetti interessanti dello sviluppo industriale italiano.
Nella sperimentazione la tensione al primario è stata limitata ad un massimo di 23,48 V, mentre una targhetta sull`involucro indica 120 V. Questo è stato fatto per un principio di precauzione, non potendo sapere lo stato di conservazione degli isolamenti. Dunque con 12,6 V al primario si ottengono 344 V al secondario: 344,2/12,62 = 27,27 ; mentre con 23,48 V al primario si ottengono 642,6 V al secondario: 642,6 / 23,48 = 27,36. Ciò significa che se si potesse alimentare con 120 V il primario, si otterrebbero sulle placchette circa 3280 V che forse potrebbero provocare un effetto corona con produzione di ozono. La resistenza misurata in C.C. del primario risulta di 21,8 – 22 ohm, mentre la sua induttanza è di circa 170 mH. La resistenza del secondario è di 9,84 kΩ; la misura della sua induttanza non ha dato alcun risultato, pur avendo usato lo stesso multimetro perfettamente funzionante.
Per la curiosità del visitatore, negli anni `50 si costruivano ozonizzatori che poi risultarono pericolosi all`inalazione.
Ad esempio sempre a Torino vi era la I.N.D.O. (Industria Nazionale Dell`Ozono)!
Per conoscere la storia della O.S.A.E. – O.S.A.T. e altri particolari si prega di consultare le tre schede successive scrivendo: “O.S.A.E.” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.
Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO 4ª parte
Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO. Quarta parte.
Per ora l`unica incerta traccia è stata trovata nell`inventario D del 1933/1937.
Al n° 835 si legge: “Ozonogeno. ₤ 30. Prima destinazione, Chimica”. Dichiarato in esistenza.
La prima foto mostra un ritratto dell`Ing. Otto L`Eplattenier, fondatore della O.S.A.E. con uno sfondo di strumenti, tra i quali si vede un bellissimo tubo a raggi X. La foto è stata pubblicata per gentile concessione della nipote di L`Eplattenier e del titolare dell`O.S.A.T. .
Nel dopoguerra la O.S.A.E. fabbricava anche altoparlanti bicono con il nome AULOS DUODYNAMIC a due canali indipendenti (AULOS, come termine greco sarebbe meglio diaulòs, era un “antico strumento a fiato a doppia canna e doppia ancia, con tonalità delle voci maschili e femminili”, bellissima analogia per un altoparlante a due vie coassiali). Alcune sue immagini pubblicitarie appaiono su “L`ANTENNA N° 9 del settembre del 1950” e nella rivista “RADIO Vol. II N° 24 del novembre 1951” e pare che all`epoca fossero considerati di ottima qualità acustica, originali e di costo contenuto. Corredati a richiesta da ottimi amplificatori in B.F. . Si ha notizia, da verificare con ulteriore documentazione, che tali apparati fossero molto in uso presso gli studi RAI.
Tutto ciò mostra come alcune ditte fossero pronte a diversificare la loro produzione adeguandosi alle esigenze del mercato; cosa che ha fatto nel 1998 la O.S.A.T. in seguito alla chiusura della O.S.A.E., della quale ha acquistato il marchio e la tradizione nell`innovazione continua.
Per consultare le altre tre schede scrivere: “O.S.A.E.” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.
Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO 2ª parte
Probabile ozonizzatore, Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche Torino O.S.A.E. TO. Seconda parte.
Per ora l`unica incerta traccia è stata trovata nell`inventario D del 1933/1937. Al n° 835 si legge: “Ozonogeno. ₤ 30. Prima destinazione, Chimica”. Dichiarato in esistenza.
Nel ringraziare la O.S.A.E.-O.S.A.T., nella persona del dirigente Sig. Enzo Iacono per la gentile collaborazione, vogliamo raccontare brevemente la storia di questa ditta che riassume per certi aspetti le vicende di molte realtà dello sviluppo industriale del Paese.
La O.S.A.E. era una società con sede e stabilimento in Torino, fondata nel 1924 dall`ingegnere svizzero Otto L`Eplattenier, uno dei pionieri nelle applicazioni industriali dell`elettronica di potenza.
Da alcuni documenti, tra i quali una pagina (952 di un libro non identificato) pubblicata dal Museo di Torino, sappiamo che la ditta ha costruito numerosissimi raddrizzatori a valvole per la ARWO (prodotti ufficialmente dalla Signum AG, Wallisellen, Basilea, Svizzera.
La Signum ha cominciato a produrre valvole elettroniche fin dal 1932. Tre di tali raddrizzatori si possono vedere scrivendo: “ARWO” su Cerca). Questi raddrizzatori hanno avuto successo in seguito alla vasta applicazione in telefonia e telegrafia (sopratutto da parte delle Amministrazioni Statali) per carica degli accumulatori, ed in cinematografia per l`alimentazione degli archi di proiezione e, in seguito, per la carica delle batterie negli impianti di cinema sonoro.
Precedentemente la O.S.A.E. si era specializzata (pioniera in Italia) in raddrizzatori a vapori di mercurio in ampolle di vetro (costruiti fino ad unità di 200 kW da installare in parallelo), come alternativa ai sistemi di conversione rotanti, ai quali era assicurata una larga applicazione nella media e piccola trazione per tranvie e filovie.
La storia della O.S.A.E. prosegue nelle due schede successive.
Le dimensioni esterne dell`ozonizzatore sono: larghezza 16 cm; profondità 13,5 cm; altezza 15 cm. .
Nelle foto, oltre all`aspetto esteriore, si vedono: la bobina del secondario, il nucleo ferromagnetico, i contenitori in porcellana dei fusibili, le lastre di bachelite nel cui interno vi sono due retine separate da una lastrina di materiale dielettrico.
Per consultare le altre tre schede scrivere: “O.S.A.E.” su Cerca.
Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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