Microscopio mod. RCH, Carl Reichert Austria N° 282359 2ª parte

Microscopio mod. RCH, Carl Reichert Austria; matr. N° 282359. Seconda parte.
È stato rinvenuto nel febbraio del 2015 dal Prof. Cesare Perticari in cattive condizioni; manca l`oculare e non è stato trovato il termostato regolabile, accessorio essenziale per il suo corretto impiego.
Nell`inventario D del 1956, in data 31 dicembre 1963, al n° 3548 si legge: “A. Recchioni – Bologna. Microscopio RCH originale Reichert Obbiettivo monocromatico”, e al n° 3549 si legge: “A. Recchioni – Bologna. Tavolinetto riscaldabile elettricamente di Kofler con resistenze, … [termine illeggibile, N.d.R.], 2 termometri in astuccio ecc.”. Destinato alla Sezione Chimica.

  Le informazioni essenziali sullo strumento ci sono pervenute dall`Ing. Massimo D`Apice, ricercatore presso l`ENEA ed esperto in microscopi.
In un libretto di istruzioni multilingue si legge: «Heiz – und Kühltischmikroskop – RCH – nach KOFLER zur Ermittlung physikalischer und chemischer Eigenschaften organischer und chemischer Stoffe und zur Thermoanalyse». «Microscopio – RCH – segûn KOFLER con platina de calefacción y de congelación para la determinación de las caracteristicas fisico-quimicas de las substancias orgánicas y para el termoanálisis».
Riscaldamento e raffreddamento  del piano portaoggetti secondo Kofler del microscopio – RHC – per l`esatta determinazione delle proprietà fisiche e chimiche di sostanze organiche e chimiche e per analisi termiche.
Per consultare la prima parte  scrivere “RCH” su Cerca.

Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni, ricerche e testo a cura di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

Microscopio mod. RCH Carl Reichert Austria N° 282359 1ª parte



Microscopio mod. RCH, Carl Reichert Austria; matr. N° 282359. Prima parte.
Il microsocpio mod. RCH (Reichert Optische Werke A.G., Wien 17, Austria) è stato rinvenuto nel febbraio del 2015 dal Prof. Cesare Perticari in cattive condizioni; manca l`oculare e non è stato trovato il termostato regolabile, accessorio essenziale per il suo corretto impiego poiché permette di regolare la temperatura del tavolino termostatico del microscopio.
Nell`inventario D del 1956, in data 31 dicembre 1963, al n° 3548 si legge: “A. Recchioni – Bologna. Microscopio RCH originale Reichert Obbiettivo monocromatico”, e al n° 3549 si legge: “A. Recchioni – Bologna. Tavolinetto riscaldabile elettricamente di Kofler con resistenze, … [termine illeggibile, N.d.R.], 2 termometri in astuccio ecc.”. Destinato alla Sezione Chimica.
Le informazioni essenziali sullo strumento ci sono pervenute dall`Ing. Massimo D`Apice, ricercatore presso l`ENEA ed esperto in microscopi.
In un libretto di istruzioni multilingue si legge: «Heating and Cooling Stage Microscope – RHC – for the exact determination of the physical and chemical properties of organic and chemical substances and for thermoanalysis». «Microscope à platines chauffante et réfrigerante de KOFLER, modèle “RCH” pour la détermination exacte des caractéristiques physiques et chimiques des substances et pour l`analyses thermique».
Riscaldamento e raffreddamento del piano portaoggetti secondo Kofler del microscopio modello RHC, per l`esatta determinazione delle proprietà fisiche e chimiche di sostanze organiche e chimiche e per analisi termiche. Abbiamo trovato stralci di lavori eseguiti con tali dispositivi per gli esami termici adiabatici di alcuni composti derivati dal glicerolo oppure la determinazione della temperatura alla quale l`indice di rifrazione di una sostanza diventa uguale a quello un campione standard di vetro; originariamente questo metodo è stato descritto da L. Kofler e A. Kofler ed ha trovato ad esempio un applicazione nel campo dei lipidi.
Per consultare la seconda parte scrivere “RCH” su Cerca. Foto di Claudio Profumieri, elaborazioni e testo di Fabio Panfili con la consulenza dell`Ing. Massimo D`Apice.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

 

 

Polarimetro di Laurent, A. Jobin & G. Yvon N° 5480 3ª parte (Museo MITI)



         Polarimetro di Laurent. Terza parte.
Nell`inventario per categoria del 1923 al n° 98/1322 si cita 
un polarimetro di Laurent, senza ulteriori indicazioni.
Descriviamo il procedimento della 
misura.
La luce della lampada al sodio entra nell`obiettivo.
Chi scrive non ha indagato all`interno 
del sistema di lenti per osservare se esiste un filtro per eliminare i colori indesiderati, ma ha osservato che attraverso il diaframma circolare la luce diurna diventa gialla, come ci si aspetta dall`effetto dovuto ad una soluzione di bicromato di potassio o di sodio contenuta in un flaconcino. E non ha indagato per vedere la lamina di quarzo a mezz`onda.
La luce dunque viene 
polarizzata dal nicol e, secondo la letteratura, attraversa un diaframma nel quale la metà è costituita da una lamina di quarzo, con l`orlo verticale, che ritarda la luce di mezz`onda. Il nicol viene ruotato di pochi gradi per mezzo della levetta esterna visibile nella terza foto. In questo modo la parte di luce che attraversa la lamina viene ruotata in senso opposto della stessa entità. In assenza della soluzione interposta, l`intensità dei due raggi di luce all`oculare è la stessa; ma non appena la provetta contenente la soluzione otticamente attiva viene messa nel cilindro centrale, le polarizzazioni dei due fascetti di luce vengono ruotate dello stesso angolo dando luogo all`oculare a due settori con luminosità diversa. La rotazione del nicol analizzatore permette di ritornare alla stessa intensità luminosa. Il fatto che l`occhio riesca a percepire la diversità delle situazioni ha dato allo strumento la denominazione: polarimetro a penombra. La lettura accurata della rotazione del nicol analizzatore sulla scala permette di risalire alla concentrazione della soluzione come è già stato spiegato nella prima parte della descrizione dello strumento. Probabilmente esistevano le istruzioni di lettura delle scale a
corredo dello strumento.
 Il Dott. Paolo Brenni (Fondazione Scienza e Tecnica Firenze) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra gli esperimenti descritti in queste schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti.
All’indirizzo:
http://www.youtube.com/watch?v=hTEMgXSX6ak&list=UUL-NEt9QIezXknHX5BJIh5w&index=10
viene mostrato un saccarimetro.
Bibliografia.
P. Brenni, Gli strumenti di fisica dell`Istituto Tecnico Toscano, Giunti, Prato 1995.

Per consultare le altre due schede scrivere: “Laurent” su Cerca.
Il polarimetro è esposto al Museo MITI su proposta di Teresa Cecchi e di Fabio Panfili. 
Foto di Alessandro Panfili, di Claudio Profumieri e di Contemporanea Progetti
. Elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.

 

 

 

Polarimetro di Laurent A. Jobin & G. Yvon N° 5480 1ª parte (Museo MITI)


          Polarimetro di Laurent. Prima parte.
Nell`inventario per categoria del 1923 al n° 98/1322 si cita un polarimetro di Laurent, senza ulteriori indicazioni.
Nell’inventario del 1927 in data 16 gennaio, al n° 1169-2983 si legge: “Zambelli Torino Imp.- Polarimetro sacchimetro Laurent. Tubo di osservazione. Lampada a gas a 1 fiamma. ₤ 3.061,60”.
Nell’inventario del 1937 si legge al n° 795: “Polarimetro Laurent con portalampada e con tre tubi polarizzatori; ₤ 400”.
Il prezzo fa pensare ad una stima di un oggetto acquistato molti anni prima! Inoltre in data 29/11/1938, al n° 936 si trova: “lampada elettrica al sodio per Polarimetro di Laurent, ₤ 950; destinazione Laboratorio di Chimica”.
  Sul braccio di ottone che fa ruotare il disco si legge: “A. Jobin & G. Yvon – 312 Rue Jean Dolent Paris”.
Questi nel 1923 acquisirono la Soleil (fondata nel 1819).
Il numero di matricola è 5480.

Il disco, di ottone brunito, al centro in basso reca la scritta: Polarimetre Laurent.
Sulla base si nota l’etichetta con la scritta Laboratorio di Chimica.
 In generale il polarimetro, detto anche saccarimetro a penombra, ideato nel 1874 da L. L. Laurent (1840-1909), serve per misurare il potere rotatorio di soluzioni acquose di sostanze otticamente attive che è legato alla particolare simmetria delle molecole che compongono la sostanza.
È infatti progettato per misurare l’angolo di cui è ruotato il piano di polarizzazione della luce che attraversa la soluzione. Esso viene usato prevalenteme
nte per determinare la concentrazione delle soluzioni zuccherine con un metodo ottico quando sia noto il loro potere rotatorio.
In questo caso si usa la formula di Biot: δ = k l c.
Dove “δ” è l’angolo di cui è ruotato il piano di polarizzazione; “k” è il potere rotatorio specifico, che risulta grosso modo inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d`onda usata; “l” è la lunghezza interna della provetta contenente la soluzione e “c” è la concentrazione percentuale.
Il fatto che il “k” dipende dalla lunghezza d’onda non permette di compiere le misure con luce bianca poiché si avrebbe dispersione; occorre dunque una sorgente di luce monocromatica e normalmente si ricorre alla lampada al sodio dalla caratteristica luce gialla dovuta la doppietto D situato a circa 5,89 nm (5,885930 nm e 5,895930 nm). Ancor più anticamente si usava un becco a gas racchiuso in un camino con finestrella; un sale sodico posto su una reticella di platino conferiva alla fiamma il colore tipico.
Lo strumento è montato su una co
lonna di ottone brunito inserita su un treppiede di acciaio.
Il tubo anch’esso brunito reca nella parte superiore un lungo sportello semicilindrico asportabile per l`inserimento della provetta. Alle due estremità del tubo ci sono le parti ottiche e di misurazione. L’obiettivo si può svitare dal tubo; esso porta un sistema di lenti e verso l’interno si vede un diaframma circolare.
In luce diurna si osserva una colorazione gialla e, secondo la letteratura, ciò è dovuto ad un filtro che attenua i colori indesiderati. Chi scrive non ha indagato in proposito.
Segue un tubicino col nicol che funge da polarizzatore.
Il nicol può essere ruotato di pochi gradi per mezzo di una alidada; a questo segue, nascosto alla nostra ispezione, un diaframma con una lamina di ritardo a mezz’onda che copre metà del raggio luminoso. Dunque un parte del raggio passa conservando la sua polarizzazione, mentre l’altra subisce una rotazione di 180°.
All’altra estremità del tubo ci sono il nicol analizzatore e il sistema di lenti che costituisce l’obiettivo inserito nel grande disco-goniometro di ottone. L’orlo del disco è dentato e può essere ruotato mediante il pignone anch’esso munito di denti. Sul disco vi sono due scale concentriche ormai consunte dal tempo. Quella esterna ha lo zero centrale e termina sia a sinistra che a destra con 100; la scala interna invece è asimmetrica: a sinistra termina con 200, passa per lo zero e a destra termina con 400. La lettura può essere fatta con il doppio nonio col quale a destra si legge la scala esterna, mentre a sinistra si legge la scala inte
rna. Per agevolare tale lettura c`è una lente apposita. per le relative immagini si veda la terza parte. Non si ha notizia delle provette a corredo. Per il procedimento di misura si leggano la seconda e terza parte. Le due scale indicano che questo strumento dovrebbe essere classificato come saccarimetro, poiché il polarimetro classico ha la scala tarata in gradi sessagesimali. Nell’ultima foto si leggono le istruzioni che appaiono sull’edicola.
Il Dott
. Paolo Brenni (Fondazione Scienza e Tecnica Firenze) ha pubblicato su youtube una serie di video nei quali magistralmente mostra gli esperimenti descritti in queste schede, insieme ad altri esperimenti di fisica molto interessanti.
Un altro video significativo è stato pubblicato dal Sistema Museale di Ateneo Università di Torino.
   Bibliografia.
P. Brenni, Gli strumenti di fisica dell`Istituto Tecnico Toscano, Giunti, Prato 1995.
O. Murani, Trattato elementare di fisica, U. Hoepli, Milano 1931.
Una versione leggermente diversa era già apparsa nell’edizione del 1906.
Per consultare le altre due schede scrivere: “Laurent” su Cerca.
Il polarimetro è esposto al Museo MITI, su proposta di Teresa Cecchi e di Fabio Panfili.
La prima foto è di Daniele Maiani. Foto di Claudio Profumieri e di Contemporanea Progetti. Elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.




 

Pila Grenet (Museo MITI)


Due pile Grenet.
Già esistenti prima del 1907.
Nell`inventario del 1912, al n° 1054, si legge: «Coppie Grenet, quantità 3, condizione mediocre».
Inventario D del 1919 n° 966/32: «2 pile Grenet».
Uno dei due esemplari del patrimonio del Montani è in primo piano in una cartolina datata 16 luglio 1907. 

   La pila è una macchina che sfrutta l`energia prodotta da reazioni chimiche per spostare cariche elettriche lungo un circuito.
In una boccia di vetro è contenuta una soluzione al 22% di acido solforico e al 17% di bicromato di potassio che fa da depolarizzante. Queste dosi sono riportate da P. Silva. Mentre A. Del-Bue scrive testualmente: « …  così c`è chi consiglia di sciogliere 100 gr di Bicromato in un litro di acqua e aggiungere 50 gr di H2SO ; mentre Grenet raccomanda di «prendere una parte in peso K2Cr2O7, tre parti di H2SO4 e dieci di acqua. Ma la soluzione più conveniente si ottiene forse sciogliendo 1 parte in peso di bicromato potassico in 18 parti di acqua, aggiungendo poscia 1 parte di acido solforico».
A. Amerio invece prescrive: «gr 100 Bicromato di Potassio, gr 100 di Cloruro Sodico e gr 110 di H2SO4 in 1000 gr di acqua».
Come si vede gli autori dell`epoca non erano certi sulla ricetta giusta.
Due lastre di carbone, separate e parallele, costituiscono il polo positivo e sono saldate ad un anello metallico che sostiene un coperchio di ebanite. Il polo negativo è una lastra di zinco, inserita tra le due lastre di carbone, che viene immersa in parte nella soluzione solo quando si deve far funzionare la pila.
Il bicromato di potassio fissa l`idrogeno che si svolge al polo negativo.
La forza elettro motrice di un elemento di questa pila è dell`ordine di 2 V, ma per mantenere questo valore non bisogna tenere a lungo in funzione la pila stessa.
L`intensità della corrente erogata può essere di molti Ampere, perché la resistenza interna è piccola.
Dopo l`uso si raccomanda di togliere il coperchio e lavare abbondantemente gli elettrodi in acqua, per poi rimettere tutto a posto con l`elettrodo di zinco sollevato. 

  Bibliografia e note.
P. Silva, Fisica, Vol. II, Paravia, Torino 1957.
A. Del-Bue, Lezioni di Fisica generale, A. Signorelli, Roma 1933.
L. Segalin, Fisica sperimentale, Vol. II, G. B. Paravia & C., Torino 1933, da cui è tratta la figura 219.
A. Amerio, Fisica sperimentale, Vol. II, G. Principato, Messina 1939.
A. Roiti, Elementi di fisica, Vol. II, Successori Le Monnier, Firenze 1908.
A. Funaro e R. Pitoni, Corso di fisica e chimica, R. Giusti, Livorno 1907.
C. M. Gariel, Traité pratique d’électricité, tome I, O. Doin, Paris 1884, da cui sono tratte le figure 236 e 237 con due pile Grenet.
Scheda di istruzione Paravia N° 427.
La cartolina del “Gabinetto di Fisica” appartiene alla collezione del Sig. Luciano Scafà, che ne ha dato gentilmente concessione.
La figura a sfondo giallo è stata tratta da: A Catalogue of Physical Instruments, Catalogue 17, L. E. Knott Apparatus Company, Boston 1912; rinvenibile a sito:
https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments .
Attualmente una pila è esposta al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili, l`altra in una vetrina nell’Aula Magna del Triennio.
Foto di Daniele Maiani, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
Per ingrandire le immagini cliccare su di esse col tasto destro del mouse e scegliere tra le opzioni.