Tubi di J. H. Geissler (1815-1879) e tubo di E. Lecher (1856-1926):
“Tubo di Geissler a due liquidi fluorescenti -cm50- G5 G6”, inventario D del 1937, n° 442; in alto nella prima foto. Tubicino rettilineo di vetro giallo fluorescente, inventario D del 1956 n° 953; a sinistra nella foto; probabilmente è il “tubo di Lecher in vetro di uranio -G39- ” citato nell’inventario D del 1937 al n° 464, costo ₤ 15.
Tubicino in vetro attorcigliato (inventario D del 1956 n° 954, durante il funzionamento si illumina per metà di luce verde e per metà di luce azzurra.
Nell’inventario del 1919, a pag. 47, si trovano al n° 961/27: “tubi Geissler piccoli, N° 3 pezzi”, senza ulteriori indicazioni.
J. H. Geissler (1815-1879), secondo F. Cajori «… fu vetraio a Tübinga, poi proprietario di una fabbrica di apparecchi fisici e chimici a Bonn. Cominciò a fabbricare tali tubi con tanta abilità» che J. Plücker propose di chiamarli col suo nome.
Nel 1855 inventò una pompa che impiegava come pistoni colonne di mercurio e con questa ridusse la pressione nei tubi a qualche decimillesimo della pressione atmosferica.
L’università di Bonn gli diede nel 1868 il titolo di dottore onorario.
Il tubo Geissler è stato usato per molti anni come sorgente spettroscopica.
Esso può assumere molte forme ed è riempito dal gas da analizzare o da un miscuglio di gas, a una pressione di 130 o 260 Pa.
Vi si applica un potenziale di oltre 2 kV mediante un rocchetto o un trasformatore e il passaggio della scarica elettrica produce una concentrazione della colonna positiva nella parte più stretta del tubo stesso.
Una migliore alimentazione si ottiene con una buona macchina elettrostatica, escludendo le bottiglie di Leyda.
Se il tubicino viene osservato da una estremità, si nota una emissione molto brillante, le righe ottenute allo spettroscopio sono però allargate dall’intenso campo elettrico.
Le sinuosità accentuano varie colorazioni dovute alla fluorescenza del vetro prodotta dai raggi ultravioletti generati nella scarica.
Nelle estremità ci sono due elettrodi a punta la cui polarità non ha importanza.
Nel tubo a due liquidi fluorescenti la scarica avviene in un tubetto interno all’ampolla e i fenomeni luminosi sono più accentuati. Non ci sono pervenute indicazione sulla natura chimica dei liquidi. Il secondo esemplare a due liquidi identico a questo è rotto e attualmente è esposto in una vetrina in Biblioteca.
Il tubo di Ernst Lecher, riconoscibile per essere lineare e semplice, è fatto di vetro d’uranio e serviva per rivelare
le “onde elettriche stazionarie” (cioè onde elettromagnetiche stazionarie lungo i due fili paralleli) con l’apparecchio visibile nelle figure 8918 e 8921, tratte dal Catalogue des Appareils pour l’Enseignement de la Physique construits par E. Leybold’s Nachfolger Cologne, 1905; rinvenibile all’indirizzo:
http://cnum.cnam.fr/PDF/cnum_M9915_1.pdf .
Così come le figure: 8601-8606, 8630-8631 e 8930.
In fondo le apparecchiature sono analoghe al tubo di Kundt per le onde sonore, in quanto anche qui si può misurare la lunghezza d’onda delle o. e. m. misurando la distanza tra i ventri e i nodi rivelata con l’illuminarsi e lo spegnersi del tubo di Lecher.
Bibliografia.
S. Tolansky, Introduzione alla fisica atomica, Boringhieri, Torino 1966.
F. Cajori, Storia della fisica, Zanichelli, Bologna 1908. Schede di istruzioni Leybold: n° 55521 4/1964 A, n° 55502 4/1954 A.
Scheda di istruzione n° 494 della Paravia.
Simón Reif-Acherman, Heinrich Geissler: pioneer of electrical science and vacuum tecnology, Proceding of the IEEE | Vol. 103, No. 9, September 2015; rinvenibile all’indirizzo: https://ieeexplore.ieee.org/stamp/stamp.jsp?arnumber=7214351
Questi tubi sono esposti al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Daniele Maiani, di Claudio Profumieri e di Contemporanea Progetti; la seconda foto è di uno studente della Facoltà di Beni Culturali di Fermo, durante un corso tenuto da chi scrive.
Elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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